Università “G. d'Annunzio”
Dipartimento di Scienze giuridiche
Costituzione economica e regole elettorali
di Giampiero Di Plinio
n° 7 / 2008
GIAMPIERO DI PLINIO
Costituzione economica e regole elettorali
1
1. Esistono criteri oggettivi
di valutazione delle regole elettorali?
È DIFFUSA LA CONVINZIONE che l’attuale legge elettorale
costituirebbe una vistosa violazione di indirizzi costituzionali
(materiali) avviati all’inizio degli anni novanta tendenti a costruire in Italia un sistema politico bipolare fondato
sull’alternanza, mirando al contrario a una “riproporzionalizzazione”, corretta, se così si può dire, da meccanismi di signoraggio delle posizioni di capolista in una pluralità di circoscrizioni e dal meccanismo delle liste bloccate.
Un esito positivo del referendum abrogativo della legge
270/2005, pressando i partiti a creare aggregazioni finalizzate all’unificazione della rappresentanza sino dalla fase preelettorale, e conseguentemente azzerando la frammentazione
delle liste, inaugurerebbe un processo di restyling basato essenzialmente su una radicale semplificazione, senza pregiudizio per il diritto di tribuna di forze politiche minori i cui consensi superino le soglie di sbarramento. In conclusione: «il
bipolarismo, inveratosi nel bipartitismo, ne guadagnerebbe in
chiarezza e responsabilità» 2 .
In A. Barbera e G. Guzzetta (eds.), Il governo dei cittadini.Referendum elettorali e riforma della politica, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007.
1
G. Guzzetta, Un nuovo referendum elettorale, in P. Mantini et al. (cur.), Riforme costituzionali e referendum, Roma, Gangemi, 2006.
2
125
Ma perché un tale esito costituisce un “valore”? Per quali
ragioni non soggettive il bipartitismo (o il bipolarismo) sarebbe preferibile al multipartitismo e alla frammentazione?
Come si fa (data la riserva di legge in materia di sistema elettorale) a sostenere seriamente, in termini giuridici, che il maggioritario è ‘preferibile’ al proporzionale (più o meno manipolato)?
Le differenti (spesso radicalmente opposte) valutazioni
non sono, da questi punti di vista, soddisfacenti, sia quando
sono mosse da appassionati intenti di difesa del “proporzionale” 3 , ma anche quando fanno leva sulla “governabilità”, o
sulla “immediatezza” della democrazia, e così di seguito.
Tutti questi argomenti incontrano una doppia difficoltà:
la prima, pratica, che non reggono al vaglio dell’evidenza
empirica; la seconda, teorica, che sono stati sempre privi di
copertura costituzionale, o meglio (che è la stessa cosa) hanno tutti fatto ricorso ad argomenti bizzarri per tentare di
dimostrarne la copertura costituzionale. Ciascun modello,
infatti, è presentato come migliore dell’altro in relazione a
qualcosa, a un qualche concetto forte recuperato nelle pieghe
del grande mantello del costituzionalismo dei valori.
L’oggettività scientifica va conseguentemente, e irrimediabilmente, perduta, specie nella misura in cui la costituzione
dei valori riassume le sue reali sembianze di costituzione degli interessi, e a volte finisce per fornire legittimazione, nel
più vistoso italian style, a splendidi e invisibili disegni, tratteggiati dalle “manine” dei signori della legislazione, per la costruzione di leggi elettorali “ad hoc”, dalla legge “truffa” del
1953 ad, appunto, quella, “suinamente” aggettivata, del 2005.
3 V. ad esempio C. De Fiores, Rappresentanza politica e sistemi elettorali in
Italia, in www.costituzionalismo.it (16 ottobre 2007), il quale però dimentica, nella sua ricostruzione storica, di evidenziare come l’avvento e il
successo della “proporzionale” nel costituzionalismo democratico moderno deve essere necessariamente coniugato (e spiegato) con il dualismo
radicale caratterizzante le forme di governo ottocentesche, da un lato, e
con i precedenti “censitari” della legislazione elettorale del periodo liberale, dall’altro.
126
Un solido teorema spiega l’impossibilità di definire validamente a priori un criterio di scelta sociale 4 (e dunque anche di scelta di un sistema elettorale piuttosto che un altro).
Di conseguenza, un’analisi oggettiva dei modelli elettorali
dovrà essere fondata su parametri e indicatori generalmente
accettati e scientificamente utilizzabili. Si tratta, come qualcuno sostiene, di assumere «criteri empirici di scelta, alla luce
dei quali valutare le diverse alternative» 5 ; tuttavia, non ha
senso identificare tali criteri con “quello che fanno gli altri",
e “quello che suggeriscono gli esperti” 6 , nel primo caso per
ragioni tanto evidenti quanto banali, nel secondo perché gli
“esperti” (anche quelli che “non sono in vendita”), intanto
bisogna identificarli, per poi scoprire che hanno detto tutto e
il contrario di tutto. E in entrambi i casi manca il tertium comparationis.
Più aderente alle esigenze di scientificità sarebbe il metodo di «individuare i principali fenomeni economici, politici e
sociali (le dimensioni, in gergo) influenzati in modo diverso dai
diversi sistemi elettorali, nel misurare attraverso opportuni
indicatori queste influenze, nel comporre queste diverse influenze in una funzione obbiettivo da massimizzare, e nel
valutare, mediante opportune simulazioni, quale valore assume questa funzione in corrispondenza dei diversi sistemi
elettorali» 7 .
Adattando questo approccio, propongo il ricorso a due
serie di indicatori: a) quelli ereditati dal costituzionalismo
classico 8 ; b) quelli introdotti dalla nuova costituzione eco4
K.J. Arrow, Social Choice and Individual Values, New York, Wiley, 1951.
5 G. Ortona, La scelta del sistema elettorale: cosa fanno gli altri? E cosa dicono gli
esperti?, in www.costituzionalismo.it.
6
Così invece propone Ortona, op. ult. cit.
Sempre Ortona, op. cit., che però dichiara espressamente che non seguirà tale approccio, malgrado abbia prodotto «interessanti risultati».
7
Riassumibili nel dogma della limitazione del potere di fronte ai diritti di
libertà e nei suoi corollari, esattamente nel senso in cui lo interpreta C. H.
McIlwain, Constitutionalism: Ancient and Modern, Ithaca, Cornell University
8
127
nomica “europea”. Sul primo versante, di cui non mi occuperò in questo lavoro, viene in rilievo da un lato il confronto
dinamico tra il principio di corrispondenza tra potere e responsabilità, e dall’altro il grado di variazione delle posizioni
di potere di fatto risultanti da ciascuno dei sistemi elettorali
considerati rispetto alle posizioni di diritto disegnate
dall’ordinamento costituzionale formale.
Sul secondo, su cui invece mi intratterrò, si profila una
indagine dell’impatto dei sistemi elettorali su alcune grandezze macroeconomiche e di bilancio e sui loro corollari.
Proverò a esaminare tale impatto attraverso due passaggi.
In primo luogo, verificherò – alla luce delle impostazioni
teoretiche e delle evidenze empiriche di volta in volta raggiunte dalla dottrina economica – una serie di valutazioni di
performance dei modelli elettorali e dei loro prodotti (bipartitismo, frammentazione etc.) in rapporto a oggetti specifici a
rilevanza macroeconomica (equilibri di finanza pubblica,
dimensione delle pubbliche amministrazioni, efficienza e
rapidità della spesa e altro).
In secondo luogo, tenterò di misurare, anche dal punto
di vista dell’analisi economica del diritto costituzionale, la
valenza giuridico-costituzionale dei risultati ottenuti alla luce
delle variazioni costituzionali indotte dall’impatto della liberalizzazione dei mercati, dall’attuazione degli obblighi di Maastricht, dalla costruzione giurisprudenziale (soprattutto europea e costituzionale) dei principi della nuova costituzione
economica, dalle riforme legislative degli anni novanta, e
dalla riforma costituzionale del 2001.
Press, 1947. Sul punto v. A.Pace, Le sfide del costituzionalismo nel XXI secolo,
in Dir. pubbl., 3/2003, 887 ss.; A. Di Giovine, Le tecniche del costituzionalismo
del ’900 per limitare la tirannide della maggioranza in G.M. Bravo (cur.) La
democrazia tra libertà e tirannide della maggioranza nell’Ottocento,Torino, Olschki, 2004.
128
2. Gli effetti economici delle costituzioni.
L’interesse degli economisti per la materia “costituzionale” e
segnatamente per gli strumenti giuridici di selezione della
classe politica di governo è fortemente cresciuto in questi
ultimi anni.
