Tecniche di Imaging
Multispettrale per i
Beni Culturali
Morigi Maria Pia
Università di Bologna
Dipartimento di Fisica
Viale Berti Pichat, 6/2 – 40127 Bologna
e-mail: [email protected]
Onde elettromagnetiche
Tale
propagazione
avviene
con
trasporto di energia, ha carattere
ondulatorio e quindi è caratterizzata da
, , da un periodo e da una velocità di
propagazione, che nel vuoto è c.
Per radiazione
elettromagnetica si
intende la
propagazione nello
spazio di campi
elettrici e
magnetici, variabili
nel tempo,
generati da
cariche o correnti
oscillanti,
strettamente
intercorrelati fra
loro.
SPETTRO ELETTROMAGNETICO : rivelazione
 (m)–14
10
RAGGI
GAMMA

(Hz)
1022
10–12
10–10
RAGGI
X
1020
10–8
10–6
ULTRA-VIOLETTO
1018
10–4
INFRA-ROSSO
1016
1014
VISIBILE
1012
10–2
102
1
MICRO
ONDE
1010
(m)
ONDE
RADIO
108

106
(Hz)
occhio umano
emulsione fotografica
(+ schermi)
rivelatori di ionizzazione
stato solido , NaI
sistemi CCD
induzione elm
antenna
Capacità di penetrazione della radiazione
UV VIS
VERNICE
STRATO PITTORICO
DISEGNO
PREPARAZIONE
SUPPORTO
IR
RX
L’occhio umano è sensibile alla luce compresa tra 400 e 750 nm
Per
l’imaging
multispettrale
vengono
spesso
utilizzate
camere
con sensore di tipo
CCD, che hanno
una
sensibilità
estesa che va da
300 nm fino a circa
1000 nm.
CAMERE CON SENSORE CCD
Esempio di sensore CCD
Matrice di fotorivelatori a stato
solido, cresciuti su una comune
base di silicio.
A ciascuno di questi microscopici
rivelatori corrisponde un singolo
elemento dell’immagine (pixel).
Il CCD (Charge-coupled device, ossia dispositivo ad accoppiamento di
carica) è nato presso i laboratori Bell di Murray Hill, New Jersey,
già luogo di nascita del transistor. Verso la fine del 1969, Bill Boyle
e George Smith, ricercatori impegnati nella ricerca di nuovi metodi
di acquisizione delle immagini tramite cristalli di silicio, trovarono
quasi per caso il CCD.
Il CCD è un dispositivo caratterizzato da una matrice di
microscopiche regioni di forma quadrata o rettangolare, disposte a
scacchiera sulla superficie di un cristallo di silicio, opportunamente
trattato e integrato in un dispositivo comunemente chiamato
microchip (tecnologia MOS).
Tali regioni, molto sensibili alla luce, denominate pixel (picture
element), sono ricavate direttamente nel silicio e disposte come
mattonelle di un pavimento, troppo piccole per essere osservabili ad
occhio nudo.
DISEGNO DI UN
MICROCHIP
LA CAMERA CCD
Per comprendere meglio il funzionamento di una camera
CCD, possiamo grosso modo compararne l'aspetto ad una
semplice macchina fotografica.
In una macchina fotografica tradizionale la superficie del
film esposta alla luce giace su un piano posto di fronte
all'otturatore. Se sostituiamo il film con un sensore CCD
ed equipaggiamo la nostra macchina con un'elettronica e un
software capaci di registrare e riprodurre immagini
digitali, otteniamo una camera CCD. La superficie del
sensore è paragonabile a quella di un'emulsione
fotografica: alla matrice dei pixel corrisponde la grana
dell'emulsione. La differenza più macroscopica è la
dimensione del sensore generalmente utilizzato nelle
camere CCD non professionali: poche decine di millimetri
quadrati rispetto agli 864 mm2 del campo di una 24x36.
I CCD
La superficie di un'emulsione fotografica, vista al
microscopio, è composta di grani, le cui dimensioni non
sono tutte perfettamente uguali. Inoltre, i grani del
film sono distribuiti in modo non del tutto uniforme.
Invece i pixel del CCD sono tutti identici e sono
disposti con assoluta regolarità lungo le colonne e le
righe di una matrice quadrata o rettangolare.
Quando si riprende un’immagine con una camera CCD,
la luce, composta a sua volta dai singoli fotoni
provenienti dall'oggetto inquadrato, viene “catturata”
dalla superficie del sensore e ciascun pixel
raccoglierà una quantità di luce proporzionale alla
durata dell'esposizione e all'intensità del flusso
luminoso incidente in quel punto.
PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO DI UN CCD
L’interazione dei fotoni con il CCD provoca la liberazione di
elettroni per effetto fotoelettrico. Durante la fase di
esposizione i fotoelettroni vengono accumulati in ciascun pixel.
Quindi sulla superficie del sensore andrà formandosi una precisa
mappa elettronica dell'immagine dell'oggetto ripreso. Il passo
successivo consiste nel trasferimento della carica. La carica
accumulata in ciascun pixel viene trasferita sequenzialmente, con
l’ausilio di varie tecniche, ad un registro di lettura. Questa
operazione viene effettuata manipolando in maniera sistematica
la differenza di potenziale tra i pixel, in modo tale che il segnale
costituito dagli elettroni si muova lungo i registri verticali da un
pixel al successivo, come se viaggiasse su un nastro
trasportatore.
