Anteprima Estratta dall' Appunto di Logica
e metodologia giuridica
Università : Università degli studi di Palermo
Facoltà : Giurisprudenza
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1
FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA
SEDE DI AGRIGENTO
ANNO ACCADEMICO 2006-2007
MODULO “METODOLOGIA GIURIDICA” (3 CFU) DEL CORSO
“LOGICA E METODOLOGIA GIURIDICA”
PROF. VITTORIO VILLA
UNA
TEORIA
ORIENTATA
DELL’INTERPRETAZIONE
PRAGMATICAMENTE
INDICE
CAP. I
ALCUNE DEFINIZIONI PREGIUDIZIALI
e.c
om
Premessa
Metodo e metodologia
I vari significati di “interpretazione”
L’interpretazione della legge e il passaggio dalla disposizione alla norma
Teoria dell’interpretazione giuridica e teoria dell’argomentazione.
L’aspetto strutturale dell’interpretazione giuridica come oggetto
dell’indagine
Ct
rib
1)
2)
3)
4)
5)
AB
CAP. II
LE TRE GRANDI TEORIE DELL’INTERPRETAZIONE GIURIDICA
1)
2)
3)
4)
5)
Considerazioni introduttive
Il formalismo interpretativo
L’antiformalismo interpretativo
Le teorie miste: l’approccio tradizionale di Hart
Il presupposto semantico comune di tutte e tre le teorie
CAP. III
LA TEORIA PRAGMATICAMENTE ORIENTATA COME NUOVO TIPO DI
TEORIA MISTA
1)
2)
Un nuovo punto di partenza: la connessione concettuale fra
interpretazione e significato e la teoria dinamica del significato
Una teoria pragmaticamente orientata del significato: a) le basi
filosofiche della teoria
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2
3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
Una teoria pragmaticamente orientata del significato: b) il
contestualismo linguistico
Una teoria stratificata e a formazione progressiva del significato:
“significato in senso ampio” e “significato in senso stretto”
Una teoria inclusiva e dualistica del “significato in senso debole”
La dimensione del “senso”
La dimensione del “riferimento”
La formazione progressiva del significato: la “dimensione
convenzionale” (fase della scoperta) e la “dimensione contestuale” (fase
della creazione)
Le varie fasi del processo di attribuzione del
senso e del riferimento
CAP. IV
IMPLICAZIONI DELLA TEORIA PRAGMATICAMENTE ORIENTATA
om
La distinzione fra interpretazione dottrinale e interpretazione operativa
La teoria dell’interpretazione come teoria “olistica in senso debole”
La teoria dell’interpretazione come teoria “interazionistica”
Conclusioni
AB
Ct
rib
e.c
1)
2)
3)
4)
CAP. I
ALCUNE DEFINIZIONI PREGIUDIZIALI
1) Premessa
In questo corso parlerò della teoria dell’interpretazione giuridica, proponendone
un particolare approccio, che chiamerò “teoria pragmaticamente orientata”. Il tema si
inserisce perfettamente all’interno dell’ambito disciplinare di cui ci stiamo
occupando, delimitato dal titolo “Logica e metodologia giuridica”. All’interno di
questo ambito, il mio corso di lezioni riguarda il modulo “metodologia giuridica”.
Ebbene l’interpretazione giuridica, come vedremo, costituisce una parte importante
del metodo giuridico, e cioè del complesso di “operazioni su norme” svolte da giudici
e giuristi.
Non è difficile rendersi conto del perché. Senza il preliminare lavoro di
attribuzione di significato agli enunciati giuridici (essenzialmente in questo, come
vedremo, consiste l’interpretazione giuridica, nel suo significato paradigmatico) non è
possibile, per il giurista, procedere nel suo lavoro di ricostruzione dogmatica dei vari
istituuti giuridici, all’interno del singolo settore del diritto di cui egli si occupa (civile,
penale, amministratico, costituzionale, ecc.); e non è parimenti possibile, per il
giudice, svolgere il suo compito precipuo, applicare il diritto ai casi concreti.
