LE FORME IMPLICITE DELL AMORE DI DIO RELIGIOSITA E LAICITA
Cesano Maderno 28 aprile 2008
Enzo Bianchi (fondatore e priore della Comunità monastica di Bose)
Margherita Pieracci Harwell (docente di letteratura italiana presso l Università of Illinois di
Chicago)
Enzo Bianchi
Il titolo è un titolo ampio ed il binomio religiosità e laicità ci permette di iniziare a parlare
dell amore.
Si ricorderà che verso la fine degli anni 60 ci fu un libretto di Monod (Il caso e la necessità), in cui
poneva le domandi essenziali: l uomo da dove viene e perché?
Monod cerca di rispondere a quelle domande, evitando di dare risposte preconfezionate.
Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?
La sua risposta è profetica di tutto l itinerario che percorre la vita di un uomo.
Se l uomo c è, è per il caso e per la necessità: questa è la risposta della scienza.
Gli scienziati non vanno oltre a questi due elementi.
Il cristianesimo, che è una fede, non fa concorrenza alla scienza e si mette su un altro piano: non
per caso, ma per amore; non per necessità, ma per libertà.
Amore e libertà: non può esistere l amore senza libertà.
La risposta della fede cristiana è che ciascuno di noi è perché c è stata una decisione presa dalla
volontà di Dio.
Questa è la risposta della fede che non concorre con la scienza, perché sta su un altro piano.
Non c è fato, ma c è amore e emozioni nella libertà.
Questa significa che noi uomini siamo chiamati a vivere nella libertà e per amore.
Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio e la vera immagine e somiglianza è essere uomo che
agisce nella libertà e per amore.
All interno del cristianesimo Dio non è importante come nelle altre religioni: Dio è semplicemente
un nome.
Anzi è un errore partire da Dio per parlare di cristiani: è il termine finale.
Il cristianesimo non è un monoteismo (lo è l Islam e l Ebraismo): dice che c è un Dio che si è fatto
uomo, anzi che l unica vera narrazione di Dio è fatta da Cristo, un uomo.
C è scritto nel vangelo: Dio nessuno l ha mai visto e nessuno lo vedrà, ma Gesù ce ne ha fatto il
racconto (Gv, 1,18).
Quello che possiamo sapere di Dio è quello che ci ha detto Gesù Cristo e la prima cosa è che lui
ha fatto tutto per libertà e amore.
Nell Eucaristia si dice che tutto ciò che Gesù ha vissuto l ha vissuto nella libertà e per amore:
Avendo amato i suoi, li amò fino all estremo .
Allora noi capiamo che la vita di Gesù è stata segnata da libertà e dall amore: infatti dopo Gesù si
iniziò a dire che Dio è amore.
C è l amore nel senso forte: nell Antico Testamento c è il Cantico dei Cantici: è la storia dell amore
molto libero tra una ragazzo e una ragazza.
E la celebrazione dell amore umano: è parola di Dio perché alla fine si legge: Forte come la morte
è l amore, l amore è tenace come gli inferi, fiamma di fuoco è l amore
Questo vuol dire che la vera inimicizia è tra amore e morte.
Questo avviene in tutte le culture: la vera inimicizia non è tra vita e morte, ma tra amore e morte.
E solo l amore che vince la morte.
Il cristianesimo ha preso sul serio questo: Gesù ha vissuto una vita d amore fino all estremo: è così
che ha vissuto l amore, facendo del bene.
E per amore è andato verso la morte, piuttosto che ripagare i nemici con la vendetta.
Ma il suo amore non poteva restare preda della morte: per questo è risorto.
Questo messaggio di Cristo interessa quindi a tutti gli uomini, credenti e non credenti: l amore è più
forte della morte.
Parlare di amore è una cosa seria, che va vissuto in libertà e tutti dobbiamo sapere che ciò che
resterà di noi saranno solo le scelte d amore.
Così si trova senso alle domande: veniamo dall amore di Dio e andiamo verso la vita, perché
l amore vissuto non può morire.
Tutto il resto è un linguaggio che non interessa gli altri uomini.
De Monticelli (coordinatrice)
Come si può condividere questo invito, anche al di fuori della confessione cristiana? Cosa vuol dire
amore di Dio per non sa se il suo amore appartiene ad una confessione?
Margherita Pieracci
Non ho una risposta a questa domanda. Ho letto molto e cerco un filo che ci possa guidare: la
parola chiave è l amore.
Implicito è l amore che non si conosce come amore di Dio: ogni uomo ha questo profondo istinto,
dritto al bene, bene che non sa se c è, che non conosce; se non mentiamo, questo slancio è in sé
già aspetto del divino.
Avevo 12 anni ed il professore di religione ci spiegò il battesimo di desiderio : ci raccontò di un
adoratore del sole che nel sole amava il bene: quest uomo, ci disse, ama Dio.
Questo scombina un po le nostre idee: il nome di Dio è solo un nome a cui l anima aspira.
C è nell uomo una multiforme chiamata all amore:
amore del prossimo
amore dell ordine del mondo (la bellezza del creato)
amore delle pratiche religiose
amore dell amicizia
Sono le vie maestre che portano all amore esplicito, che si ha solo quando si hanno delle
rivelazioni.
Tutte le forme dell amore implicito sono bene e tutte ci portano verso l incontro.
Noi abbiamo solo possibilità negative: non possiamo fare nulla di bene senza che ce lo riveli Dio.
Perché sono forme implicite dell amore di Dio?
L amore dei piccoli beni è rivelazione del primo assaggio del bene che abbiamo avuto nella
nascita.
Quei quattro amori sono vie maestre, perché sono impegnativi, perché la loro perfezione richiede
un superamento degli istinti naturali, che è già un superamento della natura: è una soprannaturale
forza donata.
Il superamento di questa situazione di tensione è solo soprannaturale; per l amicizia, ad esempio,
è l accettazione che l altro che amiamo di più non sia noi , che sconfina in noi e noi in lui.
Naturalmente è impossibile amare i 4 amori : è necessario superarli con la forza di Dio.
Il superamento dei 4 amori purifica il nostro amore per portarci a Dio.
E possibile giustificare questo amore, come forma dell amore implicito fino alla rivelazione.
Enzo Bianchi
E necessario fare uno sforzo per decodificare i linguaggio di Simone Weil, una donna di origini
ebraiche che ha subito il fascino del mondo greco e che non è mai approdata ad un cristianesimo
esplicito, entrando nella Chiesa; lei volle restare sulla soglia della Chiesa.