In passato, la competizione elettorale è stata rappresentata come un mercato i cui consumatori sono gli elettori, e in
cui i politici, sebbene non possano essere letteralmente “acquistati o venduti” (almeno in senso economico, e lasciando
da parte l’andamento reale delle cose …), sono “misurati”
dal numero dei voti che ottengono nelle elezioni; in altre
parole, in questo mercato il prezzo della merce (i politici) è
determinato dal voto. I politici, come detentori del potere di
“offerta”, entrano in competizione tra loro per assicurarsi il
maggior numero di voti possibile, facendo promesse programmatiche; di conseguenza, la competizione tra i partiti è
nelle mani degli elettori, almeno fino alla chiusura dei seggi.
Ma cosa accade dopo? La merce che gli elettori hanno comprato è effettivamente buona o diventa “avariata” dopo pochissimo tempo? I politici rispetteranno le promesse fatte
agli elettori? In realtà, la faccenda è molto più complessa di
quanto questi modellini riescono a rappresentare. Infatti,
fino a quando sono rimasti su questo piano “privatistico” di
analisi, gli economisti hanno sperimentato notevoli problemi
sia a livello teorico, sia nelle evidenze empiriche.
Una rivoluzione metodologica sembra avviata da una citatissima monografia 9 , i cui autori, Torsten Persson e Guido
Tabellini (di seguito, in breve, P&T), hanno dettagliatamente
scandagliato, sia dal punto di vista teoretico che sul versante
delle evidenze empiriche, le conseguenze economiche di
segmenti rilevanti del diritto costituzionale (forme di goverT. Persson e G. Tabellini, The Economic Effects of Constitutions, Cambridge, MA, MIT Press, 2003.
9
129
no e sistemi elettorali) in un cospicuo numero di “democrazie consolidate”.
La ricerca, che costituisce un importante avanzamento
nella letteratura in constitutional political economy 10 , ha ricevuto
un’accoglienza entusiastica ed è stata subito oggetto di un
notevole numero di revisioni adesive o critiche 11 . Essa indaga gli effetti delle forme di governo (semplificate nella dicotomia parlamentare/presidenziale) e dei sistemi elettorali
(maggioritario/proporzionale, con attenzione anche ad altri
fattori, quali la dimensione dei collegi elettorali, il ruolo delle
liste, e altro), su tre gruppi di variabili di rilievo economico:
a) la politica finanziaria (dimensione del “pubblico”, spesa,
pressione fiscale, disavanzo di bilancio, welfare); b)
l’efficienza della pubblica amministrazione (con riguardo
anche al grado di corruzione); c) produttività del lavoro nel
contesto della produttività totale del sistema economico.
L'item sub a) è misurato sincronicamente e diacronicamente.
Dal punto di vista dell’indagine sugli effetti economici
delle forme di governo, il citato studio di P&T si fonda sul
postulato, elementare per la dottrina costituzionalistica, che
la separazione dei poteri è notevolmente più marcata nei
10 In particolare, la ricerca prosegue e completa diversi lavori precedentemente pubblicati dagli stessi autori: Separation of Powers and Political Accountability (con G. Roland), in Quarterly Journal of Economics, 1997, vol.
112, 310 ss.; The Size and Scope of Government: Comparative Politics with Rational Politicians, in European Economic Review, 1999, vol. 43, 699 s.; Comparative Politics and Public Finance (con G. Roland), in Journal of Political Economy, 2000, vol. 108, 1121 ss.; Political Economics: Explaining Economic Policy,
Cambridge, MA, MIT Press, 2000. Una sintesi ragionata ed estesa, con
specifico riferimento agli effetti economici dei sistemi elettorali si può
leggere in T. Persson e G. Tabellini, Electoral Systems and Economic Policy, in
B. Weingast and D. Wittman, (eds.), Handbook of Political Economy, Oxford
University Press, 2006.
Si vedano, tra i commenti più recenti, D. Acemoglu, D., Constitutions,
Politics and Economics: A Review Essay on Persson and Tabellini’s The Economic
Effects of Constitutions, in Journal of Economic Literature, 2005, XLIII (Dec.),
1025 ss.; D.C. Mueller, Torsten Persson and Guido Tabellini, The Economic
Effects of Constitutions, in Constitutional Political Economy, 2007, vol. 18, 63 ss.
11
130
regimi presidenziali, nei quali il governo non dipende da una
maggioranza parlamentare stabile 12 . Al contrario, nei regimi
parlamentari la necessaria “collusione” 13 tra esecutivo e parlamento, e la tendenza della maggioranza parlamentare a
varare programmi di spesa i cui benefici sono chiaramente
indirizzati a sé stessa e ai propri elettori, crea un gioco economico al rialzo che conduce a incrementalismo nella spesa
pubblica, a una più elevata pressione fiscale, e anche a un
maggiore grado di corruzione politica.
Molto più complesso, e ovviamente d’interesse più diretto in questa sede, è l’impianto teoretico dell’analisi degli impatti macroeconomici delle regole elettorali, nel contesto del
quale il modello del mercato dei voti pecca di eccessiva
semplificazione.
Nelle democrazie rappresentative, la funzione delle elezioni è la selezione di agenti ai quali è attribuita la funzione
di indirizzo politico, e il meccanismo elettorale determina
l’attribuzione della responsabilità politica da parte degli elettori agli individui o ai gruppi che essi ritengono più adeguati
a rappresentare i loro interessi.
La pluralità delle forze in gioco implica l’adozione di mediazioni e compromessi, in forma analoga a quanto avviene
in materia societaria, dove le regole di corporate governance imA quanto pare l’analisi di P&T può essere trasposta dalla mera dicotomia presidenziale/parlamentare alla più moderna «divisione a carattere
generale tra le forme di governo a legittimazione diretta e quelle a legittimazione indiretta; salvo poi specificare gli elementi istituzionali che agiscono
sull’una o sull’altra. In questo disegno «binario» emerge soprattutto il
ruolo che è chiamato ad esercitare il corpo elettorale ai fini della scelta
del Governo: in un simile contesto, allora, ci sono forme di governo che
valorizzano in maniera più ampia il principio della sovranità popolare,
altre invece che lo ridimensionano limitandolo al solo voto elettorale per
le Assemblee rappresentative» (G. di Plinio, T.E. Frosini, G. Parodi,
Corso di diritto costituzionale, Padova, Cedam, 2007; T.E. Frosini, Forme di
governo e partecipazione popolare, 2o ed., Torino, Giappichelli, 2006).
12
13 In questi passaggi utilizzo il linguaggio (semplificato dal punto di vista
delle metodologie giuridiche) dei due autori.
131
plicano un compromesso tra il problema del principal-agent e
quello della tutela delle minoranze. Un modello che concentra i poteri societari in un azionista dominante, nella misura
in cui riduce la discrezionalità degli amministratori, limita
l’incidenza dell’agency problem, ma a discapito degli interessi
degli azionisti minori. L’architettura delle regole elettorali
può essere intesa come la risultante di un analogo compromesso tra responsabilità e rappresentanza: rispetto alla formula
proporzionale, il modello plurality a collegi uninominali traduce le oscillazioni dell’elettorato in effetti radicali sulla
maggioranza di governo, rafforzando l’incentivo dei politici a
soddisfare effettivamente le esigenze degli elettori, e conseguentemente riducendo rendita politica e corruzione. Ma
nella misura in cui la maggiore responsabilizzazione rende i
candidati più aderenti ai desideri di gruppi “cardine” di elettori, essa accresce anche la propensione a indirizzare l’azione
politica a vantaggio di constituencies ristrette, piuttosto che
all’attuazione di programmi ampi e generalizzati 14 .
È noto che la nozione di sistema elettorale comprende in
realtà una pluralità di elementi: formula elettorale, (meccanismo di traduzione dei voti in seggi); b) disegno territoriale
delle circoscrizioni; modalità del voto (individuale o di lista;
esistenza o meno di preferenze) 15 .
I sistemi elettorali sono raramente costituzionalizzati 16 .
La dottrina non è mai riuscita a codificare con certezza le
loro dinamiche e le loro conseguenze. Dal punto di vista
delle scienze sociali i problemi fondamentali dei sistemi elettorali sono tre. Il primo riguarda l’effetto sull’elettorato (fo14
T. Persson e G. Tabellini, Electoral Systems and Economic Policy, cit.
Ma anche altri aspetti, come la modalità di presentazione delle liste e
vincoli per la loro formazione (primarie),le regole di propaganda elettorale (par condicio etc.); le regole sulla campagna elettorale; le regole del
finanziamento dei partiti e della campagna elettorale dei candidati.
Un’analisi comparata in G. Cox, Making Votes Count, Cambridge (UK),
Cambridge University Press, 1997.
15
16
Ciò costituisce un mistero per alcuni politologi ed economisti.
132
tografia o manipolazione delle scelte degli elettori?); il secondo l’effetto sui partiti (incidenza sul numero dei partiti e
sulla fedeltà del risultato elettorale rispetto al rapporto di
forze effettivo nella società); il terzo l’effetto sulle istituzioni
(incidenza sui valori di stabilità, efficienza, governabilità).