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3
AB
Ct
rib
e.c
om
Tuttavia, nonostante il fatto che all’interpretazione giuridica sia universalmente
riconosciuto questo ruolo di elemento necessario e pregiudiziale per lo svolgimento
delle pratiche “ordinarie” dei giudici e dei giuristi, a ciò non ha corrisposto,
perlomeno sino alla fine degli anni “70 del secolo scorso, un’eguale attenzione da
parte dei teorici del diritto. Nelle teorie del diritto tradizionali l’interpretazione viene
tutto sommato considerata come un “argomento di settore”, sia pure importante. Se,
ad esempio, prendiamo in considerazione l’opera di Kelsen, certamente il più
importante teorico del diritto del secolo scorso, vediamo che nei suoi lavori principali
(ad esempio nella Dottrina pura del diritto), l’interpretazione giuridica è discussa nei
capitoli finali (nella Dottrina pura si trova all’ultimo capitolo), e dunque dopo che
sono stati affrontati e risolti tutti i problemi legati all’esistenza stessa del diritto. Per
Kelsen, insomma, l’interpretazione interviene su di un diritto di cui è già stata
accertata, in modo indipendente rispetto all’interpretazione, l’esistenza (alla luce della
categoria della validità); l’interpretazione, dunque, non partecipa al processo
attraverso il quale le norme giuridiche vengono ad esistenza.
Oggi, invece, alcune fra le opere più significative di teoria del diritto sono
declinate come teorie dell’interpretazione. E’ il caso, ad esempio della teoria di
Dworkin (si veda L’impero del diritto) e della teoria di MacCormick (si veda
Ragionamento giuridico e teoria del diritto). Mi sembra opportuno indicare alcune
delle ragioni che giustificano il diverso ruolo che l’interrpetazione gioca nelle teorie
giuridiche contemporanee.
Una prima ragione, di carattere teorico-generale, è legata alla diffusione, sia
nell’area ermeneutica che nell’area analitica (la quale ultima rappresenta il punto di
riferimento filosofico di queste lezioni), di una concezione che può essere
opportunamente etichettata come “teoria del diritto come pratica sociale”. Secondo
questa concezione, nella versione che ne dà Hart (ne Il concetto di diritto), si può
affermare che le regole sociali (la categoria più generale che ingloba le regole
giuridiche) esistono in senso proprio se e solo se vengono riconosciute come tali, e
dunque accettate, dai membri di una comunità di persone che seguono regole; e una
delle condizioni necessarie dell’accettazione è rappresentata dall’interpretazione del
contenuto dele regole stesse. Da questo punto di vista, insomma, a differenza di
quanto sostenuto da Kelsen, l’interpretazione delle regole rappresenta un elemento
costitutivo della esistenza stessa delle regole come fenomeni normativi.
Una seconda ragione è legata al diverso ruolo che viene unanimemente
riconosciuto all’interpretazione, soprattutto a quella giudiziale, negli odierni stati di
diritto costituzionali. E’ opinione largamente diffusa (si veda ad esempio il volume di
Ferrajoli Diritto e ragione) che l’interpretazione giudiziale (ma sotto certi profili
anche l’interpretazione dottrinale) intervenga direttamente nella fase
dell’accertamento della validità delle norme legislative, e proprio per il fatto che tale
accertamento non riguarda più soltanto l’esame delle loro caratteristiche formali
(come sosteneva Kelsen), ma anche il giudizio sulla conformità o meno del loro
contenuto rispetto a quello dei principi costituzionali.