Il suo cristianesimo si può sintetizzare in due anime; la prima è il suo limite, colpa anche della
Chiesa: era un cristianesimo diffidente dell Antico Testamento, che per noi è invece essenziale.
La seconda anima è dovuta al fatto che ha avuto la capacità di arrivare al riconoscimento del
cristianesimo senza separarsi dal mondo laico.
Da qui l interesse implicito delle forme dell amore di Dio.
E questa la sua grandezza: aprire le forme d amore dell uomo all amore di Dio.
Questo può avvenire solo nell amore in libertà: non si può dividere il soprannaturale dal naturale.
Simone Weil ha tentato, ma occorre ritornare al versetto di Giovanni (1,18): Dio nessuno l ha mai
visto, ma Gesù ce ne ha fatto il racconto. Chi ha visto me ha visto il Padre, io che ne sono il
racconto.
Questa frase è ripresa nella lettera di Giovanni: e lì cambia: Dio nessuno l ha visto, ma se noi ci
amiamo gli uni gli altri, Dio dimora in noi.
La chiarezza della risposta alla domanda sta tutta lì: nell esperienza di amore che tutti possiamo
fare, non occorre essere cristiani, basta amare: lo dice Giovanni.
Niente di quello che c è di amore in noi andrà perso e quel poco che c è ci porta a Dio.
Questa è la grandezza del cristianesimo.
L amore è una cosa etica, è una fatica: ci vuole una vita per arrivare a completare l amore umano e
questo è l amore di Dio.
E una pepita che si trova dopo badilate e badilate di sabbia: quella pepita è amore di Dio.
Così avremo uno sguardo diverso noi cristiani: sapremmo meglio farlo capire agli altri.
L amore che c è in noi è già amore di Dio: altrimenti tracciamo solchi tra noi che ci dividono e non
dei ponti.
Di fronte all amore umano anche la fede si ferma: ci sono matrimoni felici tra un uomo ed una
donna di diverse religioni, tra chi crede e chi non crede non si ferma l amore se si ama davvero.
San Paolo scrisse ai Corinti: se una donna cristiana ha un marito non credente che è contento di
abitar con lei, non lo lasci; perché è santificato il marito non credente per la moglie cristiana, e la
moglie non credente è santificata per mezzo del marito cristiano: altrimenti i vostri figlioli sarebbero
immondi; ora invece sono santi .
La vera differenza del cristiano dagli altri monoteisti è questo: vedere amore negli altri, anche dove
ce n è poco o non lo vediamo: questo è cristianesimo.
De Monticelli (coordinatrice)
Ma se questo è vero, perché non accontentarsi dell amore umano? Il cristiano deve rinunciare a
io per fare spazio all altro? Questa restare sulla soglia non è forse quel battesimo di desiderio,
dove si vede Dio vedendo il bene nelle cose belle? Cosa significa stare sulla soglia?
Margherita Pieracci
Se uno aspetta sulla soglia sta facendo quello che deve fare, perché ama chi ama il bene, fa
quello che Cristo chiede: amare.
De Monticelli (coordinatrice)
Resta un dubbio: le intuizioni precristiani sono in direzione di Cristo? Un sincero pitagorico, un
sincero seguace di Apollo è sul cammino di Cristo? Tutto tende a Cristo? Quali sono i confini della
religiosità?
Enzo Bianchi
Nel cristianesimo ci sono due anime. La prima presta attenzione a tutta l umanità: nelle altre
culture c è la presenza della parola di Dio a livello di seme.
I cristiani all inizio non avevano paura delle altre culture (vedi la lettera a Diogneto).
Tutto quello che ha preceduto Cristo è stato una preparazione al Vangelo: ma questo non fa
perdere le singole consistenze di queste culture.
Sono positive, perché nulla è estraneo al cristianesimo.
C è poi la seconda anima che spinge ciò che ci divide dagli altri: solo nel cristianesimo c è la
salvezza.
E l anima escludente che vuole una identità muscolare: forse questa anima sta per prevalere.
Ma non dobbiamo essere ottimisti storti , ma positivi.
Chiunque tenta strade di amore, lo Spirito Santo lo rende partecipe dell amore di Dio ed alla
redenzione di Cristo (Concilio Vaticano II).
Il problema non sono chi segue le altre religioni, ma sono gli indifferenti.
Giovanni paolo II disse che gli atei sono causati dalla immagine perversa che noi diamo .
Dobbiamo sempre ascoltare e non semplicemente escludere chi non la pensa come noi: è
l esercizio della carità.
Dove c è un uomo là c è l immagine di Dio.
Hai visto un uomo, hai visto tuo fratello, hai visto Dio (Clemente di Alessandria).