Rispetto al grado di rappresentatività degli organismi elettivi,
il sistema maggioritario diminuisce l’incidenza degli estremismi politici obbliga gli estremisti o a convergere al centro o
ad astenersi e secondo alcuni per questo è meno pericoloso
per il sistema democratico rispetto al proporzionale, al quale
si addebita il “paradosso di Weimar” 17 .
Rispetto agli effetti in termini di ruolo della politica, è
stato osservato che il maggioritario sminuisce la funzione
gestionale e aumenta la funzione di indirizzo del Governo, e
tende a staccare la politica dagli interessi personalizzati. Il
proporzionale, come mostra ancora l’esempio della Repubblica di Weimar (e la prima repubblica italiana) corre il rischio di drammatici effetti sull’intreccio fra partiti e gruppi di
interessi e soffre di eccessiva commistione tra affari e politica. Rispetto alla governabilità il maggioritario dovrebbe assicurare stabilità governativa, nonché trasparenza ed efficacia
materiale delle decisioni politiche data la maggiore definizione della responsabilità politica. Nel proporzionale i governi
di coalizione rischiano maggiore instabilità sia strutturale
(prepotere di piccoli partiti) che dal punto di vista della realizzazione dei programmi.
In ogni caso che la struttura del sistema elettorale ha rilievo nella configurazione della forma di governo, e in genere coinvolge problemi di classificazione del tipo di democrazia; più interessante in questa sede è l’evidenza empirica che
mostra che le regole elettorali hanno un effetto diretto e cru-
17 Cfr. C.J. Friedrich, Governo costituzionale e democrazia (1950), Vicenza,
Neri Pozzi, s.d., 420; C. Mortati, Le forme di governo, Padova, Cedam, 1973,
205.
133
ciale sul numero dei partiti 18 . Ma le leggi di Duverger servono a ben poco se non sono inquadrate in un contesto problematico più ampio, in cui gli indicatori di performance
sono desunti non tanto da modelli costituzionali più o meno
ritenuti adatti/corretti/razionali etc., quanto da risultati
quantitativi di natura macroeconomica; questo tipo di analisi
ha un avvio molto recente 19 , e si focalizza sugli effetti dei
sistemi elettorali della frammentazione politica, e su altri
consequenziali indicatori, come la dimensione e la qualità
della spesa pubblica, il debito e il deficit, la pressione fiscale,
il grado di competizione tra le forze politiche e altri che esamineremo in seguito.
In ordine al primo indicatore, la frammentazione, P&T
rilevano che l’elevato numero dei partiti generato dal sistema elettorale proporzionale implica che i tax rates non saranno stabiliti da un singolo decisore ma saranno il risultato di
una negoziazione legislativa tra una varietà di partiti, ciascuno con un suo proprio apparato e una sua propria constituency,
e saranno di conseguenza mediamente più elevati rispetto al
sistema maggioritario 20 .
Comparando la composizione della spesa pubblica nei
due sistemi, la dottrina economica ha isolato vistose differenze nelle conseguenze derivanti direttamente dalla formula
Uno studio (Rae) condotto su 107 sistemi elettorali ha verificato una
convergenza pressoché totale tra plurality e bipartitismo perfetto; va ricordata ovviamente la cosidetta “Legge di Maurice Duverger”: il maggioritario a un solo turno tende al dualismo dei partiti, il proporzionale a un
sistema di partiti multipli, rigidi e indipendenti.
18
19 L. Blume, J. Müller, S. Voigt, C. Wolf, The Economic Effects of Constitutions: Replicating – and Extending – Persson and Tabellini, June 2007, CESifo
Working
Paper
Series
No.
2017,
www.cesifogroup.de/DocCIDL/cesifo1 _wp2017.pdf.
20 P&T richiamano al riguardo il saggio di D. Austen-Smith, Redistributing
Income under Proportional Representation, in Journal of Political Economy, 2000,
108(6), 1235 ss..
134
elettorale 21 ; introducendo gli ulteriori aspetti dei sistemi elettorali, cioè la dimensione del collegio (precisamente individuabile mediante il numero di seggi da attribuire), e la struttura e le modalità del voto (ballot), la divaricazione dei caratteri dei due sistemi, e del loro differente impatto
sull’economia, viene ulteriormente confermata.
Sotto il primo aspetto, si osserva che in un sistema di
collegi uninominali con formula plurality un partito può vincere le elezioni nazionali con il 25 per cento dei voti 22 ; invece, in un sistema proporzionale con collegio unico nazionale
un partito vince le elezioni se consegue almeno il cinquanta
per cento dei voti. In sostanza, il partito in sistema maggioritario ha un target definito, e anche dimensionalmente limitato, cui fare promesse, mentre in sistemi proporzionali è costretto a generalizzare i suoi programmi elettorali, offrendo
più beni e servizi collettivi, e spingendo in forma incrementale la spesa pubblica 23 . Ciò non toglie che anche in sistemi
21 Distinguendo l’offerta di “genuine public good” da quella di “porkbarrel projects” funzionalizzata a scopi redistributivi, alcuni si sono chiesti se l’incentivo a fornire l’uno o l’altro tipo dipende dalle regole elettorali. In un sistema maggioritario (“winner-take-all system”) un politico è
incentivato a soddisfare le preferenze di una constituency definita, che gli
porta la maggioranza dei voti, e quindi lo fa promettendogli “pork-barrel
projects”; nel sistema proporzionale, un “targeting” del genere ha scarso
significato, perché ogni voto conta come gli altri, e pertanto i politici
sono portati a promettere beni pubblici in senso ampio, servizi collettivi
in luogo di prestazioni personalizzate (A. Lizzeri, N. Persico, The Provision
of Public Goods Under Alternative Electoral Incentives, in American Economic
Review, 2001, 91(1), 225 ss.).
22 J. Buchanan, G. Tullock, The Calculus of Consent - Logical Foundations of
Constitutional Democracy, Ann Arbor, University of Michigan Press, 1962.
23 T. Persson, G. Tabellini, Political Economics: Explaining Economic Policy,
Cambridge, MA, MIT Press, 2000. Una conferma sostanziale in G. M.,
Milesi-Ferretti, R. Perotti, M. Rostagno, Electoral Systems and Public Spending, in Quarterly Journal of Economics, 2002, 117(2), 609 ss., che mostrano
come “il proporzionale” spende di più in trasferimenti, e “il maggioritario” spende di più in beni pubblici a carattere locale, attraverso una indagine empirica su quaranta paesi, che rileva come a dosi maggiori di
135
proporzionali partiti e candidati abbiano constituency individuate e definite, un nucleo duro di elettori/finanziatori, ma
ciò aggrava la situazione, perché per definizione, e a differenza dei sistemi maggioritari, tale nucleo deve essere segreto,
altrimenti il consenso necessario per essere eletti non potrà
essere raggiunto a causa del ritiro della fiducia da parte degli
elettori “generici”. Dal secondo punto di vista, la struttura
del voto può essere semplificata in due modalità opposte: il
voto di lista (bloccato), tipico del sistema proporzionale, e il
voto per un candidato individuato, tipico del maggioritario.
Interpretando una lista di partito come un “common pool” è
evidente che i candidati possono aspettarsi di investire nella
campagna elettorale meno in un sistema proporzionale che
in uno maggioritario. In tale contesto, corruzione e rendita
politica sono tanto maggiori, quanto minore è il rapporto tra
candidati eletti individualmente e candidati delegati dal partito 24 .
3. La performance economica delle regole elettorali.
I risultati empirici.
Se il lavoro di P&T ha obiettivi ambiziosi 25 , i suoi risultati
sono sorprendenti.
“proporzionalità” corrispondono i più altri gradi di spese per trasferimenti.
24
. Persson, G. Tabellini, Political Economics: Explaining Economic Policy, cit.
«Our ultimate goal is to draw conclusions about the causal effect of
constitutions on specific policy outcomes. We would like to answer
questions like the following: if the United Kingdom were to switch its
electoral rule from majoritarian to proportional, how would this affect
the size of its welfare state or its budget deficits? If Argentina were to
abandon its presidential regime in favor of a parliamentary form of government, would this facilitate the adoption of sound policy towards economic development?» (Persson e Tabellini, The Economic Effects of Constitu25
136
L’evidenza empirica mostra in primo luogo che gli aggiustamenti ciclici di spesa e pressione fiscale dipendono fortemente da forma di governo e regole elettorali. I governi
maggioritari sono più favorevoli a tagliare le tasse in periodi
di recessione, mentre i governi parlamentari eletti nel contesto di un sistema proporzionale tendono a far crescere la
spesa in periodi di recessione, ma non a tagliarla nei periodi
di espansione economica. Un altro aspetto concerne l’effetto
macroeconomico dei cicli elettorali. Nei regimi presidenziali
la tendenza è di rinviare a dopo le elezioni i provvedimenti di
contrazione fiscale (perché l’attenzione è più focalizzata
sugli interessi di gruppi di pressione individuati e potenti).
