cultura
e storia
N
ECHI RISORGIMENTALI:
LA FAMIGLIA
DI TULLIO DANDOLO
ella quiete del Deserto riuscõÁ meno penoso al conte Tullio ricercare la corrispondenza intercorsa fra se e i figli, allora alle soglie dell'adolescenza, darle ordine,
comporla in volume: era il 1861. Il vasto, abbandonato romitorio carmelitano di metaÁ Seicento, presso Cuasso al Monte, gli aveva offerto
rifugio molto prima che Enrico ed Emilio gli
inviassero lõÁ le loro risposte. In stanze da lui
arredate, giaÁ dimora del priore (alle pareti, in
rigido ordine, si allineavano i libri) lunghi periodi si erano consumati, irrecuperabili: li aveva
sacrificati allo studio, alla stesura di pubblicazioni...
Pur lontani, seguiva i suoi figli, si sforzava di
educarli scrivendo. Ma in quella tarda serata di
maggio del 1844 non propose loro motivi di
riflessione. Li volle partecipi delle impressioni
di un giorno indimenticabile: chino sul foglio
un po' ingiallito sul quale le aveva riferite, le
ritrovava tuttora intatte nell'intimo 1.
Splendido il Ceresio nel luminoso mattino: il
fedele barcaiolo lo traghettava all'opposta riva.
Allo sbarco, persona amica l'aveva invitato, introdotto poco dopo in una villa: non lontana, la
ticinese Figino. L'abbaiare dei cani aveva richiamato due donne sul limitare. Li accolse la vedova
di un medico, ricco possidente della zona, ``ripetutamente rivestito delle alte magistrature del
Cantone''. Poi li salutoÁ la figlia sedicenne, l'unica
di dodici tra fratelli e sorelle rimasta accanto alla
madre. Ricevuti con ``geniale accoglienza'', immediata sorse tra loro due la simpatia... Di ritorno da Lugano, imbruniva, Tullio accoglieva l'invito, tornava a vederla. Si riscosse; s'imponeva
un'aggiunta, un chiarimento ai lettori: ``La fanciulla [...] tre mesi dopo era mia moglie. I miei
figli trovarono in Ermellina [...] lor coetanea,
un'amica, una confidente, una sorella'' 2.
In realtaÁ aveva manifestato a tutti la gratitudine per lei. Erano morti per l'Italia i due fratelli, pochi anni dopo, e giaÁ troppo presto privati di ``una madre angelica'', che nella fanciullezza li aveva cresciuti ``pii, valorosi''. Dio peroÁ
± glien'era riconoscente ± l'aveva compensato
con un ``secondo, vivace Enrico'', con ``una corLOMBARDIA NORD-OVEST
Tullio, Enrico, Emilio, Ermellina,
una famiglia nel Risorgimento italiano.
L'ideale e l'azione: due generazioni
a confronto nella partecipazione
alla conquista dell'indipendenza,
tra distaccato, moderato romanticismo
e coinvolgimento assoluto, ma anche
coraggiosa consapevolezza femminile.
Il privato e il pubblico: negli stralci
da lettere e da scritti gli affetti e il dolore,
le speranze e i timori per i destini
di un Paese che avrebbe preso forma
in quegli anni cruciali.
Gianni Perna
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Di rado, nelle lettere, Tullio si manifesta interiormente appagato. Aspetti particolari della
natura, qualche gita nei dintorni del romitorio
vengono presentati con serena adesione. Oppure riunioni pacatamente festose con i propri
servitori e i loro figli, sotto la regia del factotum
Vittore... Da una di esse trae incoraggianti previsioni Enrico, all'inizio del 1843; eÁ sicuro che il
padre supereraÁ al Deserto la delusione: i viaggi,
le pubblicazioni ± gli ha scritto ± tutta l'attivitaÁ
svolta lo lasciano insoddisfatto, ne sa spiegarselo. Il divario tra fantasia e realizzazioni: eÁ questo il motivo, gli spiega con affetto l'adolescente: ``Quando ti credevi giunto alla meta dei tuoi
desideri, ti accorgevi non avere stretto che vento''. All'eremo, invece, le speranze di una ``vita
tranquilla, spesa lavorando, rendendo contenti
quelli che ti circondano'' possono avverarsi,
renderlo felice 4.
L'epistolario tuttavia non riflette questo clima psicologico; solo la rievocazione di Ermellina si stacca dal contesto. La ``soavitaÁ morale''
di quel primo incontro non anima nessun altro
scritto e l'intento educativo del conte eÁ insidiato al suo interno da inquietudine, da disagio
T. Dandolo, Lo spirito della Imitazione di GesuÁ Cristo
[...] Ricordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio
Dandolo, Milano, Francesco Sanvito, 1861: raccoglie
trentanove lettere (dal 1841 al 1844); in appendice una
scelta di componimenti scolastici di Emilio. Sul conte
(Varese 1801-Urbino 1870): R. Giusti, Dandolo Tullio,
voce in Dizionario biografico degli italiani, vol. XXXII,
Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1986, pp.
507-509; G. Perna, Tullio Dandolo: una `guida' del Varesotto e l'amicizia con Ezechiele Zanzi, in ``Lombardia
Nord-Ovest'', a. LXXV, 2002, fasc. 3, pp. 65-78. Sul Deserto, sorto nel 1655, soppresso nel 1798 e acquistato,
con il terreno circostante, da Vincenzo Dandolo, padre di
Tullio: G. Buzzi, Il Santo Deserto sopra Cuasso: il profumo del Carmelo, Varese, Edizioni ``Casa Nostra'' pro Arcisate, 1992, passim.
2
Dandolo, Lo spirito, cit., n. 1 p. 146 e pp. 143-146. Su
Ermellina Maselli (Figino [Lugano] 1827-Adro [Brescia]
1908): A. Monti, Dandolo Maselli Ermellina, voce in Dizionario del Risorgimento nazionale, vol. II, Milano, Vallardi, 1930, pp. 826-827; R. Farina, Maselli Ermellina in
Dandolo, voce in Dizionario biografico delle donne lombarde 568-1968, Milano, Baldini e Castoldi, 1995, pp.
711-712; Giusti, Dandolo Tullio, cit., p. 508.