STRUTTURA DEL CCD
PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO DI UN CCD
Il registro di lettura accumula una riga alla volta e quindi
trasporta il pacchetto di cariche in modo sequenziale ad un
circuito amplificatore interno. L'operazione finale, la rivelazione
delle cariche, avviene quando i singoli pacchetti di cariche
vengono convertiti in un voltaggio d'uscita. Il voltaggio di ciascun
pixel può essere amplificato da un amplificatore esterno,
codificato in modo digitale e “trasformato“ in una sequenza
numerica di bit, ovvero in un ben determinato tono (livello) di
grigio. L’immagine digitale così ottenuta, che prende il nome di
light frame, sarà quindi trasferita in un computer e visualizzata
su un monitor.
PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO DI UN CCD
Dopo la chiusura dell'otturatore (1) il chip, che ha
registrato nei singoli pixel le variazioni di carica dovute
all'impatto dei fotoni, è pronto a trasmettere
l'informazione (i pixel sono colorati in verde; le stelline
rosse rappresentano le cariche generate dai fotoni).
L'informazione contenuta nella prima riga di pixel si
sposta simultaneamente nel registro seriale (2) dove
viene raccolta ed inviata sequenzialmente all'uscita (3,
4). Quando il registro seriale si svuota, viene caricata
la seconda riga di pixel e il processo riparte dal punto
2. Una volta che tutti i registri sono vuoti, l'otturatore
può essere riaperto per cominciare la registrazione di
una nuova immagine.
Quando si fa una ripresa con la
videocamera..
- La luce, composta a sua volta dai singoli fotoni
provenienti dall'oggetto inquadrato, viene
“catturata” dalla superficie del sensore.
- ciascun pixel raccoglierà una quantità di luce
proporzionale alla durata dell'esposizione e
all'intensità del flusso luminoso incidente in quel
punto.
L’immagine digitale
Il numero nel pixel è proporzionale al segnale prodotto dai fotoni
di luce nel rivelatore
TIPOLOGIA DEI CCD
La matrice di mxn pixels è organizzata in maniera diversa a
seconda dello schema di trasferimento di carica adottato:
• Interline transfer
• Frame transfer
• Full frame transfer
Interline transfer
Nei CCD Interline Transfer, ad ogni colonna di elementi
fotosensibili è associata una colonna adiacente di elementi
schermati dalla luce (registri verticali). Alla fine del processo di
integrazione, le cariche accumulatesi negli elementi fotosensibili
sono istantaneamente trasferite nei registri verticali, per poi
essere trasferite riga per riga, nel registro orizzontale di lettura
del segnale di uscita del CCD.
Lo shift delle cariche dai pixel ai registri verticali di lettura dura
poco più di un microsecondo.
TIPOLOGIA DEI CCD
FRAME TRANSFER CCD
I CCD Frame Transfer presentano due aree
strutturalmente identiche sulla superficie del sensore.
Una, sensibile alla luce, è la zona dove si accumulano le
cariche durante la posa; l’altra, schermata con una
lamina metallica, è la memoria dove al termine del
processo di integrazione sarà parcheggiata l’immagine
dopo un trasferimento dall’area sensibile, della durata
di 1-2 millesimi di secondo.
TIPOLOGIA DEI CCD
FULL FRAME TRANSFER CCD
I CCD Full Frame Transfer hanno solamente l’area
attiva.
La
lettura
dell’immagine
al
termine
dell’esposizione,
avviene
mediante
trasferimento
progressivo al registro di lettura del contenuto delle
righe della matrice del sensore, dalla prima riga fino
all’ultima. Questo processo dura in genere qualche
decimo di secondo. Se l’area del sensore nel frattempo
non è protetta dal flusso incidente dei fotoni, l’immagine
finale sarà affetta da smearing, ossia da un alone
provocato dal continuo assorbimento di energia luminosa.
Tale inconveniente viene eliminato equipaggiando tali
camere con otturatori elettromeccanici, in grado di
schermare l’area attiva del sensore durante la lettura e
il campionamento dell’immagine.
CAMERE CON SENSORE CCD
CURVE DI EFFICIENZA QUANTICA DI UN SENSORE CCD
Tecniche di Imaging MultiSpettrale nei
Beni Culturali
• Ripresa di immagini digitali a colori
• Tricromia in falso colore
• Riflettografia infrarossa
• Fluorescenza ultravioletta
Il disegno e il colore
sono
le
prime
caratteristiche
immediatamente
evidenti di un dipinto.
Nonostante ciò, non è
assolutamente banale
ottenere una buona immagine di un’Opera d’Arte.
D’altra parte, una ricostruzione fedele dell’immagine
dell’Opera è essenziale per ogni forma di
documentazione, sia preliminare che successiva ad
un eventuale intervento di conservazione e restauro,
ed è anche fondamentale per il suo studio e la sua
fruizione.
Un’immagine digitale a colori può essere ottenuta
attraverso la sovrapposizione di tre immagini acquisite
sequenzialmente nelle bande spettrali fondamentali
RGB (Red, Green e Blue – sintesi additiva)
Le tre immagini nel rosso,
verde e blu si ottengono
interponendo un filtro passabanda di fronte al sensore.