Dal punto di vista delle regole elettorali emerge un dato sorprendente, che solo nei Paesi a sistema maggioritario si rilevano tagli non solo delle tasse ma anche della spesa pubblica
prima delle elezioni, perché i governi in scadenza vogliono
dare agli elettori un’immagine più “frugale”; al contrario,
nelle democrazie a formula elettorale proporzionale i programmi di welfare sono espansi in vicinanza delle elezioni,
per cercare consensi in più larghe fasce di elettori.
A parità di altre condizioni, i governi presidenziali si correlano con una spesa pubblica significativamente minore
(uno scarto pari a circa il 6 per cento del PIL) una ridotta
pressione fiscale, un più basso livello di corruzione (in termini di corruzione “percepita”), deficit di bilancio leggermente più basso e meno intensità del welfare (uno scarto di
tions, cit., 7). In sostanza, l’obiettivo è quello di spiegare in termini
istituzionali formali, cioè in termini di incidenza delle regole
costituzionali, la variazione tra Stato e Stato dei prodotti economici delle
politiche pubbliche. Un sintetico quadro teorico presupposto da analisi
di questo tipo parte dalla eterogeneità e dal conflitto degli interessi:
elettori, politici, lobbisti hanno sistemi specifici di preferenze in ordine
alle politiche pubbliche; le istituzioni costituzionali provvedono alla
soluzione dei conflitti mediante la generazione di scelte politiche
specifiche, e queste si traducono in risultati economicamente misurabili,
che possono essere valutati dai destinatari delle politiche; tale valutazione
costituisce anche un giudizio sulle istituzioni.
137
circa il 2/3 per cento sul PIL), a confronto dei regimi parlamentari. Riguardo al gioco dei sistemi elettorali, nei Paesi a
formula maggioritaria la spesa pubblica è inferiore di circa il
3 per cento del PIL rispetto ai sistemi a rappresentanza proporzionale; mentre è confermata la ridotta intensità del welfare (2/3 per cento), il maggioritario mostra una più sensibile
riduzione del deficit (1/2 per cento), e del livello di corruzione dei politici 26 . L’evidenza empirica dimostra inoltre che
i Paesi che hanno innovato i loro sistemi elettorali il passaggio dal proporzionale al maggioritario ha ridotto l’intera spesa pubblica almeno del 5 per cento del prodotto interno lordo, del 2/3 per cento la spesa per il welfare, e del 2 per cento
circa il deficit di bilancio. Ancora più impressionante è la
misurazione degli effetti nei modelli combinati (regime presidenziale con formula elettorale maggioritaria), per i quali lo
scarto in termini di spesa pubblica, rispetto alla forma di governo parlamentare con sistema proporzionale, supera il 10
per cento del PIL. Sottoposti ad analisi diacronica, il gruppo
di stati che sommano regime parlamentare e sistema proporzionale costituiscono una singolarità per molti aspetti: in
primo luogo, la politica finanziaria è «much more persistent»;
in secondo luogo, si tratta dell’unico gruppo di Paesi in cui si
manifesta un effetto leva sulla spesa: nei cicli recessivi (downturns) l’espansione della spesa (specie sociale) in proporzione al PIL si stabilizza, e non regredisce durante i cicli espansivi (upturns); in terzo luogo, i programmi di welfare«One important conclusion is that electoral rules exert a strong influence on fiscal policy. Majoritarian elections induce smaller governments,
smaller welfare states and smaller deficits. These estimated constitutional
effects are not only statistically significant and robust. They are also
quantitatively relevant. For a country drawn at random from our sample
— and over a sufficiently long period to neglect transitory effects — a
constitutional reform from proportional to majoritarian elections reduces
the size of central government spending by 4-5% of GDP, the size of
welfare and social security programs by 2-3% of GDP, and the budget
deficit by 1-2% of GDP» (Persson e Tabellini, The Economic Effects of
Constitutions, cit., 150)
26
138
state si espandono più in prossimità delle elezioni che in ogni altro periodo; in quarto luogo, il gruppo considerato mostra una dimensione dell’amministrazione relativamente
maggiore rispetto agli altri, e tale tendenza diviene particolarmente spiccata nei primi anni ’80 (e, nel caso dei servizi di
welfare, nei primi anni novanta) 27 .
Le analisi empiriche che hanno condotto P&T a questi
sbalorditivi risultati sono state replicate ed anche estese (portando da 86 a 116 il numero dei Paesi considerati) da altri
ricercatori, i quali sono giunti alla conclusione che, mentre le
evidenze relative alle performance del regime presidenziale
in molte regressioni si sono allineate su valori insignificanti,
«PT’s results with regard to electoral systems are, however,
largely confirmed» 28 . Questa conclusione è meno sorprendente di quanto possa sembrare 29 , dato che le forme “estreme” di governo assunte da P&T nel loro saggio non sono
tutte eguali, né formalmente né sul piano della costituzione
materiale. Per di più, nelle democrazie rappresentative del
terzo millennio, il core della “democrazia immediata”, la legittimazione “diretta”, si è andata ad annidare anche dentro i
regimi parlamentari, inclinando il piano della convergenza tra
le stesse forme di governo.
Indipendentemente da queste considerazioni, che qui
non serve approfondire, il suddetto risultato dimostra che gli
dei (o i demoni?) stanno nei dettagli, rappresentati, ai fini di
queste note, dalle regole elettorali e dal loro modo di incidere
27
Persson e Tabellini, op. ult. cit.., 209.
28 L. Blume, J. Müller, S. Voigt, C. Wolf, The Economic Effects of Constitutions: Replicating – and Extending – Persson and Tabellini, cit.
29 Come affermano gli autori citati nella precedente nota «These results
do not lack a certain irony. The central question was, after all: do constitutional rules matter? It seems that it is the details of the electoral systems
that matter most. This is ironic as in many (if not most) countries, these
details are not dealt with on the level of the constitution. The result also
teaches us that God is in the details in the sense that it is not the coarse
MAJ variable that is most significant but rather the specifics of the electoral system».
139
sulle corrispondenti configurazioni della costituzione politica, anche indipendentemente da variazioni della forma di
governo.
Da questo punto di vista, emerge un aspetto, che considero estremamente rilevante in ordine agli obiettivi di questo
lavoro, e che attiene all’opportunità di valutare le regole elettorali non tanto sotto un profilo radicalmente dicotomico
(majority/plurality vs. proporzionale puro), quanto in relazione agli effetti che un sistema elettorale specifico produce
in termini di performance economica dei governi. In altre
parole, l’effetto economico di un sistema elettorale potrebbe
essere collegato non tanto al suo nomen juris o alla famiglia
in cui si inquadra, quanto essenzialmente al suo atteggiarsi in
concreto in rapporto ad esempio alla presenza di correttivi, o
di contesti particolari. In un lavoro più recente, P&T, in
collaborazione con Roland, sviluppando alcuni aspetti teorici
del regime parlamentare, formulano l’ipotesi che la competizione elettorale in prospettiva di un governo di coalizione
porta a un notevole aumento della spesa pubblica rispetto a
una competizione elettorale in prospettiva di un governo
monocolore, cioè di un solo partito; l’evidenza empirica offre una robusta conferma di questo assunto. Sul piano teoretico, appare ovvio che le preferenze di policy dei partiti hanno carattere endogeno e derivato da ragioni di rielezione
(opportunistic reelection motives), e che le regole elettorali
influenzano la spesa pubblica, ma solo indirettamente, dato
che «proportional elections induce a more fragmented party
system and a larger incidence of coalition governments than
do majoritarian elections» 30 . Come si nota, a incidere sugli
effetti di finanza pubblica non è la forma di governo parlamentare/presidenziale, e neppure lo scarto tra maggioritario
e proporzionale in sé, ma sono alcune condizioni, segnatamente la frammentazione del sistema politico e l’incidenza
30 T. Persson, G. Roland, G. Tabellini, Electoral rules and government spending
in parliamentary democracies, in Quarterly Journal of Political Science, 2007, Vol.
2, n. 2, 155.
140
del governo di coalizione, che si verificano solo in un sistema proporzionale puro e non in un sistema maggioritario.
Se pare del tutto pacifico che le performance economiche di un regime presidenziale non sono necessariamente
diverse o migliori rispetto al regime parlamentare, come mostra in misura eclatante l’esperienza del Regno Unito 31 , è
abbastanza sensato supporre che per spingere verso certi
effetti economici non sia necessario uno switch completo verso il maggioritario, ma sia sufficiente correggere il proporzionale in modo da conseguire un “effetto utile” analogo?