3
Dandolo, Ad Aleardo Aleardi Tullio Dandolo, dedica, ne
Lo spirito, cit., pp. non numerate. La contessa Giulietta
Bargnani, ``madre angelica'' di Enrico ed Emilio, sposoÁ
Tullio Dandolo nel 1827 e morõÁ nel 1835: Giusti, Dandolo
Tullio, cit., p. 508. Su Enrico (Varese 1827-Roma 1849):
Id., Dandolo Enrico, voce in Dizionario biografico, vol.
XXXII, cit., pp. 459-460. Su Emilio (Varese 1830-Milano
1859): Id., Dandolo Emilio, ivi, pp. 445-448.
4
Dandolo, Lo spirito, cit., pp. 46-47. Enrico scrive da
Milano.
diale Maria'': li ricordoÁ nella dedica al poeta e
amico Aleardo Aleardi. Peraltro il suo proposito era ora preciso; l'epistolario l'avrebbe assecondato: intendeva ``rendere noto ed accetto ad
ogni cuore elevato e pietoso'' il ricordo degli
scomparsi 3.
INQUIETUDINE
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LOMBARDIA NORD-OVEST
Il libro di Tullio Dandolo che raccoglie l'epistolario
del conte negli anni 1841-44.
Alle pagine seguenti:
Il frontespizio della prima edizione delle memorie storiche
di Emilio Dandolo, stampata a Torino per i tipi di Ferrero
e Franco, 1849 (ma 1850) e i ritratti di Enrico Dandolo,
Luciano Manara ed Emilio Morosini (Litografia Doyen e C.).
Anche Manara e Morosini, e con essi Goffredo Mameli
e il varesino Francesco Daverio, caddero fra il 3 giugno
e il 1ë luglio 1849 nei combattimenti contro i francesi
durante la difesa della Repubblica romana.
interiore. Chi lo persegue chiede paradossalmente conforto a coloro che dovrebbe temprare alla vita.
Pesa sull'animo la prima giovinezza. La morte del padre aveva reso padrone di se Tullio
diciannovenne, l'aveva invogliato ai viaggi nelle
capitali fastose, nel bel mondo. Essi ``posermi a
contatto d'uomini corrotti; sedotto dal loro
esempio, dismisi le serene abitudini della mia
adolescenza, e quella cecitaÁ mi duroÁ alquanti
anni''. Da Adro, nel Bresciano, lo rivela a Enrico: ``La Madre tua [...] seppe richiamarmi piuÁ
con la soave eloquenza dell'esempio che con le
parole...''. Ma la ripresa fu lenta: dubbi, contrarietaÁ anche lievi continuavano ad abbatterlo.
Ora, quarantenne, perseverare nell'impegno eÁ
l'unico ``pronostico di guarigione'' 5. La recuperata religione non eÁ pertanto tranquillo possesso, non gli infonde, superata ogni contraddizione, una ``calma abituale''. Considera l'Imitazione di Cristo ``la piuÁ cara e gustata'' lettura e ne
propone talvolta ampi brani. Ma il capolavoro
dell'ascetismo medievale eÁ libro non dei perfetti, ma degli imperfetti come lui. Ad essi offre
``genuine nozioni intorno l'uomo e la sua debolezza''. Egli infatti ringrazia Dio per ogni giorno
serenamente concluso, ``del quale non avroÁ a
render conto a' rigori della sua giustizia'' 6.
La morte di Giulietta Bargnani puoÁ giustificare solo in parte le incongruenze di quell'educazione `a distanza'. Pur con un che di esasperato, il conte aveva riconosciuto i propri cedimenti giovanili. Ma per farne un'esortazione al
figlio, ansiosa e insieme autoritaria: ``Fa' tesoro,
Enrico, della mia sperienza [...]. Quindici anni
di buoni proponimenti [...] cominciano appena
a temperare l'amarezza stillatami in cuore da
quegli errori [...] Possa tu evitarne di simili:
[...] ricordati come ne fui punito!''. La conclusione della lettera da Adro eÁ davvero emblematica. Forse inconsapevolmente, Tullio proietta la
propria debolezza sul primogenito appena adolescente; non a caso lo richiama con frequenza
alla ``fermezza dei propositi'', a quella perseveranza, in fondo, che sembrava dovesse assicurare nel tempo il desiderato equilibrio interiore.
Qualcuno tuttavia giaÁ lo affiancava, riusciva a
moderarne gli eccessi educativi. Morta appena
la prima moglie, il conte aveva affidato gli orfani al medico di famiglia. Angelo Fava, scrittore,
traduttore biblico, fervente patriota, godeva
fama di esperto educatore. AccettoÁ, svolse presso i fratelli Dandolo un compito di precettore
completo, incisivo. Capasso ce ne offre un'analisi acuta, nei suoi risvolti religioso-morali, culturali, patriottici. E documenta gli interventi
presso il conte: piuÁ volte ne moderoÁ atteggiamenti, pretese, con esito risolutivo, malgrado
opposizioni e contrasti. Del resto, conclude lo
storico, il sistema formativo di Dandolo ``era in
parte alquanto complicato, richiedendo troppo
e troppo presto a intelletti ancora immaturi,
[ma] aveva in se anche molto di buono''. L'azione di Fava, la formazione che dal 1841 al '43
Emilio ricevette nel collegio di Monza concorsero a valorizzarlo. Alla fine, i ``fratelli Dandolo
uscirono dall'adolescenza con mente e cuore
giaÁ formati alle future lotte'' 7. Due personalitaÁ
complete, quali il padre aveva desiderato; ma
autonome, libere da ogni sudditanza verso di
lui, pur intensamente amato.
I BERSAGLIERI LOMBARDI
Ivi, pp. 24-25. La lettera eÁ del 4 dicembre 1841.
Ivi, passim e p. 14. Sull'Imitazione, di Tommaso da
Kempis, il conte nel 1844 pubblicoÁ Comenti [sic] alla
Imitazione di Cristo.
7
Su Angelo Fava (Chioggia 1808-Milano 1881): N. Raponi, Fava Angelo, voce in Dizionario biografico, cit., vol.
XLV, 1995, pp. 403-407; su Fava precettore: G. Capasso,
Dandolo, Morosini, Manara e il primo battaglione dei bersaglieri lombardi nel 1848-49, Milano, Cogliati, 1914, pp.