Tutta la risoluzione del sensore
viene sfruttata per ogni banda.
Inoltre, le caratteristiche di
esposizione e messa a fuoco
possono essere ottimizzate indipendentemente per
ogni banda. Anche le variazioni di illuminazione
esterna possono essere compensate in maniera
oggettiva e riproducibile.
Acquisizione RGB
B
G
R
Esaltazione del contrasto
APPLICAZIONE IMAGING MULTISPETTRALE AI DIPINTI
La possibilità di selezionare la banda spettrale di
acquisizione dell’immagine può portare ad un
miglioramento del contrasto dell’immagine.
Ritocchi
La risoluzione spettrale
dell’immagine permette
l’identificazione di zone
ritoccate non altrimenti
visibili a occhio nudo
RGB
IR
Le parti ritoccate
appaiono come zone di
diverso colore
nell’immagine risolta
spettralmente
Madonna con Bambino (XVI secolo)
Antiquarium Arborense, Oristano
Tecniche diagnostiche in infrarosso per
immagini: riflettografia e termografia.
INFRAROSSO: lunghezze d’onda da 7x10-7 m a 10-3 m
• RIFLETTOGRAFIA
• TERMOGRAFIA
Si basa su
Si basa su
Trasparenza di alcuni pigmenti
e leganti pittorici nel vicino
infrarosso (0.7 - 2.5 mm)
Emissione di radiazione di corpo
nero da parte di oggetti a
temperatura ambiente in alcune
bande
del
medio-lontano
infrarosso.
LA RIFLETTOGRAFIA INFRAROSSA
LA RIFLETTOGRAFIA INFRAROSSA
La riflettografia infrarossa (IR) è una tecnica ottica,
utilizzata per visualizzare, soprattutto nei dipinti
antichi, la superficie della preparazione sottostante agli
strati di pittura. La tecnica risale agli anni '30, ed iniziò
come fotografia IR; una svolta si ebbe negli anni '60
con l'inizio dell'uso di telecamere a tubo Vidicon. La
riflettografia si serve infatti della radiazione nel vicino
infrarosso, nell'intervallo di lunghezze d'onda comprese
tra 1 e 2 micron.
Riflettografia Infrarossa
VIS
IR
Il principio
colore
preparazione
10÷100 mm
0.5÷1 mm
supporto
La riflettografia IR consente di registrare immagini nell’infrarosso, dette
riflettogrammi, aventi l’aspetto di fotografie in bianco e nero, da cui è
possibile interpretare il disegno realizzato dall’autore sullo strato
preparatorio dell’opera. Ciò avviene per via della trasparenza dello strato
pittorico alla radiazione nell’infrarosso vicino. La radiazione IR attraversa
lo strato di colore, raggiunge il fondo, viene retrodiffusa verso l’esterno
ed è rivelata dalla telecamera.
Riflettografia Infrarossa
Con questo metodo di indagine si possono:
• ottenere informazioni sulla tecnica dell'autore e sul
mezzo grafico impiegato per il disegno preparatorio
(uso del carboncino o del pennello nella stesura del
disegno)
• mettere in evidenza pentimenti e/o ritocchi (sia in
fase di disegno che di stesura pittorica)
• si possono rilevare scritte, firme e date, sottostanti
in origine allo strato pittorico, oppure coperte da
successive operazioni di restauro.
STRUMENTAZIONE PER RIFLETTOGRAFIA IR
La pellicola infrarossa in bianco e nero, una volta di largo
uso per questo tipo di indagine, è stata oggi sostituita da
sistemi commerciali basati su telecamere a CCD di tipo
standard, in bianco e nero, oppure da particolari
telecamere con tubo Vidicon al solfuro di piombo,
sensibili fino a lunghezze d’onda della radiazione di 2200
nm circa. Di ingombro contenuto e maneggevoli, le
telecamere collegate ad un monitor permettono una
visualizzazione immediata del risultato, vantaggio non
indifferente che ne rende semplice l’impiego in situ.
Strumentazione tradizionale per riflettografia IR:
limitazioni
Per i Vidicon:
• distorsioni geometriche in alcuni casi non trascurabili,
limitata risoluzione spaziale e scarsa capacità di
registrare un’adeguata gamma di toni di grigio
costituiscono i tre principali difetti e limitano l’utilizzo di
questa strumentazione come mezzo di studio e ricerca.
Per le telecamere CCD:
• ridotta banda spettrale di analisi, che non supera il
limite di 1.1 micron ed impedisce di fatto di vedere al di
sotto di molti tipi di pigmento, rendendo la riflettografia a
telecamera, per quanto economica come metodo di
analisi, una tecnica a volte insufficiente nei risultati.
LO SCANNER PER RIFLETTOGRAFIA INFRAROSSA
Si tratta di un sistema a scansione meccanica, che
utilizza un sensore sensibile alla radiazione IR nella
banda di lunghezze d'onda comprese tra 1 e 1.7 micron,
restituendo immagini ad alta risoluzione e con più di
4000 toni di grigio. Questa grande dinamica consente la
ripresa di riflettogrammi di elevato contrasto e ad alto
contenuto di informazione, permettendo agli esperti del
settore di disporre di immagini con notevole risoluzione
di dettaglio e con le più delicate sfumature di grigio.