In linea più generale, si può notare come oggi torni prepotentemente alla ribalta,
con argomenti più solidi che in passato, la tesi secondo cui l’interpretazione
giudiziale (e per qualche aspetto l’interpretazione dottrinale) costituisce una vera e
propria fonte di diritto, e non solo per quanto detto sopra a proposito
dell’accertamento della validità delle norme, ma anche per il suo continuo lavoro di
attualizzazione e di specificazione dei messaggi normativi del legislatore, svolto a
contatto con i casi concreti. Tale lavoro si carica peraltro oggi, in un sistema giuridico
come il nostro, di nuovi e importanti compiti interpretativi, perché mette
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4
costantemente a contatto giudici e giuristi, sul versante “interno”, con principi
costituzionali che tendono sempre più ad essere direttamente applicati nelle
controversie (il nostro ordinamento è infatti attraversato dal fenomeno della
“costituzionalizzazione”, come sostiene Guastini); e, sul versante “esterno”, con
norme sovra-nazionali delle quali si tratta di accertare le credenziali ai fini del loro
ingresso nel sistema.
2) Metodo e metodologia
AB
Ct
rib
e.c
om
Ho detto prima che l’interpretazione giuridica è una componente fondamentale
del metodo giuridico. Prima di entrare nel merito dei problemi dell’interpretazione
giuridica, mi sembra importante chiarire cosa può intendersi per “metodo”, e non
solo, naturalmente, all’interno delle attività giuridiche, ma di tutte quelle attività lato
sensu “scientifiche”, con riferimento alle quali l’espressione è largamente usata. A
questo scopo, per ragioni di comodità esplicativa, qualificherò le attività “conoscitive”
svolte da giuristi e giudici come analoghe a quelle “scientifiche”, senza fornire delle
giustificazioni per tale tipo di caratterizzazione. Mi preoccuperò dunque, qui di
seguito, di dare delle definizioni di “metodo scientifico” e della disciplina che assume
il metodo come oggetto di indagine (la “metodologia”).
Con “metodo scientifico” intendo riferirmi a quella <<serie di criteri volti a
guidare gli scienziati nel corso della loro attività di ricerca, criteri che indicano, per
ogni situazione di ricerca (la costruzione di una teoria, il controllo empirico di
un’ipotesi, la scelta fra più teorie in competizione, ecc.), quali mosse scegliere (ad
esempio, il principio di verificazione come criterio fondamentale di controllo
empirico) e quali mosse evitare (ad esempio, la conformità del contenuto di una teoria
con quanto asserito da alcuni “libri sacri”)>>.
Dalla definizione di “metodo scientifico” può facilmente derivarsi quella di
“metodologia”. Questa disciplina, in sostanza, assume il metodo come oggetto di
indagine, nei vari contesti disciplinari in cui esso viene a collocarsi. La metodologia,
pertanto, studia il metodo, e può farlo essenzialmente in due modi.
Una metodologia in funzione ricostruttiva si propone il compito di selezionare e
mettere in evidenza quelli che vengono ritenuti (dal punto di vista di una concezione
di “scienza” presupposta) i migliori criteri metodologici adottati all’interno di uno o
più contesti discipinari. Si può ad esempio ritenere, nei contesti disciplinari
rappresentati dalle scienze naturali, che il criterio di falsificazione (sottoporre una
teoria a serrati tentativi di falsificazione), adottato da una parte degli scienziati,
costituisca un criterio migliore, più conducente, rispetto al criterio di verificazione
(che implica il sottoporre la teoria a controlli di segno positivo).
Una metodologia in funzione rigidamente prescrittiva si propone invece il
compito di dettare agli scienziati le regole da usare, perché le migliori in assoluto,
indipendentemente dai criteri che essi di fatto usano. Un atteggiamento di questo tipo
è quello adottato dal teorico del diritto Alf Ross quando sostiene che i giuristi
dovrebbero comportarsi come gli scienziati empirici, e dunque usare il principio di
verificazione come criterio di controllo per le loro ipottesi; e questo
indipendentemente dal fatto che tale criterio non viene in pratica usato all’interno
delle pratiche giuridiche dei giuristi che lavorano all’interno delle nostre
organizzazioni giuridiche di tipo occidentale.
Non è difficile, a questo punto, fornire una definizione di “metodo giuridico”.
Per esso intendiamo <<i criteri adottati - o da adottare - da giuristi e giudici nello
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