4. Gli effetti costituzionali dell’economia.
Dieci anni fa, un piccolo e denso pamphlet affrontava con
eleganza il problema di «quali devono essere i principi del
governo dell'economia», ponendo l’accento sull’esistenza di
“leggi di natura”, che operano «indipendentemente da, e se
necessario contro, la volontà degli uomini». Queste leggi
sarebbero due, una "fisica" (né il bisogno di cibo né le "derrate fuori stagione" possono essere impediti o imposti dal
governo), una "sociale" ("una mano invisibile trae un bene
collettivo dall'interazione degli egoismi individuali"). Secondo l'autore del saggio il mercato si conforma “naturalmente”
alla prima di queste leggi, e addirittura esprime la seconda. Al
contrario, il «governo dell'economia non ha un rapporto naturale con queste leggi, è mosso dal senso che il bene pubblico è superiore a quello privato, sente l'urgenza di soccorrere
i deboli, ha la forza che gli viene dal suffragio popolare: come non ribellarsi all'idea che così nobili intenti debbano fare
31 Sia consentito rinviare a G. di Plinio, I modelli di Maastricht e la Costituzione finanziaria e monetaria britannica, in A. Torre e L. Volpe (cur.), La
Costituzione Britannica / The British Constitution, Torino, Giappichelli, 2005.
141
i conti con leggi di natura?». Il governo, come Ulisse, è attratto dal canto delle sirene, si lascia trasportare dalle "ragioni del cuore"; pensa di poter distribuire ciò che non è ancora
stato prodotto; è convinto che “con decreto” si possano
sospendere le leggi “naturali” dell’economia 32 . Il libretto è
bellissimo, ed è consigliabile da leggere, anche se in questo
periodo l’Autore stesso ha qualche problema a farne comprendere la logica ai suoi colleghi di governo. In una recente
esternazione il Ministro dell’economia ha detto testualmente
«sentiamo una polifonia reclamare che le tasse devono essere
abbassate, che la caduta del debito pubblico deve essere accelerata, che la spesa va tagliata, che i servizi pubblici devono
essere sviluppati, che è necessario aumentare il capitale fisico
e immateriale del Paese. Una moltiplicazione dei pani e dei
pesci, la ricorrente illusione che lo stesso euro possa essere
speso più volte per scopi diversi». E, ancora, «non è possibile
soddisfare tutte le istanze; esistono vincoli e priorità: trovare
la sintesi è compito dei Governi e dei Parlamenti … Se non
ci fossero vincoli non ci sarebbe 'economia' … vivremmo in
un mondo di beni liberi, illimitatamente a nostra disposizione; non ci sarebbe bisogno di risparmiare. Ma quel mondo
non esiste» 33 .
Esistono davvero tali “vincoli”? E quale ne è la natura?
Quali sono le relazioni costituzionali tra Stato ed economia?
Esiste un rapporto giuridicamente rilevante tra grandezze
macroeconomiche e istituzioni? La qualità e quantità delle
seconde influenza le prime? E, soprattutto, la dimensione
“quantitativa” delle prime costituisce un vincolo “costituzionalmente” rilevante per la struttura, le funzioni, l’attività e la
stessa configurazione delle seconde? Esiste, insomma, una
costituzione economica? Una domanda del genere può
spiazzare, o essere fraintesa. Per chiarire meglio cosa inten32
T. Padoa Schioppa, Il governo dell'economia, Bologna, il Mulino, 1997.
33 Intervento del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Tommaso
Padoa-Schioppa, all’83a Giornata Mondiale del Risparmio (Roma, 31 ottobre
2007), in www.mef.gov.it/web/apri.asp?idDoc=18309.
142
do, si può ad esempio ricordare che fra i vari significati che
un’autorevole dottrina 34 assegna al termine costituzione economica, non è esplicitata una nozione “normativa” del concetto 35 ; invece, i tempi sembrano più che maturi per la sussunzione a tutti gli effetti, nel diritto costituzionale, delle
grandezze macroeconomiche non solo come “oggetti” di
studio o settori di normazione, ma come componenti essenziali del nucleo della Costituzione.
Questioni del genere sono sempre state assolutamente
legittime, addirittura normali e scontate, all’interno della teoria economica, anzi, si può dire che, a partire dal novecento,
le istituzioni costituzionali sono entrate a far parte del core
della stessa epistemologia dell’economia politica 36 .
Invece, tra i costituzionalisti, tali aspetti sono ancora, nel
migliore dei casi, considerati con gentile sufficienza. Valori
quantitativi come crescita economica, prodotto interno lordo, deficit di bilancio non hanno mai fatto veramente parte
delle loro strumentazioni interpretative 37 . Come gli architetti
34
S. Cassese, La nuova costituzione economica, Roma-Bari, Laterza, 2000, 3
ss.
Che peraltro lo stesso Autore sviluppa ampiamente in altre sedi (v. ad
esempio, S. Cassese, La costituzione europea, in Quad. cost., 3/1991, 487 ss.).
35
G. Brennan, J.M. Buchanan, The Reason of Rules: Constitutional Political
Economy, Cambridge, Cambridge University Press, 1985.
36
Da tempo diverse voci autorevoli (come ad esempio Bognetti e Guarino) hanno rimproverato i giuspubblicisti di aver prestato poca o affatto
attenzione ai meccanismi fondamentali di lettura e interpretazione della
costituzione economica, come la moneta, l’occupazione, la liquidità, il
mercato, la finanza pubblica, la spesa, il debito pubblico, e allo svolgimento di principi e valori costituzionali, che sono invece divenuti sempre
più rilevanti nei processi di globalizzazione economica e di integrazione
comunitaria, come il principio antinflazionistico, il divieto di disavanzi
strutturali e di indebitamento eccessivo, il divieto di aiuti e incentivazioni
alle imprese, il principio di condizionamento finanziario dei diritti sociali,
il principio di concorrenza e di libera circolazione dei lavoratori, delle
merci, la libertà di stabilimento delle imprese, e così via (v. i riferimenti in
G. di Plinio, Diritto pubblico dell’economia, Milano, Giuffrè, 1998). A distanza di decenni, il quadro è lo stesso; buona parte della dottrina costituzio37
143
nascono con la sindrome dell’horror vacui, i giuristi in genere e
i giuspubblicisti in particolare sembrano avere un’allergia
congenita per tutto ciò che odora di quantitativo, se il quantitativo si presenta sotto forma di valore costituzionale, cioè
quando ci si accorge che la costituzione economica non può
che funzionare (o meglio effettivamente funziona) ponendo
vincoli alla costituzione politica e a tutti i suoi corollari. Ciò è
devastante per i “costituzionalismi” valutativi di ogni tipo,
ma non entra in collisione con i parametri del costituzionalismo classico 38 .
Qui di seguito cercherò di mostrare che alcune misure
quantitative sono regole costituzionali, anche in senso formale 39 , sono rivolte ai titolari dell’indirizzo politico, cioè ai
Governi e ai Parlamenti, ne condizionano le scelte politiche,
e costituiscono parametri per le funzioni pubbliche, compresa quella legislativa.
Il completamento del mercato interno e la costruzione
dell’Unione economica e monetaria hanno formalizzato la
crisi delle preesistenti regole “interventiste” di controllo dei
mercati, della moneta e della finanza pubblica in tutti gli Stati
membri, in un sistema di regolazione multilivello, che ha
posizionato i principi di unitarietà del mercato, di stabilità
della moneta e dell’equilibrio finanziario nella ‘fascia alta’
delle fonti giuridiche degli ordinamenti degli Stati, sotto
forma di limiti e vincoli parametrici, spostando in sede euro-
nalista continua a guardare le stelle, a declamare poemi e ad ascoltare il
canto delle sirene.
38
V. supra, nt. 8.
Per la metodologia e gli sviluppi delle argomentazioni utilizzate nel
testo sia consentito il rinvio a G. di Plinio, Diritto pubblico dell’economia, cit.;
Id., Il common core della deregulation. Dallo Stato regolatore alla costituzione economica sovranazionale, Milano, Giuffrè, 2005; Id., La costituzione economica
europea e il progetto di Trattato costituzionale, in J. Pérez Royo et al. (cur.),
Derecho Constitucional para el Siglo XXI, Navarra, Editorial Aranzadi, 2006,
t. I, 2489 ss.
39
144
pea la funzione costituzionale di conformazione e uniformizzazione della legislazione interna.
Si tratta di esiti che, a mio sommesso avviso, hanno ampiamente preceduto la revisione costituzionale italiana del
2001 40 .