LO SCANNER PER RIFLETTOGRAFIA INFRAROSSA
Lo scanner per riflettografia
IR è composto da una coppia
di
assi
di
traslazione
ortogonali e da una testa
ottica
posizionata
sulla
traslazione
verticale.
La
superficie del dipinto viene
ispezionata
con
una
risoluzione spaziale di 4
pixel/mm. Sulla testa ottica vi
sono un obbiettivo, un
fotodiodo per IR ed il sistema
di
illuminazione.
Dal
momento che il sistema di
illuminazione
si
muove
solidalmente con la testa
ottica,
l'uniformità
dell'illuminazione è assicurata
su tutta l'immagine.
Scanner per riflettografia IR
 Risoluzione:
4x4 pti/mm2
 Sensibilità spettrale:
0.9  1.7 mm + RGB
 Gamma tonale:
migliaia di livelli di grigio
Ripresa IR con scanner a singolo elemento
0.25 mm
(101.6 dpi)
Confronto tra “ieri” e “oggi”
ESEMPIO DI APPLICAZIONE DELLA RIFLETTOGRAFIA IR
Particolare della pala
"Madonna col Bambino
e Santi”, realizzata da
Matteo di Giovanni per
la cattedrale di Pienza.
ESEMPIO DI APPLICAZIONE DELLA RIFLETTOGRAFIA IR
Il pittore si serve del disegno
preparatorio per segnalare
sul gesso della preparazione
ogni
necessario
passo
successivo che dovrà portare
dall’abbozzo all’opera finita.
La testa del personaggio
viene prima delineata nei
suoi particolari esterni ed
interni, probabilmente sulla
base di un disegno di
riferimento su carta; infine,
con alcuni veloci tratti a
carboncino,
vengono
segnalate le zone d’ombra.
ESEMPIO DI APPLICAZIONE DELLA RIFLETTOGRAFIA IR
Se si sovrappongono le due
immagini, quella in IR e
quella visibile, vediamo che
le zone di ombra dello
scavato volto del prelato
corrispondono esattamente
al
tratteggio,
alla
sua
disposizione sul piano, alla
sua differenziata intensità.
L’immagine in IR dimostra
come
il
disegno
sottogiacente ubbidisse a
tecniche e a regole dettate
dalla sua specificità di
utilizzo.
Riflettografia IR
Luca Signorelli:
Crocifissione
La ripresa riflettografica
in IR permette di rilevare
tra il volto e la prima
croce
un
dipinto
sottostante.
La Riflettografia Infrarossa
La Galleria Borghese di
Roma e
L'Istituto Nazionale di
Ottica Applicata (I.N.O.A.)
hanno presentato nel 2002 i
risultati di ricerche effettuate su
due importanti dipinti della stessa
Galleria: il San Giovanni Battista
del Bronzino e la Madonna con
Bambino e San Giovannino di
controversa attribuzione a Giulio
Romano oppure al Raffaello.
La Riflettografia Infrarossa
Il San Giovanni Battista del Bronzino
La Riflettografia Infrarossa
il San Giovanni Battista del Bronzino
Ingrandimento 4:1
Ingrandimento
2:1
Ingrandimento
8:1
Particolare 1:1
La Riflettografia Infrarossa
Il San Giovanni Battista del Bronzino (~1550)
L'autore aveva utilizzato
una tavola sulla quale
aveva in origine disegnato
un ritratto mediceo.
Si vede un giovane con un
colletto a pizzo, la mano
sinistra vicino al bordo
inferiore mentre regge tra
le dita dei fogli di un
volume e con l'altra mano
s'accinge a scrivere
tenendo una penna tra le
dita.
Che il Bronzino abbia trasfigurato un ritratto cortese in una figura di Santo
sulla stessa tavola mostra la intercambiabilità tra soggetti mondani e
religiosi.
La Riflettografia Infrarossa
il San Giovanni Battista del Bronzino
Per un confronto tra il San Giovanni Battista della Galleria Borghese con gli altri ritratti dipinti
del Bronzino merita particolare attenzione quello del bel giovane biondo Lodovico Capponi che
si trova nella Frick Collection a New York.
Tale dipinto, datato tra il 1550 ed il 1555 circa, mostra
infatti tratti fisiognomici molto simili nella proporzione
della testa, nell'asse degli occhi leggermente discendente
verso l'esterno, nella forma fiorente ma non troppo della
bocca, nel naso e nelle sopracciglia.
Infine, anche la capigliatura bionda a riccioli vivaci risulta
comune nei due volti.
Se questa lettura fosse condivisa, si può identificare nel
disegno sottostante il S. Giovanni Battista della Galleria
Borghese un ritratto di Lodovico Capponi nello stesso
periodo della Frick Collection di New York.
Egli avrebbe prestato le sembianze anche per il S.
Giovanni Battista nel deserto della tavola della Galleria
Borghese.
La Riflettografia Infrarossa
Madonna con Bambino e San Giovannino
È un dipinto attribuito a Giulio Romano, ma recentemente riassegnato a Raffaello,
come già era nell'inventario del 1833. Esso costituisce un'opera di straordinario
interesse per la critica dell'attività del tardo Raffaello e dei diretti eredi del suo studio.
