Discorso del Preside Guglielmo Neri in occasione del Trentennale del Liceo Kant di Roma Carissimi amici, è con gioia che vi vedo qui convenuti per festeggiare insieme i primi trent’anni (trentuno per l’esattezza) del nostro Liceo: e mentre vi saluto l’emozione mi prende pensando a ciascuno di voi, colleghi, a quante vicende di vita, di studi, di lavoro, a quanta passione ci ha unito per far crescere ‘al meglio’ questa scuola e a ciascuno di voi, cari ex alunni, che questa scuola, croce e delizia dei vostri giovanili anni, avete cercato di vivere ‘disperatamente al meglio’, ma con risultati personali di sicura soddisfazione. Rievocheremo oggi tutti insieme il patrimonio di vissuto della nostra Scuola che ci accomuna e ciascuno di voi potrà portare i suoi ricordi, la sua testimonianza, le sue personali considerazioni, la sua esperienza di vita svoltasi lungo l’asse del tempo in questa scuola. Comincerò io per primo, ma prima voglio dare un particolare abbraccio alle persone, che vedo qui presenti, che fin dai tempi più antichi hanno contribuito a far diventare questa scuola quella che è e dalle quali io stesso ho molto imparato : l’Ispettrice Lucia Ciarrapico, ex Preside del nostro Liceo, che oggi ci onora con la Sua affettuosa presenza; la prof.ssa Antonietta Marchionne, amica carissima prima ancora che grande consigliera e per molti anni collaboratrice di Presidenza, con la quale ho condiviso fin dai tempi del Liceo la passione per la scuola e per la cultura; il Sig. Stefano Camponeschi e il sig. Leonardo Loche, valorosi Presidenti del Consiglio di Istituto, impegnati per molti anni in forti e significative battaglie per la crescita dell’Istituto. Un altro caro abbraccio voglio dare a tutti i più vecchi alunni della scuola tornati oggi ‘a casa’, in particolare a quelli che sono stati miei alunni personali al tempo in cui insegnavo in questa scuola; e alla vecchia guardia del personale non docente della Scuola, affezionatissimi quanto silenziosi e preziosi collaboratori della scuola e, tra loro, in primis alla Sig.ra Livia Gaglione, gloriosa Segretaria della nostra scuola da tantissimi anni. Infine voglio esprimere un caro ricordo per due generosi amici e colleghi della prima ora: il prof. Lambertino e il prof. Renato Parretti, prematuramente scomparsi, che in tempi lontani hanno valorosamente contribuito a costruire il Kant delle origini. E’ con piacere che parlerò della storia di questa nostra Scuola: e non solo perché ad essa sono legato, essendone stato parte (prima, dal 1974, come insegnante e poi, dal 1989 come Preside), ma anche perché questa Scuola – per merito di tutti coloro che nel tempo vi hanno lavorato o che la hanno frequentata, rappresenta, a mio giudizio, un esempio riuscito di Scuola attiva, capace di sviluppare una solida formazione, vivi interessi culturali e un discreto grado di creatività. Se è vero che ogni Istituzione porta con sé, come marchio d’origine, lo spirito di chi per primo l’ha pensata e voluta e se è vero che tale spirito si trasmette nel tempo adattandosi ovviamente alle situazioni nuove, ma conservando le sue caratteristiche fondative, ciò trova significativo riscontro nell’origine e nella storia del “Kant”; direi, anzi, che per capire come si è sviluppato il “Kant”, con il suo impegno, il suo orientamento, le aperture e le chiusure – i “si” e i “no” che ha detto in relazione a scelte importanti e decisive – bisogna risalire alla sua ‘preistoria’. Qui troviamo una prima peculiarità nella storia del “Kant”: prima che fosse costituito dal Ministero come Liceo autonomo, il “Kant” esisteva già come idea in nuce nella mente e – permettetemi l’espressione forte-­‐ ‘nei cuori’ di un gruppo di giovani docenti che operavano nella Succursale del “Benedetto da Norcia”, ubicata nella palazzina di via Gino Dall’Oro, dove si trova ora la sede del Commissariato di Polizia