L’Europa ha da tempo una costituzione 41 , indipendentemente dagli esiti del c.d. processo costituente e dalla costruzione di una «cultura costituzionale» dell’Unione 42 , il cui
40 In lavori recenti (cfr. ad esempio i saggi di L. Torchia e F. Pizzetti, sul
n. 6/2001 della rivista Le regioni), un estremo rilievo viene dato all'inserimento esplicito operato dalla l.cost. 3/2001 del richiamo all'Unione europea, che consoliderebbe in chiave formale il ruolo che di fatto (ma
anche per effetto della giurisprudenza costituzionale) essa già svolgeva, al
punto che il diritto comunitario diviene un «elemento di unificazione
dell'ordinamento complessivo», e che «oggi non è più sufficiente affermare che la logica antica della separazione dell'ordinamento italiano rispetto a quello comunitario ha ormai definitivamente e formalmente
ceduto all'opposta logica dell'integrazione fra gli ordinamenti», ma «in
virtù del nuovo testo dell'art.117, è necessario riconoscere che i rapporti
tra l'ordinamento europeo e quello italiano sono ora disciplinati in modo
tale da configurare qualcosa di molto vicino all'esistenza di un ordinamento complessivamente unitario» (F. Pizzetti, I nuovi elementi "unificanti"
del sistema italiano: il "posto" della Costituzione e delle leggi costituzionali ed il
"ruolo" dei vincoli comunitari e degli obblighi internazionali dopo la riforma del titolo
V della Costituzione, in www.giurcost.org/studi/Pizzetti2.html).
S. Cassese, La costituzione europea, cit., 487 ss.; I. Pernice e F.C. Mayer,
La Costituzione integrata dell’Europa, in G. Zagrebelsky (cur.), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, Roma, Laterza, 2003, 43 ss.; P. Häberle, Per una
dottrina della costituzione europea, in Quad. cost., 1/1999, 3 ss; T. Oppermann,
Il processo costituzionale dopo Nizza, in Riv. trim. dir. pubbl., 2/2003, 354;
N.D. MacCormick, Questioning Sovereignty, Oxford, Oxford University
Press, 1999; I. Pernice, The European Constitution, in Europe’s constitution - a
framework for the future of the Union, 16th Sinclair House Debate, May 11 12, 2001, Bad Homburg v.d. Höhe, Herbert-Quandt-Foundation, 2001,
18 ss.).
41
42 Su questo ordine di questioni v. ad esempio F. Snyder, EMU Revisited.
Are we Making a Constitution? What Constitution are we Making?, Firenze,
IUE, WP Law 98/6, 1998, 4; D. Grimm, Una costituzione per l’ Europa?, in
G. Zagrebelsky, P. Portinaro, J. Luther (cur.), Il futuro della Costituzione,
Torino, Einaudi, 1996, 339 e ss.; P. Craig, Costituzioni, costituzionalismo e l’
Unione europea, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2-3/2002, 357 e ss; J. Habermas,
145
nucleo ha una dimensione prepotentemente economica, e
può essere scomposto in tre contesti analitici: una costituzione del mercato unico, una costituzione monetaria, una
costituzione finanziaria. La prima è fondata sul principio
dell’unità del mercato e dell’eguaglianza senza discriminazione di nazionalità 43 , sulla transnazionalità della regolazione 44 e
sul corollario della protezione dell’acquis 45 ; la seconda sulla
stabilità monetaria 46 ; la terza sull’equilibrio finanziario e sulla
crescita economica 47 . Ciascun contesto racchiude differenti
aree o frazioni della sovranità degli Stati e dell’Unione: mercato, moneta, bilancio. Mentre nella prima e nella terza area
esiste un grado di condivisione in forma sussidiaria con gli
Stati membri, nel caso della funzione monetaria la sovranità
è interamente traslata sul livello europeo 48 .
Perché l’Europa ha bisogno di una Costituzione?, in G. Bonacchi (cur.), Una
Costituzione senza Stato, Bologna, Il Mulino, 2001, 145 e ss.
S. Cassese, La costituzione economica europea, in Riv. it. dir. pubbl. com.,
6/2001, 911.
43
C. Joerges, The Market without the State? The ‘Economic Constitution’ of the
European Community and the Rebirth of Regulatory Politics, in http:// eiop. or.
at / eiop / texte / 1997-019a. htm.
44
E.J. Mestmaecker, De la Communauté économique à l’Union économique et
monétaire, in Rev. Aff. Eu., 1/1995, 111 s.
45
S. Ortino, La Banca centrale nella costituzione europea, in Le prospettive
dell’Unione europea e la costituzione, Atti Conv. AIC, Milano, 4-5 dicembre
1992, Padova, Cedam, 1995.
46
G. Della Cananea, Il patto di stabilità e le finanze pubbliche nazionali, in Riv.
dir. fin. sc. fin., 4/2001, 5 ss.
47
P. Häberle, Dallo Stato nazionale all’Unione europea: evoluzioni dello Stato
costituzionale, in Dir. pubbl. comp. eur., 2/2002, 458; v. anche N. MacCormick, The Maastricht-Urteil, Sovereignty Now, in Eur. L. J., 1995, 265. Sulle
questioni connesse, v. anche R. Welter, L’indipendenza della BCE. La prospettiva tedesca, in F. Belli e V. Santoro [cur.], La Banca centrale europea, Milano, Giuffrè, 2003, 26 ss.; E. Paparella, Governo della moneta in Europa: la
«convergenza normativa» in materia di banche centrali, in Riv. it. dir. pubbl. com.,
2/2001, 333 ss.; A Malatesta, La Banca centrale europea, Milano, Giuffrè,
2003, in part. 86 ss.. Alla sovranità monetaria non si può applicare il
48
146
La costituzione economica europea è confluita, grazie
soprattutto alla giurisprudenza della Corte di giustizia e delle
Corti nazionali 49 , in forme e gradi di intensità differenti, nelle
costituzioni degli Stati membri 50 , collegando i due livelli coamodello multilevel; per l’Eurozona ciò vale anche sul piano formale, mentre per gli Stati opt-out si possono ipotizzare effetti equivalenti sul piano
materiale (G. di Plinio, I modelli di Maastricht e la costituzione finanziaria e
monetaria britannica, cit.).
H. Rasmussen, On Law and Policy in the European Court of Justice: A Comparative Study in Judicial Policymaking, Dordrecht, Martinus Nijhoff, 1986;
Id., The European Community Constitution. Summaries of Leading EC Court
Cases, København, Handelshøjskolens Forlag, 1989; Id., The Court versus
State Sovereignty, in I. Cameron e A. Simoni (cur.), Dealing with Integration:
Perspectives from Seminars on European Law 1995-1996, I, Uppsala, Iustus,
1998, 183 ss.; Id., The European Court of Justice, Copenhagen, GadJura,
1998; G.F. Mancini, The Making of a Constitution for Europe, in C. Mkt L.
Rev. 1989, 595 ss.; Id., Attivismo e autocontrollo nella giurisprudenza della Corte
di giustizia, in Riv. dir. eur., 2/1990, 229 ss.; M.P. Maduro, 'We the Court' The European Court of Justice and the European Economic Constitution, Oxford,
Hart Publishers, 1998.
49
50 Va sottolineato che le costituzioni economiche nazionali, indipendentemente dai vincoli europei, sono sottoposte a stress già dall’azione di
fenomeni oggettivi di dimensione ultrastatale, innestati dai processi di
globalizzazione dell’economia (J.E. Stiglitz, Globalization and its Discontents,
London, Allen Lane, 2002). Le regole che la Comunità europea e
l’Unione economica e monetaria stabiliscono per i governi nazionali
dell’economia esistevano, sotto forma di imperativi economici, prima che
i Trattati le formalizzassero: allargamento e liberalizzazione del mercato,
denazionalizzazione, privatizzazioni, deregulation, stabilità finanziaria,
equilibrio monetario, criteri di convergenza hanno il fondamento comune in un processo che riduce i margini di manovra degli Stati (A. Baldassarre, Globalizzazione e internazionalizzazione delle decisioni, in Ripensare lo
Stato, cit., 84.) e aggrava la crisi delle costituzioni “keynesiane” (J.M. Buchanan e R.E. Wagner, Democracy and Keynesian Constitutions: Political Biases
and Economic Consequences, in P. Peretz (ed.), The Politics of American Economic Policy Making, New York, M. E. Sharpe, 1996, 249 ss.). Il nucleo fondante di tali regole non è determinato da nessuno, il loro contenuto non
è influenzabile dai pubblici poteri; la sanzione per la loro violazione è la
crisi fiscale, con la conseguente perdita di identità, ricchezza, sovranità. La
teoria giuridica dell’indirizzo politico ne risulta stravolta: la globalizzazione contiene una forza materiale di trasformazione delle costituzioni eco-
147
tituzionali e creando continuità fra essi. Al processo di comunitarizzazione del controllo sul mercato unico si è sommato, in pochi anni, l’effetto esplosivo della nuova costituzione monetaria europea, che ha accentuato e le trasformazioni, ha elevato l’equilibrio monetario e il pareggio
tendenziale di bilancio a livello di valori costituzionali primari, ha sottratto agli Stati la sovranità monetaria e quella finanziaria 51 , ha escluso la finanziabilità della politica economica
con la manovra monetaria 52 , ha agganciato la spesa pubblica
e le grandezze macroeconomiche ad un elemento quantitativo, il prodotto interno lordo, costituzionalizzando di conseguenza l’obbligo di rientro e di produttività della spesa.