Mi sembra utile allegare alcuni documenti:
informazioni su Simone Weil
note su Cristina Campo (le Lettere a Mita sono indirizzate a Margherita Pieracci Harwell
Lettera a Diogneto
Allegato 1
A cura di Antonino Magnanimo
SIMONE WEIL
" Questo mondo è una porta chiusa, è una barriera ma nello stesso tempo è il passaggio. "
Simone Weil nacque a Parigi nel 1909 da una famiglia ebrea. Fu studentessa all'Ecole Normale e
insegnante di filosofia in vari licei. Militante dell'estrema sinistra rivoluzionaria, nel 1934, spinta
dall'inderogabile esigenza interiore di conoscere direttamente le peggiori condizioni di vita dei
lavoratori, troncò la professione e gli studi puramente teorici per lavorare come operaia alla
Renault di Parigi: fu un duro ma per lei entusiasmante inserimento nella vita. Ammalatasi di
pleurite, fu costretta a lasciare l'officina, iniziando un periodo cruciale di intimo ripensamento. Nel
1936 partecipò come volontaria repubblicana alla guerra civile spagnola arruolandosi nelle file
anarchiche della famosa Colonna Durruti, accettando anche i servizi della cucina; ma in seguito ad
una grave ustione a un piede dovette rientrare in Francia. Al 1937 risale la svolta mistica, che si
traduce in una fede vissuta con grandissima intensità. Esclusa dall'insegnamento in seguito alle
leggi razziali durante il regime di Vichy, fece la contadina fino al 1942, quando si rifugiò con la
famiglia negli Stati Uniti dove fu molto vicina ai poveri di Harlem. Poco dopo, però, richiamata
dall'impegno contro il totalitarismo, tornò in Europa ma nel 1943 morì a soli 34 anni nel sanatorio di
Ashford in Inghilterra. La vicenda umana e intellettuale di Simone Weil appare profondamente
segnata dalla vicende dei totalitarismi della seconda guerra mondiale. Il suo pensiero è
caratterizzato da un forte principio di realtà, nonché dall' esigenza di ancorarlo al contesto sociale
e politico di appartenenza (del quale sperimentava, spesso in prima persona, le condizioni). Weil
prende parte in più occasioni alla vita politica degli anni tra le due guerre, intrattenendo vari
contatti: ora con i gruppi della resistenza repubblicana, durante la breve e sfortunata
partecipazione alla guerra civile spagnola, ora ospitando per un breve periodo il leader
antistalinista Trotzkij, nonché organizzando manifestazioni antifasciste di vario genere che le
costeranno la segnalazione alle autorità scolastiche e relativi trasferimenti. L' analisi filosofica di
Simone Weil, asistematica e originale, difficilmente collocabile all' interno di correnti tradizionali, ha
finito per passare in secondo piano rispetto al vissuto dell' autrice. Tutte le sue opere sono state
pubblicate postume. Fra gli ultimi libri pubblicati in Italia ricordiamo: Oppressione e libertà 1956;
Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale 1997; La prima radice 1996; Primi
scritti filosofici 1999; Piccola cara, lettere alle allieve 1996; Lezioni di filosofia 1999; Attesa di Dio
1998; L'ombra e la grazia 1996; Pensieri disordinati sull'amore di Dio 1984; Quaderni I, II, III, IV . In
Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale , un saggio del 1934 ma pubblicato in
Italia solo nel 1997, Weil descrive la condizione operaia e fa una critica radicale del capitalismo
industriale. All'autrice non sembra possibile cancellare l'oppressione e l'ingiustizia nella società
umana. Anche le stesse rivoluzioni tendono a tradire le promesse. Alla base dell'ingiustizia, prima
ancora della proprietà privata e dei mezzi di produzione, vi è la separazione fra lavoro manuale e
lavoro intellettuale, fra funzioni direttive e funzioni esecutive . Con lo sviluppo dell'economia e
conseguentemente della divisione del lavoro, aumenta la dipendenza dell'individuo. Tale
dipendenza diviene soggezione al potere. Dopo l'esperienza storica dell'oppressione attuata con la
forza delle armi e di quella prodotta dalla ricchezza concentrata nel capitale privato, l'umanità
comincia a sperimentare una forma nuova di oppressione determinata dalla divisione del lavoro
che costringe l'uomo a forme estreme di specializzazione. Viviamo in un mondo dove nulla è a
misura dell'uomo, dove tutto è squilibrio e la società è collettività cieca, trasformata in una
macchina per comprimere cuore e spirito e per fabbricare l'incoscienza. Separando il lavoro dalla
conoscenza, la società moderna e soprattutto la società industriale, che ha aumentato
enormemente la complessità della sua organizzazione, hanno posto le condizioni per un potere
sempre più forte che tende a riprodursi anche là dove è stata fatta la rivoluzione. Da qui derivano
alcune indicazioni: la società deve essere centrata sul riconoscimento del lavoro, ma di un lavoro
nel quale sempre più si compenetrino l'ideazione e la progettualità da un lato e l'esecuzione e la
realizzazione, dall'altro. Per Simone Weil la libertà perfetta è un ideale irraggiungibile, noi
possiamo tendere solo ad una libertà imperfetta e bisogna tener conto che l'individuo è
condizionato dalla necessità. Lo sforzo di affermare la libertà di pensiero si compie all'interno di
una macchina sociale in cui sembra perdersi il senso del vivere. La libertà viene concepita come
un ideale regolativo , cioè un obiettivo a cui aspiriamo senza poterlo mai raggiungere: proprio
come le "idee" kantiane. Ciò non vuol dire che sia inefficace, perché, a differenza dei sogni, gli
ideali orientano e muovono uomini e donne, li impegnano a cambiare lo stato delle cose, rendendo
meno imperfetta la società. Dopo la bellezza, il tema principale che la Weil sviluppa nelle sue
opere è l' oppressione , vista come schiavitù dell'uomo. In Opposizione e libertà Weil scrive che
mai come in questo momento l'individuo è stato così completamente abbandonato ad una
collettività cieca, mai gli uomini sono stati più incapaci non solo di sottomettere le loro azioni ai
propri pensieri, ma persino di pensare. Alla Weil, in pratica, sembra che l'uomo abbia perso la sua
umanità e la causa di questo " doloroso stato " è per lei molto evidente. Noi viviamo in mondo dove
nulla è a misura dell'uomo, dove vi è una sproporzione mostruosa tra il corpo dell'uomo, il suo
spirito e le cose che costituiscono attualmente gli elementi della vita umanitaria, dove, in una
parola, tutto è disequilibrio. E all'interno di questa società, l'uomo sperimenta l'impotenza e
l'angoscia. La Weil, così, vede la storia umana come asservimento degli uomini . " La società è
diventata una macchina per comprimere il cuore " e per fabbricare l'incoscienza, la stupidità, la
corruzione, la disonestà e soprattutto la vertigine del caos. Nella storia umana due sono state e
sono le principali forme di oppressione:
a) la schiavitù esercitata in nome della forza
b) l'asservimento in nome della ricchezza trasformata in capitale.