6-18 e 18 in part.
5
Il patriottismo di Tullio si configura nell'epistolario come un valore ideale, romanticamente
legato alla tradizione religiosa e culturale italiana, ai grandi papi come ai grandi letterati.
``Quando tu adolescente hai letto in Machiavelli
± a tutti pute questo barbaro imperio ±'' scrive
egli a Enrico, ``cominci dal trovar energico quel
pute alla latina, che ti converte in carogna il
6
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vrebbero raggiunto successivamente. Non idoneo a intraprendere e gestire personali iniziative, il conte, grazie al cognome famoso, alla riservatezza, alla pacatezza dei modi, svolgeva
con coerenza ruoli di garanzia, di rappresentanza. Poco dopo venne nominato membro del
Comitato di sicurezza, costituito per il mantenimento dell'ordine in cittaÁ.
A Milano, intanto, Fava in persona aveva
riunito segretamente i fratelli Dandolo, altri
suoi alunni, fra i quali Luciano Manara ed Emilio Morosini, dando con loro il via all'insurrezione antiaustriaca: Tullio ignorava che in precedenza li aveva addestrati all'uso delle armi 9.
L'aspra, esaltante comunanza di guerra succedeva ora a quella dilettevole di scuola, di vita,
che con altri giovani dell'aristocrazia milanese
li riuniva alcuni mesi dell'anno a Varese, dove
± come ricorda Ambrosoli nella sua opera postuma ± i Morosini possedevano ``la villa giaÁ
appartenuta al marchese Recalcati, a Casbeno''.
All'illusoria cacciata degli austriaci da Milano
barbaro imperio''. Il conte commenta un passo
della commossa perorazione che chiude il Principe. Il suo profondo significato, continua, si
sedimenta nell'animo, nel sangue, per infiammarsi ``nell'ora che pigli il fucile per isnidare
il barbaro dal tuo paese...'': fu anch'esso ``un
de' semi reconditi che crebbero in te le sagre
fronde del patriottismo''. Le immagini, forti,
eleganti, non ingannano: Dandolo che pur ``si
infiammava dinanzi ad avvenimenti di valenza
patriottica'' 8, guardava concettualmente all'unitaÁ d'Italia, e fu politicamente un moderato. Non
fu (ne poteva esserlo) uomo d'azione: lo dimostroÁ nel marzo del 1848.
All'inizio dell'anno i patrioti varesini osservavano con trepidazione la tensione che pervadeva Milano e si riunivano in discussioni animate
nelle case Adamoli, Parravicini, Comolli. Come
si sarebbe ripetuto anche in seguito, ``all'Annunciata, casa dei Dandolo, appaiono e ripartono come meteore l'Emilio Morosini, Emilio ed
Enrico Dandolo ed il dottor Fava. Il buon conte Tullio lascia fare e incoraggia...'': eÁ uno schizzo fedele, quest'ultimo. Scoppiate le Cinque
giornate, il 21 marzo, egli si rende garante,
con Eugenio Orrigoni, degli accordi tra il colonnello austriaco Kopal, in ritirata da Varese, e
le autoritaÁ municipali: prende sotto la propria
tutela l'ufficiale e i suoi uomini di presidio al
magazzino militare, in piazza San Vittore: l'a1/2003
Dandolo, Lo spirito, cit., pp. 133-134. La lettera eÁ del 24
maggio 1843. Giusti, Dandolo Tullio, cit., p. 508.
9
L. Giampaolo - M. Bertolone, La prima campagna di
Garibaldi in Italia (da Luino a Morazzone) e gli avvenimenti militari e politici nel Varesotto 1848-1849, Varese,
Musei Civici, 1950, pp. 23 e 35-36; Raponi, Fava Angelo,
cit., pp. 404-405; L. Ambrosoli, Varese, storia millenaria,
Varese, Macchione editore, 2002, pp. 103-105.
8
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rere le vicende militari del battaglione, sino all'infausta difesa di Roma, nella lettura delle Annotazioni storiche del suo Emilio. Il volume, che
Croce avrebbe definito ``aureo libretto'', lodandone i pregi stilistici nella Storia della storiografia nel secolo XIX, Emilio l'aveva consacrato
alla memoria del fratello, di Morosini e Manara,
caduti tutti sotto le mura della CittaÁ eterna. E al
padre fu di conforto elogiarlo tacitamente, scorgendovi confermate le doti dei componimenti
del quindicenne allievo di Fava, le avrebbe un
giorno pubblicamente rivelate nell'appendice
dell'epistolario 11.
Alle Annotazioni dedicoÁ una delle sue prime
pubblicazioni il compianto storico varesino
Ambrosoli. Egli vi sottopone ad attento esame
la personalitaÁ dell'autore e il conseguente valore storico-politico dell'opera. ``Bisogna vedere il
Dandolo'' ± avverte ± ``soprattutto come un soldato e non come un uomo politico''; era infatti
suo convincimento che solo ``un esercito forte,
disciplinato, preparato e perfettamente organizzato'' (quello sardo, rafforzato da contingenti di
volontari opportunamente addestrati) costituisse ``la possibile soluzione al problema dell'indipendenza italiana'' 12. Coerentemente, quando
Emilio valuta l'operato dei politici, ne tiene presenti solo le ripercussioni sullo svolgimento delle azioni militari. Pesanti accuse, ad esempio,
egli lancia alla condotta di Cattaneo e del con-
seguirono mesi di sacrifici per i bersaglieri di
Manara, poi lombardi, accresciuti dall'afflusso
di disertori, in un alternarsi di sconforto e di
fiducia. Nei mesi estivi il battaglione si era inoltrato, in un succedersi di scontri e di deprimenti, disagevoli soste, verso il Garda e il Trentino.