Foto in Luce visibile
Foto in IR
La Riflettografia Infrarossa
Madonna con Bambino e San Giovannino
In questo caso le indagini
riflettografiche hanno confermato la
presenza di un disegno sottostante
da attribuire alla mano di
Raffaello.
Ricorda, per il simile aspetto, un
disegno su carta di Raffaello del
1512 circa che si trova ad Oxford,
nell' Ashmolean Museum.
Tale disegno "oxfordiano" è stato
già messo in relazione col dipinto
della Galleria Borghese da Konrad
Oberhuber nel 1999, e questa
intuizione viene confermata
pienamente dalla riflettografia ora
eseguita.
La Riflettografia Infrarossa
Madonna con Bambino e San Giovannino
La Riflettografia Infrarossa
Madonna con Bambino e San Giovannino
Le riflettografie eseguite consentono inoltre di distinguere il tratto del disegno
della Madonna con Bambino di Raffaello da quello più lento e rigido del San
Giovannino che appartiene ad una fase successiva della realizzazione dell'opera.
Da un'immagine di Raffaello che tratta soltanto il tema dell'affetto tra la Madonna
ed il Figlio, un seguace del Sanzio ha viceversa sviluppato una "storia", quella
del gioco dei fanciulli cugini.
Infatti il San Giovannino, lo sfondo ed il cagnolino sono attribuiti ad una mano
diversa: un qualche allievo della stretta cerchia di Raffaello, non necessariamente
Giulio Romano. Questi si distingue per un tratto di disegno più brillante rispetto a
quello emerso nella radiografia, ma Giulio Romano sembra aver comunque
influenzato il forte chiaroscuro e l'ambientazione dello sfondo dell'immagine. La
datazione del dipinto ancora incompiuto in alcuni tratti del San Giovannino, va
collocato tra il 1520 (morte di Raffaello) e il 1527 (Sacco di Roma).
Cecilia Frosinini (INOA)
"...tentiamo di entrare nella mente creativa dell'artista e dei suoi segreti"
La Riflettografia Infrarossa
Madonna in adorazione del Bambino con San Giovannino,
Vittore Carpaccio
Riflettografia a cura dell'INOA di Firenze
La Riflettografia Infrarossa
Madonna in adorazione del Bambino con San Giovannino, Vittore Carpaccio
In collaborazione con l'Istituto Nazionale di Ottica Applicata (INOA) di Firenze
Le indagini riflettogarfiche eseguite da Paolo Spezzani (scanner INOA) hanno, invece
messo in luce le differenze tra il disegno preparatorio e il dipinto finito. Esse interessano il
capo della Vergine che nel disegno risulta più ruotato verso sinistra, mostrando parte della
gota e dell’occhio destro; i capelli del san Giovannino, più fluenti sulla fronte rispetto al
dipinto; la presenza di babbucce ai piedi del Bambino, scalzo nella stesura definitiva
dell’opera; l’esistenza di uno stipite della finestra celato poi dall’azzurro del cielo e dal
paesaggio.
Manoscritti
• L’uso di tecniche di imaging
MultiSpettrale
può
esaltare
la
leggibilità di manoscritti e testi
degradati, attraverso un’opportuna
ottimizzazione del contrasto tra testo
e substrato.
Applicazioni a manoscritti e libri a stampa
Immagine nel visibile.
Immagine
ottenuta con un
filtro IR pass.
Applicazioni a manoscritti e libri a stampa
Immagine nel visibile.
Immagine con filtro
IR pass.
Applicazioni a manoscritti e
libri a stampa
Scritte acide
Applicazioni a manoscritti e
libri a stampa
Scritte acide
Applicazioni a manoscritti e
libri a stampa
Documento coperto da muffe
Applicazioni a manoscritti e
libri a stampa
Codice palinsesto, conservato
presso la Biblioteca Nazionale
Universitaria
di
Torino
e
gravemente danneggiato in
occasione dell’incendio che
devastò la Biblioteca nella notte
tra il 25 e il 26 gennaio del
1904, distruggendo gran parte
della
sua
raccolta
di
manoscritti.
Codice ms. C.V. 25 c.53
Applicazioni a manoscritti e
libri a stampa
Dopo l’incendio, del codice erano
rimasti
5
blocchi
agglutinati,
ciascuno dei quali si presentava
come un piccolo ammasso di
pergamena in parte carbonizzata,
con i fogli fusi insieme così da
formare un tutto compatto.
L’alta temperatura del fuoco,
insieme a quella bassa dell’acqua di
spegnimento, avevano provocato
una rapida e violenta contrazione delle pergamene, che aveva
drasticamente ridotto le dimensioni dei fogli e in parte trasformato la
pergamena in gelatina. L’uso di sostanze, quali il formolo e il tannino, allo
scopo di arrestare i processi putrefattivi sviluppatisi all’interno dei fogli a
causa del permanere in loro di acqua, aveva reso la pergamena dura,
vitrea e molto fragile.
Applicazioni a manoscritti e
libri a stampa
I blocchetti furono affidati per
il restauro al Laboratorio
interno
della
Biblioteca,
inaugurato nel 1905 e primo in
Italia.