Sta per cadere sugli uomini un'altra e nuova forma di oppressione: l'oppressione esercitata in
nome della funzione , frutto maturo del lavoro frantumato tipico del Capitalismo. " La rivoluzione è
un ideale, un giudizio di valore, una volontà ". Di fronte a tutte le forme di oppressione, di fronte a
questo stato doloroso, Simone Weil fa appello ad un obbligo eterno: quello verso l'essere umano in
quanto tale. L'uomo non può essere oggetto. L'individuo è il valore supremo, un valore calpestato
anche dai movimenti che si richiamano a Marx. Ed è proprio perché vuole raggiungere queste alte
finalità che non basta Marx con la sua " idea di materia sociale "concepita come " una macchina
atta a fabbricare del Bene ". Simone Weil aggiunge, inoltre, che la materia sociale lasciata a se
stessa produce altre schiavitù. I movimenti sociali ispirati da Marx sono tutti falliti, soprattutto
perché hanno ignorato la sola idea preziosa che si trovi nella sua opera, vale a dire il metodo
materialista , lo strumento d'analisi dei fatti sociali tramite il ricorso alle cause economiche. La Weil
non critica solo il marxismo, ma anche quei movimenti che assumono una sorta di fatalismo e di
disinteresse nei confronti di chi al momento soffre, aspettando che una felice catastrofe porti un
capovolgimento della società in cui " gli ultimi saranno i primi ". Da questo si capisce perché per la
Weil essere rivoluzionari significa invocare coi propri desideri e aiutare con le proprie azioni tutto
ciò che può, direttamente o indirettamente, alleggerire o sollevare il peso che schiaccia la massa
degli uomini. Intesa così, " la rivoluzione viene ad essere un ideale, un giudizio di valore, una
volontà e non un'interpretazione della storia e del meccanismo sociale ". Nel saggio L'Iliade o il
poema della forza (1939), Weil esalta il modo in cui l'uomo greco viveva la guerra e il suo terribile
gioco accordando eguale rispetto al vinto e al vincitore, provando sgomento per la distruzione di
una città. Quando gli uomini entravano nel gioco della guerra, diventavano pietre nelle mani degli
dèi, ossia cose sotto il " giogo della Forza ". Alla fine vince solo la Guerra . La Guerra è una prova
della miseria umana, dei limiti dell'essere umano, è l'emergere di una Forza che domina l'anima
dell'uomo e la incatena al suo destino immodificabile. Omero è un protagonista senza volto degli
avvenimenti narrati ed è obiettivo nei confronti dei vincitori e dei vinti. Ma alla fine tra chi è in grado
di infliggere la morte credendosi con ciò libero, e chi invece subisce la morte non vi è differenza.
Achille che sgozza dodici adolescenti troiani sulla pira di Patroclo, tanto naturalmente come si
recidono i fiori per una tomba, non sfuggirà al destino comune della morte, unica e inesorabile
vincitrice. " Anche se ci illudiamo di maneggiarla, la forza si può soltanto subire. Il destino di chi
uccide è di essere ucciso a sua volta ". La visione greca dell'uomo si prolunga, per la Weil, fino al
Vangelo. Ciò che unisce Omero agli Evangelisti è il senso del valore della miseria umana, una
miseria vissuta dallo stesso Cristo sulla croce. Una miseria a cui i Greci opponevano la virtù e i
Vangeli la Grazia. La liberazione dall'oppressione sociale, pur equivalendo ad una rivoluzione che
fa dell'uomo il valore supremo, non è la salvezza o la redenzione dell'uomo. L'infelice è chi prova
l'assenza di Dio e che cammina sul crinale di un baratro, motivo per cui o cade o imbocca la via
della salvezza. Per la Weil, l'infelicità è un ingegnoso dispositivo della tecnica divina escogitata per
far entrare nell'anima dell'uomo " l'immensità della forza cieca, brutale e fredda ". Inoltre, l'infelice è
chi non vede alcuna luce nella sua vita, nessun senso della sofferenza, nessuno scopo
nell'affaccendarsi dell'umanità. L'infelice è distante da Dio, il quale già al momento della creazione
si è distanziato dal creato affinché questo potesse esistere. Perciò, per sconfiggere l'infelicità
l'uomo deve eliminare questa distanza da Dio, compiendo il cammino opposto a quella della
creazione: deve attuare una decreazione, deve annullare il sue essere, deve distruggere il proprio
io. L'annullamento dell'io si ha nella sofferenza, nell'umiliazione, nella sopraffazione subita,
nell'abbrutimento dei campi di concentramento. La visione della Weil è pessimistica. Viviamo in un
mondo dove nulla è a misura dell'uomo, in una società che è stata trasformata in una macchina
possente, nella quale l'individuo avverte di essere solo un ingranaggio e che arriva a comprimere il
cuore e a fabbricare l'incoscienza. Complessità sociale, gerarchie sociali sempre più chiuse,
macchine di potere sempre più sofisticate e oppressive: il crescente pessimismo delle Weil, da lei
vissuto come una ferita sempre più dolorosa, non si tradurrà mai in senso di impotenza. Da un lato
glielo impedisce la prospettiva religiosa, a cui si aprirà con la conversione al Cristianesimo;
dall'altro, l'ansia e la febbre di agire a favore dei ceti subalterni la porteranno, fino all'ultimo, a
impegnarsi e a lottare ovunque, con i repubblicani in Spagna o nei quartieri di Harlem a New York,
o nella Londra bombardata della Seconda Guerra Mondiale. Simone Weil è pessimista. Vede la
società andare nella direzione in cui aumenta lo sfruttamento del lavoro operaio e gli individui
vengono sradicati dal loro passato, gettati in una condizione di solitudine e di assenza di valori,
mentre si rafforzano le gerarchie e i poteri burocratici, le strutture di comando e le pratiche violente
e ci si avvia verso la guerra. Da questa profonda tensione interiore nasce la svolta della fede, che
non è, in lei, mai rinuncia alle sue posizioni sociali, ma convinzione che di fronte alla miseria
umana occorre intravedere anche una prospettiva ultraterrena di salvezza. La ricostruzione sociale
e politica della società deve, quindi, poggiare su basi etico-religiose, su una rigenerazione
spirituale di individui e collettività, in cui a una nuova democrazia si accompagni un nuovo
radicamento nel proprio passato, nella tradizione, in una società giusta e rispettosa delle persone.
Fede, tensione morale e impegno politico non l'abbandoneranno mai, fino alla morte. " La croce è
la nostra patria ", diceva più volte. Anche la riflessione politica , le varie esperienze di militanza
sindacale e politica e l'adesione a posizioni sindacaliste rivoluzionarie, trotzskiste più che marxiste,
esprimono una fortissima tensione spirituale, uno slancio ed una ispirazione etico-religiosa,
l'intenzione di una scelta esistenziale, quella di stare sempre dalla parte degli oppressi. E' proprio
la centralità della scelta etica, nel determinare gli orientamenti dell'esistenza degli individui, la porta
a rifiutare, del marxismo, il materialismo e il determinismo economicistico. Simone Weil subisce
dapprima il fascino del marxismo di cui tuttavia rifiuta la configurazione teorica dello Stato per il
suo autoritarismo. Si occupa di politica fin dagli anni del liceo ma non si iscrive mai ad alcun
partito. La sua stessa militanza sindacale e politica iniziale, più anarchica che marxista, trova le
sue ragioni in un'ispirazione etica che la porterà a mettersi sempre dalla parte degli oppressi.