Sul finire di luglio, Emilio scriveva al padre: ``Io
vedo l'avvenire cosõÁ scuro, io prevedo tanto
sangue e tante lagrime da spargersi, prima di
meritare la libertaÁ, che non posso essere allegro
e nemmeno sereno confortatore d'altrui. Che
vuoi? Soffriamo, sperando in Dio...'' 10. Il triste
presagio si sarebbe in breve avverato. Sconfitto
Carlo Alberto a Custoza, i bersaglieri in ritirata
furono impegnati in cruente azioni di retroguardia. Il battaglione, sciolto e ricostituito in Piemonte dopo l'armistizio di Vigevano, fu poi
coinvolto nella definitiva sconfitta del re a Novara, nel marzo del 1849. Tullio, affranto dalla
morte di Enrico, ebbe l'opportunitaÁ di ripercorAmbrosoli, Varese, cit., p. 103. La lettera eÁ riportata in
Giusti, Dandolo Emilio, cit., p. 445.
11
E. Dandolo, I volontarii ed i bersaglieri lombardi. Annotazioni storiche, Torino, Tipografia Ferrero e Franco,
1849 (ma 1850). Sui componimenti di Emilio si veda la
nota 1. Il padre scrisse: ``chiariranno la potenza ch'era in
Emilio quindicenne di sentire, di giudicare, d'esprimersi'':
Dandolo, Lo spirito, cit., p. 153.
12
L. Ambrosoli, Guerra di popolo e guerra regia nel
1848-49 nelle memorie di Emilio Dandolo, in ``Humanitas'', a. III, 1948, n. 9, pp. 876-888 e 877 in part.
10
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``Il combattimento del 3 Giugno 1849 a Roma'', particolare
di una delle due tavole silografiche dal titolo: 1849 Assedio
di Roma. Garibaldi il 3 Giugno a Porta San Pancrazio, Milano,
Ambrogio Centenari, s.a. [1884]. Opera di vari incisori
sul disegno di Quinto Cenni, le tavole riproducono la veduta
di Roma a 360ë in cui nel 1882 il pittore belga LeÂon Philippet
e altri artisti ricostruirono episodi e personaggi di quella
giornata: 12 quadri a olio in scala 1:10 che fecero da modello
al grandioso `Panorama circolare' (120 metri di circonferenza,
sole dell'armistizio, d'altra parte, vietavano la
loro permanenza in Piemonte, ne appariva praticabile l'ipotesi di porsi al servizio del granduca di Toscana o di Pio IX. Illuminante in tal
senso uno scritto di Enrico a Ermellina, inviato
da Civitavecchia il 20 aprile. In quei giorni suo
marito rileggeva con ansia due lettere, entrambe del gennaio 1843, dei figli adolescenti. Enrico lodava gli studi del padre sulla Scuola di
Alessandria. Ma la rovina odierna della famosa
cittaÁ egiziana gli richiamava, per contrasto, l'intramontabile grandezza spirituale di Roma.
``Piacque al Signore ± commentava ± che contro
di lei si infrangesse non meno l'urto dei barbari
che quello dei secoli''. Nell'unico scritto dal
collegio di Monza, Emilio lo informava pochi
giorni dopo sul manuale di storia ecclesiastica
siglio di guerra provvisorio milanese, come a
Mazzini, per gli errori commessi rispettivamente nella difesa di Milano e di Roma, ne lo condiziona l'estraneitaÁ a seÂ, al fratello, ai loro amici,
del federalismo dell'uno e dell'unitarismo repubblicano dell'altro 13.
Nelle settimane del 1849 successive all'armistizio di Vignale i volontari attraversarono situazioni di gravi incertezze sul da farsi, riflesse
nelle lettere ai loro cari, a Fava, tutti propensi
alle loro dimissioni. Da parte sua, Tullio consigliava i figli a iscriversi all'UniversitaÁ di Parigi.
Ma i bersaglieri erano consapevoli di non poter
lasciare allo sbando, anche economico, gli uomini del battaglione, specie i disertori. Le clau13
Ivi, passim.
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64
LOMBARDIA NORD-OVEST
14 di altezza) allestito a Milano in Foro Buonaparte
nel novembre 1883 e presentato l'anno dopo a Torino
all'Esposizione generale italiana. Grazie ai 97 richiami
esplicativi delle legende che corredano le tavole, si riconoscono
in questo particolare Porta San Pancrazio e sullo sfondo,
tra le fiamme, le ville Corsini (o Casino dei Quattro Venti),
Pamphili e Valentini, teatro dei durissimi scontri tra i
Garibaldini e le truppe francesi che assediavano Roma
(Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli, Milano).
seguente Morosini comunicava incisivamente
alla famiglia il pensiero comune: ``Ora si tratta
di difendere una cittaÁ italiana da un'invasione
straniera qualunque. [...] Della Repubblica [di
Mazzini] non me ne importa un fico, ma dell'Italia e del suo onore penso diversamente'' 15.
Queste espressioni, riecheggiate da quanto scrisse Manara alla moglie Carmelita lo stesso giorno,
hanno in se la vibrazione di un congedo definitivo. Nel nome di una solidarietaÁ ``di carattere
nazionale, non politica'', quei giovani aristocratici cattolici avrebbero combattuto, affrontato la
morte. Nelle sue Annotazioni il superstite Emilio avrebbe ribadito la motivazione ideale di
fondo, avrebbe descritto o, meglio, commemorato la fine eroica dei suoi amici, con ``accenti
tenerissimi e forme e colori vivissimi'' 16.
Enrico morõÁ combattendo per effetto di un
tradimento immediato, nell'ambito del piuÁ vasto inganno ordito dal generale Oudinot a danno degli italiani. Questi ± come nota Pieri, il piuÁ
autorevole studioso di storia militare risorgimentale ±, informa di aver prorogato al 4 giugno la tregua scaduta il 1ë. Sorge un equivoco:
le ville antistanti Porta San Pancrazio e le mura,
sono o no incluse nel rinvio dell'attacco alla
`piazza'? Contrariamente ai difensori, Oudinot
non ha dubbi, e la notte fra il 2 e il 3 giugno
ordina di attaccarle. In particolare, viene persa
dagli italiani, poi ripresa e infine definitivamente persa villa Corsini, punto strategico importantissimo e assai esposto. La legione garibaldina vi aveva subõÁto gravi perdite: era caduto anche il mazziniano Francesco Daverio, ingegnere, di Calcinate del Pesce 17.
``Mio fratello non contava ancora 22 anni;
gracile nella persona, egli aveva un'anima cosõÁ
del gesuita padre Morcelli, oggetto di studio in
quel periodo. Aveva cosõÁ esaminato la diversa
personalitaÁ dei pontefici succedutisi a Roma.