Nel Laboratorio i blocchetti
vennero aperti e i fogli distesi;
inoltre le pergamene intaccate
dai microrganismi vennero
restaurate e consolidate.
Attualmente il codice è composto da 30 dei 121 fogli che lo
costituivano originariamente, illeggibili dall’occhio umano e con
sistemi tradizionali.
Applicazioni a manoscritti e
libri a stampa
Le soluzioni tecnologiche oggi disponibili permettono di
recuperare sia la scrittura superiore sia quella inferiore.
Il testo più recente, datato
1428,
consiste
nella
Grammatica
di
Manuele
Moscupolo ed è attribuibile
alla mano del copista greco
Georgios Baiophoros.
Applicazioni a manoscritti e
libri a stampa
La scrittura inferiore, in maiuscola
databile al IX secolo, riporta alcuni
passi dell’ Ecclesiaste.
Altre applicazioni della radiazione IR
Papiri fortemente anneriti o bruciati
Frammenti di papiri carbonizzati rinvenuti a Petra (Giordania)
nel dicembre 2003.
Altre applicazioni della radiazione IR
Papiri fortemente
anneriti o bruciati
Immagine
all’infrarosso di uno
dei papiri rinvenuti a
Petra.
INFRAROSSO IN FALSI COLORI (TRICROMIA IN FALSO COLORE)
Un’immagine in tricromia a falsi colori si può realizzare per via
elettronica tramite un’acquisizione delle tre bande verde, rosso e
infrarosso con una telecamera CCD e la successiva restituzione RGB
tramite PC.
L’indagine in falso colore si basa sul fatto che pigmenti,
cromaticamente simili nel visibile, ma di diversa natura chimica,
possono apparire nell’immagine in falsi colori ben differenziati se
hanno un diverso comportamento spettrale nell’infrarosso.
Un caso molto evidente è dato dal comportamento dell’azzurrite e
del lapislazzuli. Entrambi i pigmenti hanno nel visibile un colore blu,
mentre nell’immagine in tricromia falso colore presentano due colori
nettamente diversi. Infatti il lapislazzuli, al contrario
dell’azzurrite, non assorbe la componente della radiazione
nell’infrarosso; per questo motivo il falso colore con cui viene
restituito il lapislazzuli ha una forte componente rossa, mentre
l’azzurrite risulta di colore scuro.
TRICROMIA IN FALSO COLORE
a
b
Ripresa in infrarosso a falsi colori
realizzata per via elettronica tramite
un’acquisizione delle tre bande
verde (a), rosso (b) e infrarosso
(c), con una telecamera CCD e la
successiva restituzione RGB tramite
PC (d).
d
c
TRICROMIA IN FALSO COLORE
Ripresa in luce visibile (a) e in infrarosso a falsi colori (b) di un particolare
dell’Incoronazione della Vergine del Botticelli.
L’immagine IR evidenzia e mappa la veste verde dell’angelo in due
distinte campiture: una scura in cui il pigmento a base di rame assorbe la
radiazione IR (che costituisce la parte originale) e la restante zona di
restauro realizzata a base di verde cobalto.
TRICROMIA IN FALSO COLORE
Madonna
col
Bambino di Coppo di
Marcovaldo (a) e
particolare durante il
restauro ripreso con
la
tecnica
della
tricromia in falso
colore (b).
Il manto a base di
lapislazzuli
è
restituito con un
rosso intenso e i
ritocchi
realizzati
con blu di Prussia
appaiono di colore
nero.
B
G
R
IR
Fluorescenza UV
Radiazione UV
incidente
UV riflesso
Fluorescenza visibile
Il principio
Quando un’opera viene irraggiata con radiazione UV, tale radiazione
viene in parte riflessa e in parte assorbita dagli strati superficiali
dell’opera. Parte dell’energia assorbita viene nuovamente emessa per
fluorescenza sotto forma di radiazione con lunghezza d’onda nel
visibile.
Fluorescenza UV
La tecnica
Filtro
Luce visibile parassita
Lampada di Wood
PC
UV
UVa riflesso
Filtro
FLUORESCENZA
Filtro interferenziale
Componente di fluorescenza
Telecamera
digitale CCD
Fluorescenza UV
Nelle varie fasi del restauro può essere utile acquisire
più volte l’immagine in fluorescenza.
Infatti le
superfici pittoriche sono di solito ricoperte da uno
strato di vernice, un materiale filmogeno trasparente
che protegge il dipinto. Le resine contenute nelle
vernici presentano spesso un’intensa fluorescenza
uniforme che maschera quella dello strato pittorico
sottostante.
In fase di restauro la vernice viene rimossa ed è
possibile in fluorescenza distinguere le zone dove la
vernice è ancora presente da quelle in cui è stata
eliminata, cosa non possibile in luce visibile perché la
vernice è trasparente.
Fluorescenza UV
Dopo la rimozione della vernice si osserva la fluorescenza
dello strato pittorico e in particolare dei pigmenti e dei
leganti, che rende possibile:
• differenziare e localizzare materiali indistinguibili in
luce visibile; infatti pigmenti appartenenti alle stesse
classi
cromatiche,
potranno
avere
un
diverso
comportamento in termini di fluorescenza per la
differente composizione chimica;
• identificare alcuni dei materiali osservati in base al
colore caratteristico della fluorescenza (giallo chiaro per
il bianco di zinco, giallo-marrone per la gomma lacca, etc.)