di Torpignattara. Oggi questa palazzina, completamente ristrutturata, ha un aspetto dignitoso, ma a quella data – siamo alla metà degli anni Settanta-­‐ l’edificio era alquanto malridotto, umido, sprovvisto di palestra, biblioteca e men che meno laboratori, circondato per un lato da case e per l’altro da un campo incolto e desolato, pieno di sterpaglie, zanzare e topi: ma – e qui notiamo un altro aspetto peculiare che caratterizzerà nel tempo la nostra Scuola-­‐ già da allora era frequentato da una gioventù viva, da ragazze e ragazzi provenienti da famiglie di lavoratori, animati dal desiderio di apprendere ed “impadronirsi” della cultura, interessati al confronto critico e con la voglia di impegnarsi nello sforzo di rinnovamento della società. E fu così che, in quel periodo e in quelle circostanze, nacque la prima idea del “Kant”. Quel gruppo di docenti, che già vivevano in un clima di disagio istituzionale per l’arretratezza in cui versava la Scuola italiana, che in più vivevano direttamente una situazione di marginalità professionale, ma che al tempo stesso erano sollecitati dall’esigenza di rispondere adeguatamente ai bisogni formativi di “quei” giovani, maturarono la convinzione di impegnarsi seriamente per cambiare la struttura della vecchia Scuola, combattendo contro i suoi limiti, rompendone le rigidità e le abitudini burocratiche e battendosi per un sistema formativo centrato sul reale diritto degli studenti ad apprendere. La Scuola doveva diventare, secondo il loro punto di vista, peraltro condiviso dai docenti di molte altre scuole italiane, uno strumento per dare, a chi impara, centralità, e a chi insegna responsabilità vera, offrendo a tutti il massimo di opportunità e di qualità formativa. Muovendosi in questa direzione, appariva allora anche chiaro che nella Scuola si sarebbe giocata una delle grandi scommesse democratiche del Paese: opponendosi alle disuguaglianze nel tentativo di eliminare le discriminazioni sociali, la Scuola doveva essere per tutti un impegno per una società più colta, libera e consapevole. Va detto che storicamente la scuola italiana non era mai stata la scuola di tutti, ma una scuola per la selezione delle èlite; poi negli anni Settanta la scuola era sì diventata di massa, ma non era ancora riuscita istituzionalmente e tecnicamente a trasformarsi in una scuola “di tutti e per tutti”, e il Liceo classico, in particolare, continuava a propinare un modello educativo elitario, con esiti pesantemente infausti nei risultati scolastici, oltre che nella stessa qualità degli insegnamenti. Per cambiarla veramente la scuola, prima ancora delle riforme che sarebbero poi venute negli anni (la possibilità di attivare sperimentazioni, l’autonomia scolastica ecc.), quei docenti ritenevano che bisognava innanzitutto concentrarsi sul cambiamento della vita scolastica nella sua quotidianità; bisognava migliorare la didattica attraverso nuove capacità di articolazione metodologica dei contenuti, di flessibilità strumentale oltre che curricolare, di personalizzazione degli apprendimenti, di valutazione oggettiva ma anche ‘riflessiva’ – il che significava per quei docenti mettersi in discussione, assumersi la responsabilità di avviare un processo lungo e non facile che implicava modificazioni di mentalità, di stili di lavoro, di rapporti professionali… Fu così che quasi ogni giorno si discuteva, ci si confrontava, si approfondivano i problemi metodologici, didattici, organizzativi e sempre più si avanzava sul terreno della chiarezza delle idee; nel giro di alcuni anni, grazie ai discorsi e alle discussioni avvenute al loro interno, a quei docenti risultò ormai chiaro che la trasformazione didattica della loro Scuola doveva in realtà poggiare su poche e semplici idee di riferimento da sviluppare in un ampio arco di tempo, coinvolgendo e omogeneizzando su questo terreno i nuovi