Osservava che tanto ``i miti, quanto gli alteri
sono da ammirare [...] perche [...] adempievano
premurosamente (sia gli uni che gli altri) i doveri del loro santo ministero...'' 14. Peraltro il
padre si ricredette in breve: non era assolutamente in discussione la lealtaÁ cattolica loro e
dei commilitoni. Fu la giornata del 30 aprile ±
come documenta Capasso ± a segnare la svolta:
``la prontezza, la gagliardia, l'unanimitaÁ della
difesa'' dei romani contro i soldati del generale
Oudinot, che si era avvicinato a Roma ``nella
ingenua credenza d'esservi ricevuto amichevolmente [...] distrussero nel Manara e nei suoi
ogni sospetto, ogni preoccupazione''. Il giorno
LOMBARDIA NORD-OVEST
14
Capasso, Dandolo, cit., pp. 200-207; la lettera di Enrico, ivi, pp. 203-204. Dandolo, Lo spirito, cit., p. 59 (Enrico
scriveva da Milano) e pp. 70-71.
15
Capasso, Dandolo, cit., pp. 199-200 e 204-205.
16
Cfr. Ambrosoli, Guerra di popolo, cit., p. 883; Giusti,
Dandolo Emilio, cit., p. 446: riporta il citato giudizio di
Capasso, quelli elogiativi di Croce, Pellico, Capponi e,
piuÁ contenuti, di Tommaseo.
17
Cfr. P. Pieri, Storia militare del Risorgimento. Guerre e
insurrezioni, Torino, Einaudi, 1962, pp. 427-429.
65
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bella, un criterio sõÁ sano e una cosõÁ ammirabile
costanza e santitaÁ di principii, che a quanti lo
conoscevano era oggetto di stima e di affetto
vivissimo''. Al centro, Emilio colloca il commosso ritratto del fratello. Lo precede la slealtaÁ di
un ufficiale francese. Dati questi segni di resa, ai
suoi che risalivano l'erta Enrico comandoÁ di
cessare il fuoco. Ma ``quando fu a trenta passi,
l'ufficiale si fece da parte e una tremenda scarica gettoÁ a terra un terzo della compagnia. Mio
fratello aveva passato il petto da parte a parte''.
La morte scatena l'angoscia di Emilio. Cerca di
soffocarla, guidando un altro disperato attacco
contro villa Corsini. Ferito, costretto a ritirarsi,
cerca il fratello tra i cadaveri. Invano, per due
ore, ``di quelle che pesano come un incubo su
tutta la vita d'un uomo''. Alla fine Manara lo
vede, lo chiama. ```Non correre a cercar tuo
fratello, mi disse quel povero mio amico stringendomi la mano, non sei piuÁ in tempo; ti faroÁ
io da fratello'. Io caddi bocconi per terra...'' 18.
marito, l'avvicinamento graduale a Carlo Tenca,
direttore del patriottico ``Crepuscolo''. ``Il salotto Maffei ± precisa Daniela Pizzagalli ± inizioÁ le
sue serate nel 1834, sotto il segno della letteratura e dell'arte''; e ne collega l'animazione a una
tradizione risalente alla Francia di fine Seicento.
Questa ``civiltaÁ della conversazione e della seduzione'', come la definisce Giulia Borgese in un
articolo di pochi mesi or sono, si eÁ protratta in
forme diverse fino ai nostri anni Sessanta 20. Peraltro nell'ultimo decennio della dominazione
austriaca, i caffeÁ e i salotti, soprattutto, costituivano un veicolo importante dell'insofferenza
politica dell'aristocrazia milanese. Questa si
coagulava attorno a letterati, artisti, talvolta celebri, a Verdi, ad esempio, amico di Clara: i
successi del Nabucco (1842), dei Lombardi alla
prima crociata (1843) avevano dato esca alla Scala a manifestazioni di patriottismo incontenibile.
Tuttavia il giovane Visconti Venosta preferiva
abitualmente salotti meno elitari, dove lui e altri
giovani esuberanti, eludendo la polizia, potessero sfogarsi, scuotere il torpore cittadino con
progetti talora stravaganti, estemporanei. In
casa di Giulia Carcano, quindi, o dei Dandolo,
in cittaÁ dal 1840, attorno ai compagni d'arme o
di scuola di Emilio e del fratello caduto a Roma.
Del padrone di casa daÁ un'immagine precisa,
forse troppo severa, ma identica nel comportamento a quella emersa nel 1848 a Varese. ``Il
conte Tullio Dandolo, [...] uomo di varia cultura, [...] autore assai pesante di moltissimi libri
di storia, di letteratura e di filosofia religiosa,
era un personaggio serio ma tollerante; e quando vedeva la sua casa invasa da tanti giovani,
capi scarichi, di solito se ne andava e ci lasciava
in libertaÁ''. Un particolare peroÁ eÁ ignoto al memorialista. I figli solo avevano saputo da lui che
la ``barchetta'' che l'aveva trasportato a Figino
NEI SALOTTI DI MILANO
Narra Giovanni Visconti Venosta nei Ricordi di
gioventuÁ che nel 1850 conobbe la contessa Clara Maffei, ``una donnina piccola, piacente piuÁ
che bella, elegante, di maniere distinte e gentilissime; parlava bene, ogni suo discorso era improntato a un patriottismo ardentissimo...''. Da
allora visitoÁ ogni giorno, spesso brevemente, il
suo ``elegante e intelligente'' salotto milanese,
dal quale ``si irradiava [...] direi quasi una volontaÁ direttiva di azione patriottica [...] di grande influenza morale in quegli anni difficili e
duri della resistenza'' 19.
Una recente biografia documenta la non facile vita privata della contessa: dopo la morte di
una bimba di pochi mesi, la separazione dal
Dandolo, I volontarii, cit., pp. 207-208 e 211-212.
G. Visconti Venosta, Ricordi di gioventuÁ. Cose vedute
o sapute 1847-1860, Milano, Tip. Cogliati, 1904, pp. 209210. Su Clara Maffei (Bergamo 1814-Milano 1886): L.
Iannuzzi, Carrara Spinelli Elena Clara in Maffei, voce in
Dizionario biografico delle donne, cit. pp. 269-271.