• individuare ritocchi, ridipinture e parti rifatte, che
osservate in fluorescenza in genere appaiono più scure.
Fluorescenza UV
Ripresa in luce visibile (a) e in
fluorescenza ultravioletta (b) di un
dipinto a tempera su pergamena del
’600.
a
Il vaso di fiori ha come sfondo
originale una stesura a base di biacca
(bianca in fluorescenza), poi ripassata
in un precedente restauro con bianco
di
zinco
(colore
salmone
in
fluorescenza).
Le
zone
non
fluorescenti
corrispondono al restauro attuale
realizzato con bianco di titanio.
b
Fluorescenza UV
Particolare
della
deposizione
di
Fra
Bartolomeo durante la
pulitura (a). La ripresa in
fluorescenza ultravioletta
(b) evidenzia una zona in
cui la vernice non è
ancora stata rimossa e
dalla
quale
non
è
possibile
avere
informazioni sullo stato di
conservazione del colore.
Eventuali ritocchi antichi
sono infatti visibili solo
dopo la rimozione della
vernice.
Fluorescenza UV
La fluorescenza UV evidenzia
ritocchi (scuri) e presenza di
leganti o fissativi di natura
grassa (fluorescenza gialla).
Fluorescenza UV multispettrale digitale
 2 lampade a flash
 telecamera CCD (1024x1024)
 7 filtri (largh. banda  40 nm)
Fluorescenza UV
Applicazioni della fluorescenza ultravioletta
ai manoscritti:
• documenti con scritte abrase o sbiadite
• palinsesti
Fluorescenza UV
Documenti con scritte abrase o sbiadite
Fluorescenza UV
Documenti con scritte abrase o sbiadite
L’inchiostro, sbiadito
in superficie, è
penetrato all’interno
della carta e viene
messo in risalto dalla
fluorescenza della
carta stessa.
VISIBILE
UV
INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA
Fotografia del recto della pergamena
11518 ter, conservata presso l’Archivio
Storico Arcivescovile di Ravenna.
Il documento è un atto notarile redatto a
Ravenna il 28 febbraio 1127, scritto sul
lato carne di un frammento di pergamena
ricavata da una pelle di agnello.
INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA
Fotografia del verso della pergamena,
sul quale due ignoti autori hanno scritto
versi in volgare.
INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA
Particolare del
componimento poetico in
volgare di 25 righe, scritto
con inchiostro bruno chiaro
molto diluito.
Immagine della pergamena
11518 ter, ottenuta
utilizzando radiazioni
elettromagnetiche nel
visibile.
Immagine della pergamena
11518 ter, ottenuta
utilizzando la fluorescenza
ultravioletta.
INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA
INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA
Particolare della
pergamena in luce visibile.
Particolare della pergamena in
fluorescenza ultravioletta.
INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA
UV
INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA
Particolare del verso
della pergamena,
contenente un disegno
musicale disposto su
tre linee melodiche.
Questa grafia musicale
è verosimilmente
databile tra la fine del
secolo XI e il secolo
XII avanzato.
La stesura dei testi e
quella dei suoni non
sono necessariamente
coeve.
INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA
Particolare del verso della
pergamena.
Fluorescenza UV
Palinsesti
I palinsesti sono in genere manoscritti medioevali, vergati
su fogli di pergamena di reimpiego, dalla quale è stata
erasa o lavata via la scrittura. La pergamena era un
materiale costoso, pertanto i libri vecchi venivano spesso
sacrificati. La rimozione della scrittura dalla superficie di una
pergamena al fine di renderla riscrivibile era una prassi
comune, già descritta da Marziale, alla fine del I secolo d.C.,
in un epigramma degli Apophoreta (XIV 7 Pugillares
membranei):
Esse putas ceras, licet haec membrana vocetur: delebis
quoties scripta novare voles [Fa conto, anche se le
chiamano pergamene, che siano tavolette di cera:
cancellerai quel che c’è scritto ogni volta che vorrai usarle di
nuovo]
Palinsesti
L’attività del radere le pergamene ebbe una notevole diffusione
nel Medioevo, sia in Occidente che in Oriente, tanto che la
prassi venne codificata in ricette, come quella del secolo XI,
conservata in un manoscritto proveniente dal monastero
bavarese di Tegernsee:
Quicunque in semel scripto pergameno necessitate cogente iterato scribere
velit, accipiat lac imponatque pergamenum per unius noctis spacium. Quod
postquam inde sustulerit, farre aspersum, ne ubi siccari incipit in rugas
contrahatur, sub pressura castiget quoad exsiccetur. Quod ubi fecerit, pumice
cretaque expolitum priorem albedinis suae nitorem recipiet (Munchen,
Bayerische Staatsbibliothek)
Chiunque, spinto dalla necessità, voglia scrivere di nuovo su di una
pergamena già scritta la metta nel latte per una notte. Quindi, dopo aver tolto
la pergamena dal bagno e averla cosparsa di farina, perché, asciugandosi, non
si raggrinzisca, la metta sotto pressione fino all’asciugatura. Fatto questo, e
dopo averla pulita con pietra pomice e creta, la pergamena riacquisterà il suo
primitivo nitore.