docenti che via via sarebbero entrati a far parte della Scuola. Detto un po’ schematicamente bisognava realizzare: primo, una didattica centrata sulla persona, con percorsi consapevoli, temi e metodologie finalizzate all’apprendimento individuale e collettivo al massimo livello di potenzialità possibile per ogni studente. (in particolare, la didattica doveva tendere ad avere un taglio il più possibile interattivo e relazionale); secondo, una organizzazione didattica reticolare e cooperativa ,capace di superare il modello degli insegnanti solitari, ciascuno con il suo pezzetto di sapere e il suo angolo di strumentazione. Quello che doveva radicalmente cambiare erano le relazioni interne tra gli insegnanti: perché nella scuola si esternasse una dimensione organizzativa nuova, le relazioni tra gli insegnanti dovevano essere improntate alla cooperazione, alla sinergia, al senso del team docente come struttura di base del lavoro dei docenti stessi; infine ultimo, ma non ultimo per importanza, la trasformazione didattica doveva poggiare su una cultura profonda dei contesti di apprendimento. I contesti di apprendimento (dall’organizzazione “forte” della vita della Scuola, con regole certe e precise, ai “tempi” – una programmazione calibrata e coerente delle attività-­‐, ai “luoghi” – i musei, i luoghi della ricerca, i luoghi di lavoro, la città-­‐, alle metodologie – il più possibile motivanti, attive, basate sulla ricerca-­‐ azione) dovevano essere il cuore da cui muovere una didattica che non fosse un’arte estemporanea, ma avesse competenze proprie e fosse capace di giungere a risultati di vera qualità. Appariva evidente a quei docenti che, se si fosse veramente realizzato quanto sopra, da ciò sarebbe naturalmente scaturito anche un nuovo modello di scuola: una scuola gratificante, amichevole, mite e per quanto possibile serena, perché in essa a tutti sarebbe stato possibile vivere come attori protagonisti, come attori sociali pieni, non rispettivamente come semplici docenti o semplici studenti o semplici genitori . Questa dimensione complessiva di vita nel tempo avrebbe poi aperto molte più finestre alla scuola di quanto non si potessero immaginare, sia in ordine alla reciprocità tra insegnanti, alunni e genitori, fino ad allora insufficientemente coinvolti nella scuola, sia in ordine ai molteplici aspetti sociali, economici e anche fisici della stessa vita della scuola. Si pensi, per fare solo qualche esempio, alla possibilità di costruire progetti di solidarietà, di salvaguardia della natura e dell’ambiente, agli scambi interculturali, o alla possibilità di trasformare radicalmente il vissuto scolastico quotidiano (classi aperte, corsi e attività laboratoriali pomeridiane ecc.) o anche semplicemente alla possibilità di trasformare l’ ambiente fisico della Scuola (ma perché ancor oggi le scuole devono essere spesso un’ atopia dalla quale docenti e studenti preferirebbero molto spesso fuggire, piuttosto che avere colori gradevoli, quadri e fotografie alle pareti, fioriere e spazi attrezzati e personalizzati per favorire la socializzazione interna dei docenti, degli studenti, dei genitori?) Va detto, a questo punto, che accanto alla necessità di una profonda e progressiva trasformazione della didattica, anche su un altro tema si era sviluppato il dibattito di quei professori: sulla necessità per la nostra scuola di diventare scuola autonoma. La didattica, a maggior ragione se innovativa e sperimentale, aveva bisogno di un indirizzo unitario e di riferimenti certi sul piano normativo – cose che l’autonomia, con un proprio preside e propri organi di Istituto (Collegio docenti, Consiglio di Istituto), avrebbe adeguatamente assicurato; inoltre, con l’autonomia la scuola si sarebbe radicata con maggior forza e sintonia in quello che era il suo “proprio” Territorio. Si notava, infatti, che il contesto