20
D. Pizzagalli, L'amica. Clara Maffei e il suo salotto nel
Risorgimento italiano, Milano, Mondadori, 1997, pp. 1314; G. Borgese, Dai Lumi al Gruppo 63. L'arte di stare in
salotto, in ``Corriere della Sera'', 21 gennaio 2003, presentazione del convegno Salotti e ruolo femminile in Italia tra fine Seicento e primo Novecento (Milano, 23-25
gennaio 2003).
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Il ritratto di Emilio Dandolo (Milano, Litografia Bertotti)
in antiporta alla riedizione del suo volume, a un anno
dalla morte, stampato a Milano da Gaetano Brigola nel 1860.
``non una volta ne due valsemi a traghettare
sull'opposta sponda ticinese i cercati, gl'inseguiti dal sospetto de' nostri oppressori''. Azione
discreta, rischiosa si era ripetuta sul Ceresio.
Illumina di luce nuova il patriottismo del
conte e attenua ai nostri occhi il divergente
giudizio che subito segue: ``Faceva gli onori di
casa la contessa Ermellina, sua seconda moglie,
molto piuÁ giovane di lui; signora piacevole, di
spirito vivace, di sentimenti generosi, patriottici, che esercitava una simpatica attrattiva [...].
Del suo coraggio e della sua dedizione agli amici diede prove [...] indimenticabili''. Dopo il
teatro, gli ospiti trascorrevano serate fino a tardi, chiacchierando e fumando. Oppure consumavano una cenetta improvvisata da lei, impegnati a progettare ``piccole cospirazioni politiche. La contessa, intelligente, animosa, ardente
di sentimenti giovanili come noi, era l'anima
della conversazione'' 21. In veritaÁ quelle cameratesche serate di Carnevale erano prova dell'ascendente di Emilio. Lo consideravano spontaneamente capo di loro ``giovani energici, gente
d'azione che sperava nel Piemonte'', testimonia
il conte Ignazio Lana, interpretando il comune
atteggiamento. Il reduce da Roma, dalle dure
esperienze di ufficiale dei bersaglieri volontari,
sofferte con molti di loro, sdegnava l'inerzia. SõÁ,
nel 1850 aveva intrapreso un lungo viaggio in
Egitto, in Sudan e ne aveva pubblicato pregevole relazione. Ma era impaziente di riprendere
il suo posto di combattente per l'Italia e, come
gli amici, sdegnava le attrattive della vita elegante, i comportamenti alla moda. Erano d'obbligo
anche nel patriottico salotto della contessa Maffei, ``una signora ± continua Lana ± che s'atteggiava a Mad. [sic] Roland, e distribuiva nei suoi
ricevimenti diplomi di celebritaÁ'' 22.
A Genova Ermellina aveva atteso la salma di
Enrico, poi tumulato a Vezia, presso Lugano,
accanto al fraterno amico Morosini. Al fianco
di Tullio, partecipe del suo strazio, accresciuto
dalla proibizione a Emilio di assistere allo sbarco. Assecondava ora quest'ultimo, lo agevolava
nell'ospitalitaÁ agli amici, ma condivideva con il
marito le preoccupazioni per le ferite riportate a
villa Corsini. Il suo fisico era ora piuÁ indifeso
dinanzi alla tisi che giaÁ aveva vinto sua madre.
E ne accoglieva le confidenze epistolari. Conquistato dalla politica di Cavour, ne godeva la stima.
Nel 1855 aveva ottenuto di partire per la guerra
di Crimea con il contingente dei bersaglieri piemontesi. Da Torino le scriveva: ``Rimpiangerei
vivamente la famiglia e Milano se non fossi,
come tu dici, un matto''; un ostinato nelle proprie idee intendeva, al punto da rinunciare ``alle
dolcezze e ai conforti presenti, per le incerte
promesse d'un avvenire agitato...''. PartõÁ infatti,
ma dopo poche settimane dovette forzatamente
ritornare: il governo austriaco ne aveva chiesto e
ottenuto il rimpatrio, minacciandolo di processo
e di sequestro dei beni per emigrazione illegale 23.
Non era solo di riflesso il patriottismo di
Ermellina. A Milano gli ufficiali austriaci frequentavano il salotto della contessa russa Giulia
Samoyloff, figura molto chiacchierata, e il caffeÁ
dei Figini. In questi ambienti essi diedero l'epiteto di `oche' alle aristocratiche milanesi: paro-
Dandolo, Lo spirito, cit., p. 143; Visconti Venosta, Ricordi, cit., pp. 366 e 439.
22
I. Lana, Emilio Dandolo e la funebre corona tricolore.
Note, Milano, Tip. Guigoni, 1884, p. 6.
23
La lettera (senza data) in G. Carcano, Emilio Dandolo,
Torino, Utet, 1860, p. 90. Sul forzato rimpatrio: Visconti
Venosta, Ricordi, cit., p. 360.
21
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``Funeral of Signor Emilio Dandolo at Milan on the 22end
February'', silografia da giornale di C.W. Sheeres pubblicata
in ``The Illustrated London News'', 12 marzo 1859
(Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli, Milano).
diavano quelle del Campidoglio, tenevano desto nella gioventuÁ l'odio nei confronti dei dominatori. Ne fecero titolo d'onore, reagirono.
Con entusiasmo Ermellina prese parte attiva
alla Fronda e alla loro `cospirazione'. In apparenza frivolo, fu un patriottismo efficacissimo
dinanzi al mutato atteggiamento dell'Austria.