La stabilità (monetaria e finanziaria) è così divenuta il
fondamento della costituzione economica; la sovranità economica degli Stati è stata conseguentemente limitata da un
nomiche e di convergenza dei modelli costituzionali; questa forza viaggia
da sola, e nessun atto di volontà è in grado di invertirne la direzione.
Secondo G. Guarino (Pubblico e privato nell’economia. La sovranità tra costituzione e istituzioni comunitarie, in Quad. cost., 1992; La grande Rivoluzione:
l’Unione europea e la rinuncia alla sovranità, in Convivenza nella libertà, Scritti in
onore di Giuseppe Abbamonte, II, Napoli, Jovene, 1999, 765 ss.) il percorso obbligato per fronteggiare questo tipo di crisi passa per Unione
economica e moneta unica. Se si accetta questo punto di vista, la traslazione di sovranità verso l’Europa o altri poteri ultrastatali non è un aspetto della globalizzazione, ma è la risposta ad essa (J. Habermas, The European Nation-State and the Pressures of Globalization, in N. Left Rev., 235/1999,
46 ss.; Id., La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni e democrazia,
Milano, Feltrinelli, 2002), così come il dominio della costituzione economica europea sulle costituzioni nazionali non è un effetto oggettivo e
ineluttabile ma la migliore difesa degli Stati membri contro i rischi della
globalizzazione (R. Prodi, La tela di Penelope, in G. Tognon [cur.], La tela
di Prodi. Una Costituzione per un’Europa più democratica, Milano, Baldini e
Castoldi, 2003, 16). Ciò consente di fondare una costituzione economica
europea indipendentemente dalla formalizzazione di una costituzione
europea.
51
G. Della Cananea, Il Patto di stabilità, cit., 584.
52
S. Ortino, La Banca centrale nella costituzione europea, op. loc. cit.
148
contesto di vincoli funzionali alla protezione e al rafforzamento dell’equilibrio economico complessivo.
In armonia con tale contesto, la costituzione economica
italiana, come quella degli altri Stati membri dell’Unione,
deve essere scomposta in tre sub-sistemi normativi. Il primo
raccoglie le norme fondamentali della disciplina del mercato
nelle sue varie tonalità e implicazioni (concorrenza, libertà
economiche e poteri conformativi delle medesime, regolazioni incidenti sul mercato e sulla concorrenza, incentivazioni considerate sotto il profilo dell’incidenza sugli assetti del
mercato, contratti delle pubbliche amministrazioni, iniziativa
economica pubblica in quanto concorrente sul mercato, politiche doganali esterne). Il secondo è costituito dalla politica
monetaria, compreso il controllo sui fenomeni in grado di
influenzare la moneta (nonché le relative discipline, come ad
esempio la politica valutaria, la vigilanza sulle banche,
l’organizzazione dei mercati finanziari, la disciplina dei sistemi di pagamento, ecc.).
Il terzo racchiude le politiche di bilancio (nei suoi sottoinsiemi e pertinenze, quali finanza comunitaria, politiche
fiscali, politiche macro-economiche e di spesa, procedure,
finanze nazionali, diritto contabile pubblico), e il “governo
dell’economia” (incentivazioni, regolazioni, iniziativa pubblica, amministrazioni nazionali e subnazionali, servizi e politiche di welfare) considerato sotto i profili del condizionamento
finanziario e del rapporto risorse/risultati nel quadro delle
politiche di stabilità e crescita.
Ciascuna delle aree in cui si divide la costituzione economica nazionale ha un distinto nucleo “duro”. La costituzione del mercato è fondata sul principio funzionalista di
unitarietà, sull’eguaglianza senza discriminazione di nazionalità, su liberalizzazioni e privatizzazioni, sulla transnazionalità
della regolazione e sul corollario della protezione dell’acquis
communautaire. La costituzione monetaria è fondata sulla stabilità della moneta, sulla separazione tra politica monetaria e
politica economica, sul divieto di inflazione.
149
La costituzione finanziaria è a sua volta fondata sul divieto di disavanzi eccessivi, sulla riduzione dell’indebitamento
pubblico, sull’equilibrio finanziario, sul condizionamento
fiscale e la produttività della spesa, sulla crescita economica.
In concreto, il controllo di queste grandezze avviene
all’interno delle procedure di bilancio, attraverso varie limitazioni e accorgimenti tra le quali in particolare l’obbligo dello
Stato di costruire la decisione finanziaria sulla base della preventiva determinazione di un “saldo” netto di bilancio – che
rappresenta il differenziale tra le spese pubbliche e le entrate
fiscali o patrimoniali di tutte le pubbliche amministrazioni,
sia a livello statale che a livello regionale e locale – la cui misura va parametrata al PIL e costituisce il limite di indebitamento complessivo del settore pubblico e contemporaneamente un vincolo costituzionale per tutti i pubblici poteri
interni.
In termini riassuntivi, risulta costituzionalizzato il principio di condizionamento finanziario di tutta l’organizzazione e di
tutta l’azione dei pubblici poteri, compresa la spesa per welfare e diritti, e compresa la loro conformazione legislativa .
L’effetto, nella situazione italiana in particolare, è una
pressione che mira a una riduzione netta in termini assoluti
della
dimensione
delle
pubbliche
amministrazioni.
L’impossibilità di continuare a finanziare la spesa con debito
e manovra monetaria, oltre a costituire uno choc culturale
per la classe politica, mette radicalmente a nudo la divaricazione tra le dimensioni raggiunte dagli apparati e la loro sostenibilità in termini fiscali, avviando un processo di delegittimazione economica delle pubbliche amministrazioni, sia dal
punto di vista strutturale, sia in relazione alle funzioni 53 .
Una conseguenza cruciale consiste nel fatto che ai governi e
alle pubbliche amministrazioni viene imposto un vincolo di
53 Sia consentito rinviare a G. di Plinio, Il common core della
deregulation, cit., passim. La tendenza, per effetto della traslazione del
vincolo di stabilità ai vari livelli territoriali di governo, si trasferisce anche
a questi, accentuando competizione territoriale e federalismo fiscale.
150
produttività, a causa del progressivo agganciamento della spesa
pubblica al prodotto interno lordo.
La riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione (l.c. 3/2001), assorbe tutto questo all’interno della
costituzione formale. In base al nuovo art. 117, comma 1, la
potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel
rispetto della Costituzione e «dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario» e dagli obblighi internazionali: il riferimento non solo al mercato unico (testualmente richiamato
nell’art. 120, comma 1) ma anche alla costituzione finanziaria
“europea” è assolutamente ovvio. Non a caso, l’art. 119, nel
prevedere che l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa
attribuita a Comuni, Province e Regioni (comma 1), dettagliata nelle risorse autonome (tributi propri e compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, comma 2, e integrata con il
fondo perequativo di cui al comma 3), stabilisce che tali risorse debbono consentire alle autonomie territoriali «di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite»
(comma 4), introducendo in tal modo principi di collegamento tra la spesa e il prodotto lordo dei territori, mentre
l’attribuzione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato delle funzioni relative alla determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale testimonia
l’esigenza di coniugare la garanzia di un welfare essenziale con
le esigenze di equilibrio della finanza pubblica. D’altra parte,
il fatto che sempre tra le materie attribuite alle funzioni legislative esclusive dello Stato compaiano moneta, tutela del
risparmio e mercati finanziari, tutela della concorrenza, sistema valutario (art. 117, comma 2, lett. e) e, tra quelle concorrenti, armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, esprime un
principio fondamentale di tutela dell’unità economica della
Repubblica (art. 120, comma 2) che deve essere collegato
non solo alle esigenze di tutela dell’integrità territoriale e
all’interesse nazionale, ma anche e soprattutto ai vincoli comunitari, come del resto testimonia il comma 1 dello stesso
151
art. 120, quando, nello stabilire che la Regione non può «adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la
libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni»,
recepisce anche nel linguaggio i valori più forti del mercato
unico e della costituzione economica europea.
5. Considerazioni conclusive: il referendum elettorale,
il sistema politico e la costituzione economica.