territoriale di anno in anno si allargava in relazione al fatto significativo che la scuola era collocata lungo l’asse viario della Casilina: il numero degli alunni cresceva e la maggioranza di loro non proveniva più dalle zone circostanti (Torpignattara, propaggini del Tuscolano e di Centocelle, Torrespaccata), ma, convogliati direttamente per mezzo di autobus e trenini, giungeva dai quartieri sorti oltre il raccordo anulare – quartieri peraltro di grande deprivazione culturale, per i quali la scuola diventava un fondamentale riferimento strategico. Non so quanto al Ministero e in Provveditorato fossero convinti a pieno della validità di costruire un nuovo liceo classico autonomo a Torpignattara, considerato il fatto che si prevedeva che la pressione demografica negli anni a venire sarebbe diminuita; ma i docenti e i genitori della Succursale del “Benedetto da Norcia” lo richiesero con forza e, così come si era deciso per il Liceo scientifico “Francesco d’Assisi” di Centocelle, di dare autonomia alle sue succursali man mano che numericamente si dilatavano, allo stesso modo fu deciso per la Succursale del “Benedetto da Norcia”, la quale nel frattempo, sotto la spinta dell’incremento della popolazione scolastica, aveva trovato anche una nuova parziale collocazione all’ultimo piano di questa che era allora la sede della scuola elementare “Ciro Menotti”, oramai in decremento. Fu così che dal primo settembre 1980 aprì i battenti il nostro liceo, che di lì a poco avrebbe assunto il nome di Liceo classico “I. Kant”. Il nuovo piccolo Liceo, dotato di un corpo docente dalle idee determinate e costituito da circa trecento alunni, ebbe la fortuna di avere come prima Preside una donna, la prof.ssa Lucia Ciarrapico, giovane e intraprendente, appassionata di didattica (particolarmente quella della Matematica), capace di applicare il diritto con sicurezza ed equilibrio e dotata di un forte senso istituzionale della scuola. Su quest’ultimo terreno, quello della certezza del diritto e del ruolo istituzionale che come scuola si era chiamati a svolgere, la prima generazione di docenti del Liceo imparò davvero molto da lei e la scuola nascente acquisì al riguardo un vero e proprio imprinting, un carattere indelebile che si è poi mantenuto inalterato nel tempo. Ancora oggi chiunque metta piede al Kant sa che in questa scuola il rispetto del diritto è prioritario, che le norme,applicate con equilibrio e umanità, vanno rispettate da tutti; e sa che questa è una Istituzione della Repubblica, che intende esplicare in tutta la sua pienezza il mandato costituzionale della formazione dei cittadini alla libertà, alla democrazia, alla pace. La permanenza nella Scuola della Preside Ciarrapico fu tuttavia di non lunga durata (due anni), avendo ella vinto il concorso a Ispettore tecnico. Salutammo la nostra prima Preside con dispiacere, certi però del fatto che avrebbe continuato a lavorare come Ispettrice per il bene della Scuola – compito da lei egregiamente svolto ,specie nel campo della ricerca, con il suo impegno per lo sviluppo di una didattica creativa della Matematica, cui i docenti della nostra scuola hanno poi attinto. Nel 1982 subentrò come nuova Preside la prof.ssa Marcella Liberiani-­‐Santini, esperta donna di scuola che per lunghi anni era stata Vicepreside al Liceo ‘Augusto.’ La Preside Libertini si caratterizzò subito per la sua umanità: mite e comprensiva, aveva grande capacità di ascolto per gli insegnanti e per gli alunni, concretezza e notevoli capacità di mediazione. La Scuola sotto la sua guida nel corso del quinquenni navigò serena, in un clima di laboriosa attività da parte di tutte le sue componenti., affinando la didattica e dando vita alle prime sperimentazioni,quelle di Inglese, di Storia dell’Arte e del Piano nazionale di Informatica. Purtroppo all’inizio del 1986 la Preside Santini si ammalò di un male impietoso , che nel giro di pochi mesi la rapì alla scuola –e al nostro affetto. Anni dopo abbiamo posto in Biblioteca una targa commemorativa che la ricorda con semplici parole. Dopo di lei abbiamo allo stesso modo ricordato in spirito di affettuosa memoria tutti i docenti e gli alunni prematuramente scomparsi, ma ancora vivi e presenti in mezzo a noi: la prof.ssa Giovanna Salvatori, la prof.ssa Patrizia Antonioni , gli alunni Walter Nitti, Eugenio Antonelli,Francesca Montinaro e da ultima Laura Sebastianelli. In onore di alcuni di loro abbiamo anche istituito concorsi e premi per gli studenti, che ci danno l’occasione di ribadire l’ideale di una scuola di forte impegno culturale e al tempo stesso viva, creativa, mite e serena. Nell’anno 1987-­‐88 e in quello successivo fu Preside della nostra scuola la prof.ssa Maria De Rosa Abete, che aveva già alle spalle una discreta carriera di Presidenza. Preside abile e intelligente, con forte senso dell’organizzazione scolastica, contribuì anche Lei non poco a rinforzare la nostra scuola e a proiettarla con maggiore incisività verso il Territorio. In quest’ultima direzione è poi negli anni della mia presidenza, dal 1989 in poi, che si assiste ad un’ ulteriore avanzata del ‘Kant’, prima con un sensibile incremento del numero degli alunni del Liceo classico, divenuti circa 500 alla metà degli anni ’90, e poi, dopo l’apertura dell’indirizzo linguistico avvenuta nel 1995, con una vertiginosa espansione del numero degli alunni di questo secondo indirizzo, attualmente superiore alle 700 unità. Aggiungo per inciso che dal punto di vista didattico la maggiore incisività si è avuta anche per il fatto che da quegli anni la nostra scuola si è collegata in Rete (la Rete delle scuole del XIV e XV Distretto) con altre scuole di base e superiori del Territorio, dando vita a iniziative di progetto, di studio, di orientamento, di azione comune. Indubbiamente l’apertura del Linguistico nel 1995 -­‐ il primo Liceo Linguistico pubblico sorto nel settore sud-­‐est della città -­‐ ha segnato un momento di svolta nella storia della nostra scuola, non solo per l’incremento quantitativo che ha trasformato il ‘Kant’ da scuola medio-­‐piccola a scuola di grande dimensione, ma anche per lo sviluppo qualitativo della didattica in nuove impegnative direzioni. Questa dell’apertura del Liceo Linguistico, filiazione di un Classico, è stata davvero una grande sfida, sostenuta con impegno dai docenti del Kant che si sono cimentati con entusiasmo in un obiettivo preciso: dare ai ragazzi del Linguistico la stessa qualità formativa, la stessa serietà nel metodo di lavoro, lo stesso rigore di conoscenze e competenze del Classico, muovendosi tuttavia su un terreno di maggiore apertura verso didattiche di tipo laboratoriale nonché verso confronti, scambi ed esperienze di respiro europeo. Ecco io mi fermo qui. Ho tracciato un rapido quadro sullo spirito con cui è nata la nostra scuola e si è poi sviluppata negli anni successivi fino ad oggi. Un quadro completo delle esperienze didattiche attuate nella scuola e delle attività più significative svolte in questi anni verrà svolto per esteso dal prof. Dell’Omo, decano dell’Istituto, e da altri docenti della scuola in un libretto di prossima pubblicazione che metteremo a disposizione di quanti lo desiderino e che pubblicheremo anche sul nostro sito internet; lascio invece spazio agli interventi di due valorosi docenti, uno del Classico e uno del Linguistico, che illustreranno il lavoro didattico che viene oggi fatto in concreto nei due indirizzi della scuola -­‐lavoro che è il risultato di un cammino avviato da molti anni e che auguro che possa continuare e dare frutti sempre migliori a benefico di tutti i giovani studenti del Territorio Casilino della nostra città. Roma 31 maggio 2012 
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