Diceva spesso che occorreva essere sempre disposti a cambiare per seguire la giustizia, questa
eterna fuggiasca. Filosoficamente aderisce inizialmente al pensiero dei suoi docenti e nella sua
esperienza di insegnamento ne proseguirà il metodo invitando gli allievi a leggere direttamente i
testi dei filosofi anziché i manuali. Successivamente Simone Weil andrà sviluppando il suo
pensiero che sarà sempre più caratterizzato dalle esperienze interiori. Gli anni di lavoro in fabbrica
danno l'avvio ad una profonda e sofferta riflessione sul senso della propria esistenza, mentre vive
l'esperienza operaia come occasione di esperienza interiore. Sono anche gli anni in cui si
intensificano quei dolori di testa che la indurranno ad esperire che cosa significa assaporare la
morte da viva. L' idea della morte , così presente in Simone Weil, è qualcosa di più del frutto di
momentanei scoramenti: attraverserà tutta la sua vita costituendone il vettore di ricerca della
verità. Abbandona gradualmente l'interesse più propriamente politico e sospinge sempre più la sua
riflessione in direzione del senso dell'esistere, colto nei suoi risvolti religiosi e mistici, senza con ciò
rinunciare al tentativo di tradurre il tutto in Pensiero, compito che non delegò mai ad alcuna
istituzione politica né ecclesiastica: questo fu uno dei punti fermi che le garantì la coerenza con se
stessa. La Weil è un personaggio estremamente significativo per la pregnanza e la radicalità con
cui ha vissuto e concretizzato la sua weltanschauung , la sua visione del mondo. Come filosofa
certamente non fu capita. Ci fu sempre un maggior interesse per il suo carattere, da molti ritenuto
eccentrico ed esemplare e per le sue esperienze personali, piuttosto che per il suo pensiero.
Allegato 2
CRISTINA CAMPO
Vittoria Guerrini, in arte Cristina Campo (Bologna 1923, Roma 1977), ormai
riconosciuta come una delle voci poetiche più alte del novecento, è stata
straordinaria ed originale interprete della più profonda spiritualità insita
nella letteratura europea.
Appassionata studiosa di Hofmannsthal, rivisitò il mondo misterioso delle
fiabe svelandone le trascendenti simbologie. Fu traduttrice e critica di
originale metodologia, enucleando dalle opere letterarie l idea del destino e
il dominio della legge di necessità sulle vicende umane che l arte esprime
in una aurea di bellezza. Appartenne al ristretto nucleo di intellettuali che
avviarono l introduzione di Simone Weil in Italia.
Negli anni cinquanta maturò la sua prima formazione nella Firenze dei
grandi poeti del tempo ove conobbe Gianfranco Draghi che la indusse a pubblicare i suoi primi
saggi su La Posta Letteraria del Corriere dell Adda e del Ticino .Dal 56 si trasferì per sempre a
Roma.
Studiosa di spessore leopardiano, stabilì intensi sodalizi umani e spirituali e innumerevoli
frequentazioni di grandissimo rilievo, basti menzionare: Luzi, Traverso, Turoldo, Bigongiari, Merini,
Bemporad, Bazlen, Dalmati, Pound, Montale, Williams, Pieracci Harwell, Malaparte, Silone,
Monicelli e Scheiwiller. Tra i filosofi ricordiamo Elémire Zolla, Andrea Emo, Lanzo del Vasto, Maria
Zambrano, Danilo Dolci che sostenne nei momenti difficili, ed Ernst Bernhard che le fece
conoscere il pensiero di Jung, di cui era stato allievo. Fu consulente editoriale, scrisse su
importantissime riviste e studiò l esicasmo, la mistica occidentale ed orientale, i grandi classici e i
poeti di ogni tempo. La sua metafisica della bellezza la indusse a una controversa e profonda
riflessione sulla liturgia, ritenendo la sacralità dei riti e la comprensione del valore della
trascendenza efficaci difese dalla minaccia della despiritualizzazione del mondo incombente sulla
modernità che secondo la Campo, in una certa misura, è disattenta alla bellezza ed esposta alla
vanificazione delle intenzioni. L architettura culturale e spirituale dell universo campiano si desume
anche dai tanti e ricchi epistolari. In particolare dalle Lettere a Mita (la scrittrice Margherita
Pieracci Harwell), uno degli epistolari più affabulanti di tutta la letteratura italiana, è infatti
possibile ricostruire la storia di un anima che palpita per l incanto e la tragedia della vita. Vita che
per la Campo è teatro della sfida al destino condotta dalla poesia e dal sacro.
Dal risvolto di copertina del libro Lettere a Mita :
Ha ventidue anni Margherita Pieracci la Mita a cui sono indirizzate queste lettere allorché, nel
novembre del 1952, chiede a Vittoria Guerrini, che ne ha allora ventinove e che adotterà poi, fra
gli altri, lo pseudonimo di Cristina Campo , di poterla incontrare per parlare con lei di La
pesanteur et la grâce, dalla cui lettura è uscita profondamente turbata. Comincia così, sotto il
segno e nel nome di Simone Weil, un amicizia che avrà fine solo con la morte di Vittoria,
ventiquattro anni dopo, e si nutrirà, nei lunghi periodi durante i quali le due amiche saranno
separate, di uno scambio epistolare affettuoso e costante. Le duecentoquaranta lettere scritte a
Mita fra il 1956 e il 1977, che vengono presentate qui con la cura appassionata della stessa
Margherita Pieracci, offrono ai lettori della Campo una cornice in cui inscrivere le poesie e i saggi
che videro la luce in quegli anni (anni sui quali aprono spiragli di un fulgore talvolta crudele, che
riduce le cose, secondo le parole di John Donne, «a coraggiosa chiarezza»). Al contempo, tuttavia,
sono un opera compiuta in se stessa, e di straordinaria qualità letteraria. Mai come nelle lettere la
scrittura della Campo riesce a esprimere una gamma così mutevole e cangiante di intonazioni e di
sfumature: se in certi momenti può farsi cullante, e quasi incantatoria, in altri è sferzante, aspra,
risentita; ma sempre, in esse, la profondità di un pensiero la cui densità risplende in limpidissime
gemme anche quando sembra limitarsi a suggerire la lettura di un libro o a formulare un giudizio, e
la ricerca instancabile della verità e della bellezza, ma pure lo sgomento e il dolore, e persino
l angoscia, si fanno parola poetica.