Palinsesti
Bottega di un pergamenarius.
Miniatura
contenuta
nelle
“Memorie istoriche di Bologna”
di Floriano di Pier Villola
(seconda metà del XIV secolo).
Bologna, Biblioteca Universitaria.
Il miniatore pone in evidenza
l'immagine
di
un
operaio
intento a radere la scrittura
dalla superficie di un foglio,
l'immagine cioè di quel rasor o
abrasor cartarum che nel
variegato
mondo
della
produzione libraria del Basso
Medioevo aveva ottenuto una
dimensione
di
artigianalità
autonoma
e
definibile.
Palinsesti
Aree geografiche del Mediterraneo Centrale e Orientale
dove vennero prodotti palinsesti.
Palinsesti
Luoghi di
conservazione attuali
dei manoscritti
contenitori di
palinsesti.
Italia:
Roma, Biblioteca Vallicelliana
(11-20)
Venezia, Biblioteca Nazionale
Marciana 11-20)
Messina, Biblioteca Regionale
Universitaria (21-30)
Firenze, Biblioteca Medicea
Laurenziana (31-40)
Milano, Biblioteca
Ambrosiana (41-50)
Grottaferrata, Biblioteca del
Monumento Nazionale (6170)
Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica Vaticana (ca 150)
Palinsesti
Nei palinsesti tracce della scrittura originaria sono rimaste visibili in
percentuali più o meno alte.
Per secoli i segreti dei palinsesti hanno affascinato gli studiosi, per la loro
importanza in vari campi del sapere.
Per tutto il XVIII secolo la lettura delle scritture abrase avvenne
sostanzialmente attraverso due tecniche:
• utilizzo di potenti lenti d'ingrandimento, associate a un'esposizione delle
pergamene a un'adeguata luce incidente proveniente dai raggi solari
(tecnica assolutamente non invasiva),
• utilizzo di un acido, come reagente per far rivivere le scritture
scomparse; si poteva andare dal liquido di decantazione di cipolle
immerse nel vino all'infusione di noce di galla in alcole (tecnica
decisamente più invasiva).
Il reagente a base di noce di
galla
fu
sicuramente
lo
strumento più diffuso soprattutto
nella seconda metà del XVIII
secolo.
Palinsesti
Il XIX secolo fu il secolo della chimica.
Da reagenti creati con sostanze naturali si passò a reagenti
molto più efficaci ottenuti attraverso processi di sintesi chimica.
Ferro cianuro potassico e tiocianato di ammonio furono, ad
esempio, alcune delle sostanze a base dei nuovi ed efficaci
reagenti, nei confronti dei quali venne nutrita una fiducia
spesso assoluta. Tuttavia i buoni risultati nella rivivificazione
delle scritture ottenuti con l'impiego delle nuove sostanze
ebbero degli effetti deleteri sul supporto pergamenaceo:
soprattutto se i reagenti chimici venivano impiegati in maniera
maldestra. Pergamene abbrunite dalla noce di galla o
macchiate dall'azzurro del precipitato di ferro cianuro potassico
sono la frequente eredità di quella fiducia nel mezzo chimico.
Palinsesti
Nel 1898 una conferenza sulla conservazione del libro, tenutasi a San
Gallo, decretò la condanna ufficiale dei reagenti chimici. D’altra parte
si stava facendo strada una nuova tecnica: la fotografia, che ben
presto si incrociò con le sperimentazioni di Raphael Kögel e Robert
Wood sulla fluorescenza UV.
Risultati di notevole livello vennero raggiunti un po' ovunque, come,
ad esempio, a Firenze, dove si distinse la figura di Enrico Rostagno.
Enrico Rostagno
Il passo successivo sarebbe stato quello
dell'elaborazione digitale delle immagini.
Oggigiorno
gli
sviluppi
tecnologici
della
digitalizzazione, dell’analisi multispettrale e della
rielaborazione
elettronica
delle
immagini
permettono di ottenere risultati inimmaginabili in
passato.
Palinsesti: esempi di risultati
Questo
manoscritto
greco,
conservato presso la Biblioteca
Nazionale Marciana di Venezia,
contiene quattro carte palinseste.
Nel 1847 Constantin von Tischendorf,
editore e studioso della tradizione
dell’Antico e del Nuovo Testamento,
per decifrare la scrittura inferiore
trattò i fogli con reagenti chimici,
come dimostra la vistosa colorazione
blu nella foto in luce naturale. Grazie
a tali sostanze Tischendorf riuscì a
decifrare il testo nascosto, che
trascrisse in alcuni fogli cartacei, oggi
legati all’interno del manoscritto,
dopo le carte palinsesti.
Codice gr. I49 (coll. 1213), c. 252v.
Palinsesti: esempi di risultati
La scrittura inferiore, in maiuscola
biblica databile al secolo IX,
riporta brani dei Vangeli di
Giovanni e Matteo.
La scrittura superiore, databile alla
metà del secolo XII, riporta alcune
parti dei cosiddetti Vangeli della
Passione
(che
costituiscono
attraverso il raccordo di passi dei
quattro Vangeli, un resoconto
cronologicamente continuo della
Passione e della morte di Cristo).
Codice gr. I49 (coll. 1213), c. 252v.
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