Di salotto in salotto, all'avanguardia quello della Maffei, si diffondeva la `parola d'ordine' sul
contegno da tenersi 24. Infatti, temendo l'isolamento in Europa a motivo del favore incontrato
dalla politica cavouriana, il regime austriaco
mutoÁ volto in Lombardia. Nel 1857 il rigido
maresciallo Radetzky fu sostituito dall'arciduca
Massimiliano, fratello dell'imperatore, che aveva fama di clemente; in precedenza, il 15 gennaio, lo stesso Francesco Giuseppe fece visita a
Milano. La Fronda rispose con calcolata freddezza: disertoÁ i ricevimenti, fece naufragare
ogni iniziativa conciliante dell'arciduca. Alla
notizia della visita imperiale le `oche' promossero la raccolta di offerte per l'erezione a Torino di un monumento all'esercito piemontese,
su progetto di Vincenzo Vela. La polizia aveva
provveduto al domicilio coatto dei giovani piuÁ
indiziati (Emilio dovette starsene ad Adro), ma
il corteo imperiale fu accolto con gelido silenzio: ``non un applauso, non un evviva, neppure
tra quella plebe che applaude a tutti'', ricorda
Visconti Venosta. Con altri, da dietro le persiane chiuse di casa Dandolo spiava la strada. A
un tratto un commissario di polizia ordinoÁ che
fossero aperte e che le finestre fossero addobbate. ``La contessa Ermellina [...] prese una pelle di tigre che stava dinanzi a un divano, e la
mise alla finestra [...]. Chi passava, guardava in
su, rideva e principiava a far crocchio''. Il corteo si avvicinava; al commissario scalmanato
che le ordinoÁ di toglierla, la contessa obbedõÁ
dichiarando di non avere altri addobbi 25.
La coraggiosa spregiudicatezza di quel momento si sarebbe rinnovata in circostanze dolorose, poco piuÁ di un anno dopo. La guerra, la
seconda guerra d'indipendenza, appariva ormai
certa, accendeva gli animi. ``Ogni sera ne parlavamo in casa Dandolo, e allora si colorivano le
gote pallide del povero Emilio, la cui salute
andava rapidamente declinando''. Egli tuttavia
``era deciso di recarsi al piuÁ presto in Piemonte,
per assicurarsi il suo antico posto di ufficiale''.
Visconti Venosta seppe da lui che trasmetteva a
Cavour informazioni sull'entitaÁ e sui movimenti
delle truppe austriache. Le attingeva da Ermellina, la quale non solo gli prestava ``affettuosa
ed assidua assistenza'', ma ± rivela Lana ± lo
aggiornava su quanto lo interessasse; ``s'era fatta il suo segretario per corrispondere col Cavour, col Lamarmora...'' 26.
Emilio morõÁ il 20 febbraio 1859. Due giorni
dopo, il funerale fece accorrere ``una folla serrata, silenziosa, imponente'': la polizia si dileguoÁ. Ermellina tutto aveva predisposto, aiutata
da pochi fidati. Una corona di camelie bianche
e rosse, intrecciate da lei con foglie verdi, fu
collocata sul feretro all'uscita dalla chiesa di
San Babila. Tutti fremettero. Dall'immensa folla
``si levoÁ un urlo, infinito, frenetico, spaventoso,
che si ripercosse a lungo e lontano''. La salma,
portata a spalla, procedeva lenta verso il cimitero di San Gregorio, presidiato dalla truppa.
Pochi vi entrarono. L'indomani, in privato, la
bara fu dissepolta dalla fossa comune per la
tumulazione ad Adro. La contessa eluse alcuni
agenti di polizia, recuperoÁ la corona, la portoÁ a
casa. Perquisizioni, arresti: la polizia reagõÁ contro il `complotto del funerale', ma quel giorno
dimostrazioni avvennero dinanzi alla Scala 27.
Affetto, coraggio, determinazione: Ermellina
aveva portato all'acme la prevedibile esplosione
popolare di amor di patria. Si era accresciuta
Pizzagalli, L'amica, cit., pp. 54 e 81. La Fronda era
stata un movimento di opposizione all'assolutismo di Luigi XIV, re di Francia.
25
Visconti Venosta, Ricordi, cit., pp. 402-410. I passanti
avevano colto ``l'allusione alle feroci condanne capitali di
patrioti firmate da Francesco Giuseppe'': R. Levi Pisetzky,
La vita e le vesti dei milanesi durante la Restaurazione, in
Storia di Milano, vol. XV, Nell'unitaÁ italiana 1859-1900,
Milano, Fondazione Treccani degli Alfieri, 1960, p. 769.
26
Visconti Venosta, Ricordi, cit., pp. 459-460 e 470;
Lana, Emilio Dandolo, cit., p. 8.
27
Visconti Venosta, Ricordi, cit., pp. 471-475; Lana, Emi-
24
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zione dell'ambiente, specie patriottica. Aperti al
presente, protesi verso il futuro, ne accettano i
rischi. Il temperamento schivo, umbratile, piuÁ
che l'etaÁ, rivolge invece il conte al passato, che
ne accresce l'erudizione e ne placa in parte i
contraccolpi dei lutti famigliari. Da esso discende il suo patriottismo, convinto ma concettuale,
alieno da ogni slancio incontrollato. Unica eccezione: il soccorso agli espatriati in Svizzera, nobile, pericoloso, tuttavia gestito anch'esso nell'ombra.
Dal contesto della famiglia Dandolo emerge
la personalitaÁ di Ermellina, pienamente capace
di sensibilitaÁ intelligente verso tutti, in particolare nei confronti di Emilio. Svolge in sostanza,
con spigliato spirito di adattamento, un non
facile compito di supplenza. Peraltro il marito
lo riconosce, glien'eÁ riconoscente. La nota aggiuntiva, riferita all'inizio, ne costituisce un indizio significativo.
Sull'indole di Enrico tuttavia molto aveva inciso nella prima fanciullezza la contessa Giulietta Bargnani, sua madre. Il giornalista varesino
Luigi Zanzi ne presenta alcuni delicatissimi
tratti, avvalendosi del diario privato della Bargnani, in una breve, commossa biografia. Rimasto orfano, trasferita la famiglia a Milano, egli
tornava con frequenza a Varese durante l'estate.
Lo accompagnavano il padre e Angelo Fava.
Zanzi ricorre alla testimonianza dei suoi concittadini: ``E molti ancora ricordano [...] l'aspetto
grazie a lei la statura ideale di Emilio. Concorse
a spingere l'Austria contro il Piemonte appena
due mesi dopo, rendendo operante l'alleanza
difensiva franco-piemontese. La liberazione
della Lombardia era avviata 28.