Allegato 3
LETTERA A DIOGNETO
Esordio
I. 1. Vedo, ottimo Diogneto, che tu ti accingi ad apprendere la religione dei cristiani e con molta
saggezza e cura cerchi di sapere di loro. A quale Dio essi credono e come lo venerano, perché
tutti disdegnano il mondo e disprezzano la morte, non considerano quelli che i greci ritengono dèi,
non osservano la superstizione degli ebrei, quale amore si portano tra loro, e perché questa nuova
stirpe e maniera di vivere siano comparsi al mondo ora e non prima. 2. Comprendo questo tuo
desiderio e chiedo a Dio, che ci fa parlare e ascoltare, che sia concesso a me di parlarti perché tu
ascoltando divenga migliore, e a te di ascoltare perché chi ti parla non abbia a pentirsi.
L'idolatria
II. 1. Purìficati da ogni pregiudizio che ha ingombrato la tua mente e spògliati dell'abitudine
ingannatrice e fatti come un uomo nuovo da principio, per essere discepolo di una dottrina anche
nuova come tu stesso hai ammesso. Non solo con gli occhi, ma anche con la mente considera di
quale sostanza e di quale forma siano quelli che voi chiamate e ritenete dèi. 2. Non (sono essi)
pietra come quella che si calpesta, bronzo non migliore degli utensili fusi per l'uso, legno già
marcio, argento che ha bisogno di un uomo che lo guardi perché non venga rubato, ferro consunto
dalla ruggine, argilla non più scelta di quella preparata a vile servizio? 3. Non (sono) tutti questi
(idoli) di materia corruttibile? Non sono fatti con il ferro e con il fuoco? Non li foggiò lo scalpellino, il
fabbro, l'argentiere o il vasaio? Prima che con le loro arti li foggiassero, ciascuno di questi (idoli)
non era trasformabile, e non lo può (essere) anche ora? E quelli che ora sono gli utensili della
stessa materia non potrebbero forse diventare simili ad essi se trovassero gli stessi artigiani? 4. E
per l'opposto, questi da voi adorati non potrebbero diventare, ad opera degli uomini, suppellettili
uguali alle altre? Non sono cose sorde, cieche, inanimate, insensibili, immobili? Non tutte
corruttibili? Non tutte distruttibili? 5. Queste cose chiamate dèi, a queste servite, a queste
supplicate, infine ad esse vi assimilate. 6. Perciò odiate i cristiani perché non le credono dèi. 7. Ma
voi che li pensate e li immaginate tali non li disprezzate più di loro? Non li deridete e li oltraggiate
più voi che venerate quelli di pietra e di creta senza custodi, mentre chiudete a chiave di notte
quelli di argento e di oro, e di giorno mettete le guardie perché non vengano rubati? 8. Con gli
onori che credete di rendere loro, se hanno sensibilità, siete piuttosto a punirli. Se non hanno i
sensi siete voi a svergognarli con sacrificio di sangue e di grassi fumanti. 9. Provi qualcuno di voi
queste cose, permetta che gli vengano fatte. Ma l'uomo di propria volontà non sopporterebbe tale
supplizio perché ha sensibilità e intelligenza; ma la pietra lo tollera perché non sente. 10. Molte
altre cose potrei dirti perché i cristiani non servono questi dèi. Se a qualcuno ciò non sembra
sufficiente, credo inutile parlare anche di più.
Il culto giudaico
III. 1. Inoltre, credo che tu piuttosto desideri sapere perché essi non adorano Dio secondo gli ebrei.
2. Gli ebrei hanno ragione quando rigettano l'idolatria, di cui abbiamo parlato, e venerano un solo
Dio e lo ritengono padrone di tutte le cose. Ma sbagliano se gli tributano un culto simile a quello dei
pagani. 3. Come i greci, sacrificando a cose insensibili e sorde dimostrano stoltezza, così essi,
pensando di offrire a Dio come ne avesse bisogno, compiono qualche cosa che è simile alla follia,
non un atto di culto. 4. «Chi ha fatto il cielo e la terra e tutto ciò che è in essi», e provvede tutti noi
delle cose che occorrono, non ha bisogno di quei beni. Egli stesso li fornisce a coloro che credono
di offrirli a lui. 5. Quelli che con sangue, grasso e olocausti credono di fargli sacrifici e con questi
atti venerarlo, non mi pare che differiscano da coloro che tributano riverenza ad oggetti sordi che
non possono partecipare al culto. Immaginarsi poi di fare le offerte a chi non ha bisogno di nulla!
Il ritualismo giudaico
IV. 1. Non penso che tu abbia bisogno di sapere da me intorno ai loro scrupoli per certi cibi, alla
superstizione per il sabato, al vanto per la circoncisione, e alla osservanza del digiuno e del
novilunio: tutte cose ridicole, non meritevoli di discorso alcuno. 2. Non è ingiusto accettare alcuna
delle cose create da Dio ad uso degli uomini, come bellamente create e ricusarne altre come inutili
e superflue? 3. Non è empietà mentire intorno a Dio come di chi impedisce di fare il bene di
sabato? 4. Non è degno di scherno vantarsi della mutilazione del corpo, come si fosse
particolarmente amati da Dio? 5. Chi non crederebbe prova di follia e non di devozione inseguire le
stelle e la luna per calcolare i mesi e gli anni, per distinguere le disposizioni divine e dividere i
cambiamenti delle stagioni secondo i desideri, alcuni per le feste, altri per il dolore? 6. Penso che
ora tu abbia abbastanza capito perché i cristiani a ragione si astengono dalla vanità,
dall'impostura, dal formalismo e dalla vanteria dei giudei. Non credere di poter imparare dall'uomo
il mistero della loro particolare religione.
Il mistero cristiano
V. 1. I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. 2.
Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di
vita speciale. 3. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi
aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. 4. Vivendo in città greche e
barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel
resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. 5. Vivono
nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati
come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. 6. Si sposano come tutti
e generano figli, ma non gettano i neonati. 7. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. 8. Sono
nella carne, ma non vivono secondo la carne. 9. Dimorano nella terra, ma hanno la loro
cittadinanza nel cielo. 10. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. 11.
Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. 12. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono
uccisi, e riprendono a vivere. 13. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto
abbondano. 14. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti.
15. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. 16. Facendo del bene vengono
puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. 17. Dai giudei sono
combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il
motivo dell'odio.
L'anima del mondo
VI. 1. A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. 2. L'anima è
diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. 3. L'anima abita nel corpo, ma
non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. L'anima invisibile è
racchiusa in un corpo visibile; i cristiani si vedono nel mondo, ma la loro religione è invisibile. 5. La
carne odia l'anima e la combatte pur non avendo ricevuto ingiuria, perché impedisce di prendersi
dei piaceri; il mondo che pur non ha avuto ingiustizia dai cristiani li odia perché si oppongono ai
piaceri. 6. L'anima ama la carne che la odia e le membra; anche i cristiani amano coloro che li
odiano. 7. L'anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono nel
mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. 8. L'anima immortale abita in una
dimora mortale; anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando
l'incorruttibilità nei cieli. 9. Maltrattata nei cibi e nelle bevande l'anima si raffina; anche i cristiani
maltrattati, ogni giorno più si moltiplicano. 10. Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è
lecito abbandonare.
Dio e il Verbo
VII. 1. Infatti, come ebbi a dire, non è una scoperta terrena da loro tramandata, né stimano di
custodire con tanta cura un pensiero terreno né credono all'economia dei misteri umani. 2. Ma
quello che è veramente signore e creatore di tutto e Dio invisibile, egli stesso fece scendere dal
cielo, tra gli uomini, la verità, la parola santa e incomprensibile e l'ha riposta nei loro cuori. Non già
mandando, come qualcuno potrebbe pensare, qualche suo servo o angelo o principe o uno di
coloro che sono preposti alle cose terrene o abitano nei cieli, ma mandando lo stesso artefice e
fattore di tutte le cose, per cui creò i cieli e chiuse il mare nelle sue sponde e per cui tutti gli
elementi fedelmente custodiscono i misteri. Da lui il sole ebbe da osservare la misura del suo
corso quotidiano, a lui obbediscono la luna che splende nella notte e le stelle che seguono il giro
della luna; da lui tutto fu ordinato, delimitato e disposto, i cieli e le cose nei cieli, la terra e le cose
nella terra, il mare e le cose nel mare, il fuoco, l'aria, l'abisso, quello che sta in alto, quello che sta
nel profondo, quello che sta nel mezzo; lui Dio mandò ad essi. 3. Forse, come qualcuno potrebbe
pensare, lo inviò per la tirannide, il timore e la prostrazione? 4. No certo. Ma nella mitezza e nella
bontà come un re manda suo figlio, lo inviò come Dio e come uomo per gli uomini; lo mandò come
chi salva, per persuadere, non per far violenza. A Dio non si addice la violenza. 5. Lo mandò per
chiamare non per perseguitare; lo mandò per amore non per giudicare. 6. Lo manderà a giudicare,
e chi potrà sostenere la sua presenza? 7. Non vedi (i cristiani) che gettati alle fiere perché
rinneghino il Signore, non si lasciano vincere? 8. Non vedi, quanto più sono puniti, tanto più
crescono gli altri? 9. Questo non pare opera dell'uomo, ma è potenza di Dio, prova della sua
presenza.
L'incarnazione
VIII. 1. Chi fra tutti gli uomini sapeva perfettamente che cosa è Dio, prima che egli venisse? 2.
Vorrai accettare i discorsi vuoti e sciocchi dei filosofi degni di fede? Alcuni affermavano che Dio è il
fuoco, ove andranno essi chiamandolo Dio, altri dicevano che è l'acqua, altri che è uno degli
elementi da Dio creati. 3. Certo, se qualche loro affermazione è da accettare si potrebbe anche
asserire che ciascuna di tutte le creature ugualmente manifesta Dio. 4. Ma tutte queste cose sono
ciarle e favole da ciarlatani. 5. Nessun uomo lo vide e lo conobbe, ma egli stesso si rivelò a noi. 6.
Si rivelò mediante la fede, con la quale solo è concesso vedere Dio. 7. Dio, signore e creatore
dell'universo, che ha fatto tutte le cose e le ha stabilite in ordine, non solo si mostrò amico degli
uomini, ma anche magnanimo. 8. Tale fu sempre, è e sarà: eccellente, buono, mite e veritiero, il
solo buono. 9. Avendo pensato un piano grande e ineffabile lo comunicò solo al Figlio. 10. Finché
lo teneva nel mistero e custodiva il suo saggio volere, pareva che non si curasse e non pensasse a
noi. 11. Dopo che per mezzo del suo Figlio diletto rivelò e manifestò ciò che aveva stabilito sin
dall'inizio, ci concesse insieme ogni cosa, cioè di partecipare ai suoi benefici, di vederli e di
comprenderli. Chi di noi se lo sarebbe aspettato?
L'economia divina
IX. 1. (Dio) dunque avendo da sé tutto disposto con il Figlio, permise che noi fino all'ultimo,
trascinati dai piaceri e dalle brame come volevamo, fossimo travolti dai piaceri e dalle passioni.
Non si compiaceva affatto dei nostri peccati, ma ci sopportava e non approvava quel tempo di
ingiustizia. Invece, preparava il tempo della giustizia perché noi fossimo convinti che in quel
periodo, per le nostre opere, eravamo indegni della vita, e ora solo per bontà di Dio ne siamo
degni, e dimostrassimo, per quanto fosse in noi, che era impossibile entrare nel regno di Dio e che
solo per sua potenza ne diventiamo capaci. 2. Dopo che la nostra ingiustizia giunse al colmo e fu
dimostrato chiaramente che come suo guadagno spettava il castigo e la morte, venne il tempo che
Dio aveva stabilito per manifestare la sua bontà e la sua potenza. O immensa bontà e amore di
Dio. Non ci odiò, non ci respinse e non si vendicò, ma fu magnanimo e ci sopportò e con
misericordia si addossò i nostri peccati e mandò suo Figlio per il nostro riscatto; il santo per gli
empi, l'innocente per i malvagi, il giusto per gli ingiusti, l'incorruttibile per i corrotti, l'immortale per i
mortali. 3. Quale altra cosa poteva coprire i nostri peccati se non la sua giustizia? 4. In chi
avremmo potuto essere giustificati noi, ingiusti ed empi, se non nel solo Figlio di Dio? 5. Dolce
sostituzione, opera inscrutabile, benefici insospettati! L'ingiustizia di molti viene riparata da un solo
giusto e la giustizia di uno solo rende giusti molti. 6. Egli, che prima ci convinse dell'impotenza
della nostra natura per avere la vita, ora ci mostra il salvatore capace di salvare anche
l'impossibile. Con queste due cose ha voluto che ci fidiamo della sua bontà e lo consideriamo
nostro sostentatore, padre, maestro, consigliere, medico, mente, luce, onore, gloria, forza, vita,
senza preoccuparsi del vestito e del cibo.