Tirando le somme, e prendendo di mira un contesto di finanza pubblica pericolante come quello italiano, sembrerebbe abbastanza facile individuare negli effetti economici del
sistema elettorale maggioritario (con formula plurality) il modello più coerente con le sequenze di principi e regole derivabili dalla nuova costituzione economica europea. Questa
conclusione sarebbe suffragata da una controprova vivente:
la costituzione finanziaria del Regno Unito, paradigma incontestato della formula elettorale maggioritaria plurality, è
fra tutte le costituzioni finanziarie degli Stati membri (dentro
o fuori l’Eurozona) quella più efficiente e aderente al modello della costituzione economica europea 54 . Gli strumenti di
Gordon Brown sono lucidi e funzionali; gli interruttori del
pannello di controllo funzionano tutti, e sono a disposizione
del governo inglese. Gli elettori sanno con totale precisione a
chi dare la colpa se qualcosa va male, o il merito delle performance positive.
Invece, mantenere la finanza pubblica italiana entro i parametri della costituzione economica europea, con le regole
elettorali (e il sistema politico) attuali è una impresa disperata; ogni finanziaria diventa una via crucis, ogni riforma
54 G. di Plinio, I modelli di Maastricht e la Costituzione finanziaria e monetaria
britannica, cit..
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strutturale che potrebbe accelerare la riduzione del debito (o
almeno impedire che aumenti ancora) richiede lacrime e sangue, e, se giunge in porto, ci arriva piena di tagli e deformazioni, e comunque come è dimostrato dall’esito delle “Bassanini” e ora del nuovo Titolo V e delle riforme sul tappeto,
dai servizi pubblici locali al federalismo fiscale, viene paralizzata in sede di enforcement, fino e anche oltre la mannaia della
Corte di Lussemburgo. L’unico gioco possibile in sede di
controllo finanziario, è quello delle forbici dei Ministri
dell’economia e dei loro Dipartimenti, che a partire dal 1988
hanno progressivamente imposto programmazione di bilancio e regole europee 55 ma la fame di spesa pubblica ricompare dove meno te l’aspetti, sotto forma di derivati finanziari
o di politiche locali delle sanzioni automobilistiche. È una
politica finanziaria di mera sopravvivenza, continuamente a
rischio di cadute e scivoloni, continuamente alla rincorsa di
capitoli di bilancio che tentano di espandersi nelle direzioni
da cui provengono i canti delle sirene. In condizioni di estrema crisi fiscale, lo Stato è percepito come il principale
55 Un recente contributo (S. Fedeli, F. Forte, Measures of the amending power
of government and parliament. The case of Italy 1988–2002, in Economics of Governance, 2007, vol. 8, n. 4, 309 ss, partendo dall’analisi economica
dell’amending power sulla legge finanziaria nel periodo compreso tra il 1988
e il 2002, consente di concludere che ‘Maastricht’ ha governato la legislazione finanziaria italiana indipendentemente dal sistema elettorale; a
parte altri importanti e discutibili risultati, ciò significa che, in presenza
del processo costituente dell’Unione economica e monetaria, l’effetto
delle due differenti formule elettorali (la proporzionale fino al 1994 e una
maggioritaria corretta a partire da tale anno) sull’amending power è scarsamente significativo in entrambi i casi, grazie alla cascata di riforme finanziarie imposte dalla nuova costituzione economica a partire dal 1988 alla
legislazione finanziaria e di bilancio (In argomento, G. di Plinio, T.E.
Frosini, G. Parodi, Corso di diritto costituzionale, Padova, Cedam, 2007, 155
ss.; v. anche G. Rivosecchi, L’indirizzo politico finanziario tra Costituzione
italiana e vincoli europei, Padova, Cedam, 2007). In realtà, ci sarebbe una
sfasatura temporale dell’effetto Maastricht, ma forse può essere spiegata
con l’accelerazione post Atto Unico Europeo, nel contesto dello SME,
iniziata nella metà degli ’80.
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responsabile di questa crisi; l’autogenerazione e la vorticosa
crescita dell’antipolitica sono effetti sostanzialmente scontati.
Ma, ciò che è più grave, uno Stato in queste condizioni
non solo non genera, ma addirittura frena la crescita economica, e, lo ricordiamo, il prodotto interno lordo è un valore
costituzionale, nella misura in cui costituisce la pietra di paragone delle finanze pubbliche. Si percepisce chiaramente
una mostruosa contraddizione, insanabile alle condizioni
attuali: più il costo di una politica alla ricerca disperata di
risorse pubbliche da distribuire (o, nel peggiore dei casi, intascare) rallenta l’economic growth;, tanto più la stagnazione del
PIL riduce le risorse finanziarie disponibili per la dirigenza
politica e i suoi programmi.
L’equilibrio che si è rotto nel nostro Paese ha una dimensione costituzionale, e può essere ricostituito solo a patto di riconfigurare la politica a dimensione dell’economia.
Ciò non sarà forse condizione sufficiente, ma è assolutamente necessaria, e doverosa ai sensi dei principi e dei valori
della costituzione economica europea.
La legge elettorale vigente, sotto questo profilo, risulta
‘incostituzionale’ non tanto in sé, quanto, indirettamente, per
la sua idoneità a generare effetti economici su equilibri di
finanza pubblica, garantiti dai vincoli europei direttamente
richiamati, quali valori formanti e condizionanti le fonti primarie del diritto italiano, dalla attuale configurazione anche
formale della Carta costituzionale.
È appena il caso di rilevare che il referendum abrogativo
di tale legge, in corso di procedura, non potrebbe in nessun
caso generare automaticamente un modello maggioritario;
potrebbe, e questo sarebbe già un risultato rilevante, rinsaldare la costituzionalizzazione dell’esito referendario del
1993. Ma non è questo il punto. Il referendum è congegnato
in modo da produrre effetti giuridici autoapplicativi, riconfigurando la legge elettorale proporzionale, che resterebbe tale,
attraverso la generazione di alcuni correttivi, fin troppo noti
per essere ancora dettagliati in questa sede, dove è sufficiente
rilevare che i partiti sarebbero costretti a fondersi prima delle
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elezioni; aggiungendo il gioco degli sbarramenti, il sistema
sarebbe drasticamente semplificato e, automaticamente, senza bisogno di interventi legislativi ulteriori, riconfigurato nelle forme del bipartitismo.
Ha senso tale risultato alla luce degli imperativi posti dalla costituzione economica europea?
In realtà la costituzione economica, nei termini in cui è
stata precedentemente esaminata in queste note, non impone
direttamente una formula elettorale o l’altra, ma solo che il
sistema elettorale sia coerente con (e soprattutto non ostacoli) il conseguimento di specifici risultati economici. Come
abbiamo già avuto occasione di notare, la spiegazione teoretica dell’asimmetria di performance economica dei sistemi
elettorali maggioritario e proporzionale non si ferma agli
aspetti giuridico-formali, ma entra nei dettagli, in particolare
in quelli che potremo chiamare i “prodotti politici” delle
formule elettorali in determinati contesti. Insomma, non è il
sistema proporzionale in sé a generare più corruzione, anche
se le evidenze empiriche sono pressoché univoche al riguardo 56 , né a dilatare dimensione delle amministrazioni,
deficit e debito pubblico; questi effetti sono piuttosto riconducibili ad alcuni caratteri di configurazione del sistema politico, che tendenzialmente (ma non necessariamente) sono
J. Kunicova, S. Rose-Ackerman, Electoral Rules and Constitutional Structures as Constraints on Corruption, in British Journal of Political Science, 2005, vol.
35, 573 ss.; T. Persson, G. Tabellini, F. Trebbi, (2003), Electoral Rules and
Corruption,in European Economic Review, 2003, vol. 1, 958 ss., che tra l’altro
dimostrano la forza corruttiva del sistema proporzionale anche quando
questo si innesta in regimi presidenziali.
56
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generati dal sistema proporzionale, in contesti particolari 57 .
Tra i caratteri in questione, i più rilevanti in rapporto
all’impatto economico sono proprio: 1) la frammentazione
delle forze politiche e 2) la generazione di governi di coalizione privi di un controllo unitario determinante 58 . L’esito
positivo del referendum abrogativo avrebbe precisamente
questi risultati, dei quali tra l’altro l’elettorato ha una netta
percezione ancora prima del voto referendario, dati la chiarezza dei quesiti e il contesto di eccezionale divulgazione nei
mass media, rafforzata dall’atteggiamento dei partiti maggiori
che hanno avviato processi nella direzione della concentrazione.
La classe politica è strutturalmente incapace di introdurre
regole che riducano la propria dimensione e i propri spazi di
rendita e di manovra e le consentano di governare, e non
distruggere, l’economia; ma è proprio questo che impone la
costituzione economica europea.
Il referendum è forse l’ultima occasione per aiutare sia
l’una, sia l’altra.
A. Alesina, Choice of Constitutions and Electoral Systems, in CESifo DICE
Report 3/2007.
57
58 T. Persson, G. Roland, G. Tabellini, Electoral rules and government spending
in parliamentary democracies, op. loc. cit. (e vedi anche supra,paragrafo 3).
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