Á AFFETTIVA
UNITA
DimostroÁ dignitosa prontezza di spirito la contessa, interrogata dal giudice istruttore FluÈk:
serrate le domande, non senza toni ironici a
proposito dei colori delle camelie. Lei stessa
dell'accaduto diede dettagliati appunti a Visconti Venosta. Alla fine ``il consigliere, che doveva essere un buon uomo'', la prosciolse, ingiungendole di restare a Milano, e trattenne la
corona; Ermellina la riebbe alla liberazione della cittaÁ. In quei giorni Tullio era a Torino, assisteva alle solenni esequie in memoria di Emilio
organizzate da Cavour 29.
Quest'ultima fortuita coincidenza consente di
tentare una valutazione complessiva. Enrico ed
Emilio, e cosõÁ Ermellina, appaiono del tutto calati nel proprio tempo, sensibili a ogni sollecitalio Dandolo, cit., passim; sulle esequie ad Adro: ivi, pp.
15-16. Sulle dimostrazioni del 23 febbraio: Giusti, Dandolo Emilio, cit., p. 447.
28
Com'eÁ noto, il casus belli fu il rifiuto del Piemonte di
disarmare i volontari ivi accorsi.
29
Gli appunti di Ermellina in: Visconti Venosta, Ricordi,
cit., pp. 503-505; sulle esequie a Torino: ivi, p. 475.
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simpatico e severo del giovinetto Enrico'', che si
animava in volto, si accendeva d'entusiasmo, se
appena la conversazione toccava temi patriottici. Nell'estate 1842 indusse il conte Tullio ad
accompagnarlo ``in pellegrinaggio ai luoghi sacri della libertaÁ svizzera'', redigendone poi, a
ricordo, un'accurata relazione 30. Nativa finezza
e fierezza, precoce intelligenza: doti proprie anche di Emilio, che pure si recava a soggiornare
nella cittaÁ prealpina. Sul finire del 1855 il ritorno impostogli dall'Austria l'aveva profondamente amareggiato. Tuttavia ``in quell'aria vivace e salutare di Varese, che aveva per la prima
respirato, corsero per lui gli ultimi dõÁ sereni''.
Grande amico di famiglia, il romanziere Giulio
Carcano, suo biografo, lo ritrae nella quiete del
Deserto. In cittaÁ e dintorni infuriava il colera;
egli, ``nel romitorio montano, fra i parenti e gli
amici migliori [...] ravvivava, con l'impazienza
delle sue, anche le loro speranze''. Non per seÂ
sperava, ma per l'avvenire della patria 31. Non
cosõÁ il padre: altre le attese, i desideri del ``vecchio Anacoreta''. Un sogno, rivelato un giorno a
Enrico; l'avrebbe cancellato una nota dolorosa
dedicata al lettore dell'epistolario: lo schianto
di due morti imprevedibili. ``Mi pingo ± aveva
scritto ± in questo vallone, non piuÁ romito, una
tribuÁ che mi circonda [...]: accade frequentemente che il gran Convento si faccia popolato
e romoroso; sono i miei figli venuti a trovar il
vecchio Anacoreta in compagnia delle loro spose e dei loro figli...'' 32.
Caduto Enrico a Roma, neppure Emilio si
dava pensiero della propria professione o famiglia. Talvolta si interessava a sperimentazioni
agricole, all'amministrazione del patrimonio,
ma con distacco, assorto nella sua passione
per l'Italia, che gli aveva fatto superare la deludente relazione con Peppina Morosini 33.
Nella corrispondenza, tuttavia, Tullio rintrac-
ciava il loro affetto: interesse per i suoi studi,
gioia per momenti sereni, consigli o giudizi confortanti. Quando piuÁ tormentosamente aveva
dubitato di loro, uno scritto convincente, amorevole aveva rinsaldato i legami vicendevoli. Gli
chiedevano perdono alla vigilia di accorrere in
difesa di Roma. Lo assicuravano che avrebbero
portato ``sempre scolpita in cuore l'idea dei benefici di che ci hai colmato'', rattristati soltanto
dal saperlo irritato contro di loro. ``Basta, ± concludevano ± il Signore ci vede e sa che non
siamo colpevoli. Una voce interiore ci dice che
tu ci hai perdonato'' 34.
Le diverse espressioni patriottiche di ciascuno, i crucci che le accompagnavano, che destavano nei propri cari si componevano alfine nell'unitaÁ degli affetti. ``Io mi trovo in un grave
momento: sto per partire, senza sapere se torneroÁ mai'', scriveva Emilio alla sua ``buona Ermellina'', imbarcandosi per la Crimea: gli rincresceva di aver dato di seÂ, in un'altra lettera,
l'immagine di un deluso che cercava la morte;
``In siffatti momenti gli engouements, i capricci,
gli affetti fittizi scompaiono; e resta quel vero e
santo amore che Dio ha messo nel cuore di tutti
[...]: l'amore della famiglia'' 35.
La maturitaÁ (era rimasta vedova), l'etaÁ avanzata trascorsero nel segno dell'altruismo, per la
contessa Dandolo. Assiste i feriti delle guerre
d'indipendenza, promosse ad Adro istituzioni
benefiche, fu animatrice di iniziative culturali.
Al Museo del Risorgimento di Milano, al quale
aveva donato le uniformi dei due patrioti e la
corona funebre, lascioÁ nel testamento il ricco
carteggio di famiglia. Gli ideali, gli affetti animatori dell'aristocrazia risorgimentale lombarda di orientamento cattolico, un mondo forse
per noi irreale, lontano, sarebbe rivissuto a opera degli studiosi 36, avrebbe ancora riscosso la
nostra simpatia.
L. Zanzi, Enrico Dandolo, Varese, Pogliaghi, 1872,
passim e p. 6.
31
Carcano, Emilio Dandolo, cit., p. 101.
32
Dandolo, Lo spirito, cit., pp. 79-80 e nota 1. La lettera eÁ
datata ``Deserto, 9 maggio 1843''.
33
Giusti, Dandolo Emilio, cit., p. 446.
34
Carcano, Emilio Dandolo, cit., pp. 52-53. La lettera eÁ
riportata quasi integralmente, ma senza data.
35
Ivi, p. 93, si veda la nota precedente.
36
Monti, Dandolo Maselli Ermellina, cit., p. 827; Farina,
Maselli Ermellina, cit., p. 712. Sul lascito archivistico:
Capasso, Dandolo, cit., p. 2, n. 1.
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echi risorgimentali: la famiglia di tullio dandolo