La carità
1. Se anche tu desideri questa fede, per prima otterrai la conoscenza del Padre. 2. Dio, infatti, ha
amato gli uomini. Per loro creò il mondo, a loro sottomise tutte le cose che sono sulla terra, a loro
diede la parola e la ragione, solo a loro concesse di guardarlo, lo plasmò secondo la sua
immagine, per loro mandò suo figlio unigenito, loro annunziò il Regno nel cielo e lo darà a quelli
che l'hanno amato. 3. Una volta conosciutolo, hai idea di qual gioia sarai colmato? Come non
amerai colui che tanto ti ha amato? 4. Ad amarlo diventerai imitatore della sua bontà, e non ti
meravigliare se un uomo può diventare imitatore di Dio: lo può volendolo lui (l'uomo). 5. Non si è
felici nell'opprimere il prossimo, nel voler ottenere più dei deboli, arricchirsi e tiranneggiare gli
inferiori. In questo nessuno può imitare Dio, sono cose lontane dalla Sua grandezza! 6. Ma chi
prende su di sé il peso del prossimo e in ciò che è superiore cerca di beneficare l'inferiore; chi,
dando ai bisognosi ciò che ha ricevuto da Dio, è come un Dio per i beneficati, egli è imitatore di
Dio. 7. Allora stando sulla terra contemplerai perché Dio regna nei cieli, allora incomincerai a
parlare dei misteri di Dio, allora amerai e ammirerai quelli che sono puniti per non voler rinnegare
Dio. Condannerai l'inganno e l'errore del mondo quando conoscerai veramente la vita nel cielo,
quando disprezzerai quella che qui pare morte e temerai la morte vera, riservata ai dannati al
fuoco eterno che tormenta sino alla fine coloro che gli saranno consegnati. 8. Se conoscerai quel
fuoco ammirerai e chiamerai beati quelli che sopportarono per la giustizia il fuoco temporaneo.
Il loro maestro
XI. 1. Non dico stranezze né cerco il falso, ma, divenuto discepolo degli apostoli, divento maestro
delle genti e trasmetto in maniera degna le cose tramandate a quelli che si son fatti discepoli della
verità. 2. Chi infatti, rettamente istruito e fattosi amico del Verbo, non cerca di imparare
saggiamente le cose che dal Verbo furono chiaramente mostrate ai discepoli? Non apparve ad
essi il Verbo, manifestandosi e parlando liberamente, quando dagli increduli non fu compreso, ma
guidando i discepoli che, da lui ritenuti fedeli, conobbero i misteri del Padre? 3. Egli mandò il Verbo
come sua grazia, perché si manifestasse al mondo. Disprezzato dal popolo, annunziato dagli
apostoli, fu creduto dai pagani. 4. Egli fin dal principio apparve nuovo ed era antico, e ognora
diviene nuovo nei cuori dei fedeli. 5. Egli eterno, in eterno viene considerato figlio. Per mezzo suo
la Chiesa si arricchisce e la grazia diffondendosi nei fedeli si moltiplica. Essa ispira saggezza,
svela i misteri, preannuncia i tempi, si rallegra per i fedeli, si dona a quelli che la cercano, senza
infrangere i giuramenti della fede né oltrepassare i limiti dei padri. 6. Si celebra poi il timore della
legge, si riconosce la grazia dei profeti, si conserva la fede dei Vangeli, si conserva la tradizione
degli apostoli e la grazia della Chiesa esulta. 7. Non contristando tale grazia, saprai ciò che il
Verbo dice per mezzo di quelli che vuole, quando vuole. 8. Per amore delle cose rivelateci vi
facciamo partecipi di tutto quanto; per la volontà del Verbo che lo ordina, fummo spinti a parlare
con zelo.
La vera scienza
XII. 1. Attendendo e ascoltando con cura, conoscerete quali cose Dio prepara a quelli che lo
amano rettamente. Diventano un paradiso di delizie e producono in se stessi, ornati di frutti vari, un
albero fruttuoso e rigoglioso. 2. In questo luogo, infatti, fu piantato l'albero della scienza e l'albero
della vita; non l'albero della scienza, ma la disubbidienza uccide. 3. Non è oscuro ciò che fu scritto:
che Dio da principio piantò in mezzo al paradiso l'albero della scienza e l'albero della vita,
indicando la vita con la scienza. Quelli che da principio non la usarono con chiarezza, per l'inganno
del serpente furono denudati. 4. Non si ha vita senza scienza, né scienza sicura senza vita vera,
perciò i due alberi furono piantati vicino. 5. L'apostolo, comprendendo questa forza e biasimando
la scienza che si esercita sulla vita senza la norma della verità, dice: «La scienza gonfia, la carità,
invece, edifica». 6. Chi crede di sapere qualche cosa, senza la vera scienza testimoniata dalla vita,
non sa: viene ingannato dal serpente, non avendo amato la vita. Lui, invece, con timore conosce e
cerca la vita, pianta nella speranza aspettando il frutto. 7. La scienza sia il tuo cuore e la vita la
parola vera recepita. 8. Portandone l'albero e cogliendone il frutto abbonderai sempre delle cose
che si desiderano davanti a Dio, che il serpente non tocca e l'inganno non avvince; Eva non è
corrotta ma è riconosciuta vergine. Si addita la salvezza, gli apostoli sono compresi, la Pasqua del
Signore si avvicina, si compiono i tempi e si dispongono in ordine, e il Verbo che ammaestra i santi
si rallegra. Per lui il Padre è glorificato; a lui la gloria nei secoli. Amen.
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