Tecniche di Imaging Multispettrale per i Beni Culturali Morigi Maria Pia Università di Bologna Dipartimento di Fisica Viale Berti Pichat, 6/2 – 40127 Bologna e-mail: [email protected] Onde elettromagnetiche Tale propagazione avviene con trasporto di energia, ha carattere ondulatorio e quindi è caratterizzata da , , da un periodo e da una velocità di propagazione, che nel vuoto è c. Per radiazione elettromagnetica si intende la propagazione nello spazio di campi elettrici e magnetici, variabili nel tempo, generati da cariche o correnti oscillanti, strettamente intercorrelati fra loro. SPETTRO ELETTROMAGNETICO : rivelazione (m)–14 10 RAGGI GAMMA (Hz) 1022 10–12 10–10 RAGGI X 1020 10–8 10–6 ULTRA-VIOLETTO 1018 10–4 INFRA-ROSSO 1016 1014 VISIBILE 1012 10–2 102 1 MICRO ONDE 1010 (m) ONDE RADIO 108 106 (Hz) occhio umano emulsione fotografica (+ schermi) rivelatori di ionizzazione stato solido , NaI sistemi CCD induzione elm antenna Capacità di penetrazione della radiazione UV VIS VERNICE STRATO PITTORICO DISEGNO PREPARAZIONE SUPPORTO IR RX L’occhio umano è sensibile alla luce compresa tra 400 e 750 nm Per l’imaging multispettrale vengono spesso utilizzate camere con sensore di tipo CCD, che hanno una sensibilità estesa che va da 300 nm fino a circa 1000 nm. CAMERE CON SENSORE CCD Esempio di sensore CCD Matrice di fotorivelatori a stato solido, cresciuti su una comune base di silicio. A ciascuno di questi microscopici rivelatori corrisponde un singolo elemento dell’immagine (pixel). Il CCD (Charge-coupled device, ossia dispositivo ad accoppiamento di carica) è nato presso i laboratori Bell di Murray Hill, New Jersey, già luogo di nascita del transistor. Verso la fine del 1969, Bill Boyle e George Smith, ricercatori impegnati nella ricerca di nuovi metodi di acquisizione delle immagini tramite cristalli di silicio, trovarono quasi per caso il CCD. Il CCD è un dispositivo caratterizzato da una matrice di microscopiche regioni di forma quadrata o rettangolare, disposte a scacchiera sulla superficie di un cristallo di silicio, opportunamente trattato e integrato in un dispositivo comunemente chiamato microchip (tecnologia MOS). Tali regioni, molto sensibili alla luce, denominate pixel (picture element), sono ricavate direttamente nel silicio e disposte come mattonelle di un pavimento, troppo piccole per essere osservabili ad occhio nudo. DISEGNO DI UN MICROCHIP LA CAMERA CCD Per comprendere meglio il funzionamento di una camera CCD, possiamo grosso modo compararne l'aspetto ad una semplice macchina fotografica. In una macchina fotografica tradizionale la superficie del film esposta alla luce giace su un piano posto di fronte all'otturatore. Se sostituiamo il film con un sensore CCD ed equipaggiamo la nostra macchina con un'elettronica e un software capaci di registrare e riprodurre immagini digitali, otteniamo una camera CCD. La superficie del sensore è paragonabile a quella di un'emulsione fotografica: alla matrice dei pixel corrisponde la grana dell'emulsione. La differenza più macroscopica è la dimensione del sensore generalmente utilizzato nelle camere CCD non professionali: poche decine di millimetri quadrati rispetto agli 864 mm2 del campo di una 24x36. I CCD La superficie di un'emulsione fotografica, vista al microscopio, è composta di grani, le cui dimensioni non sono tutte perfettamente uguali. Inoltre, i grani del film sono distribuiti in modo non del tutto uniforme. Invece i pixel del CCD sono tutti identici e sono disposti con assoluta regolarità lungo le colonne e le righe di una matrice quadrata o rettangolare. Quando si riprende un’immagine con una camera CCD, la luce, composta a sua volta dai singoli fotoni provenienti dall'oggetto inquadrato, viene “catturata” dalla superficie del sensore e ciascun pixel raccoglierà una quantità di luce proporzionale alla durata dell'esposizione e all'intensità del flusso luminoso incidente in quel punto. PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO DI UN CCD L’interazione dei fotoni con il CCD provoca la liberazione di elettroni per effetto fotoelettrico. Durante la fase di esposizione i fotoelettroni vengono accumulati in ciascun pixel. Quindi sulla superficie del sensore andrà formandosi una precisa mappa elettronica dell'immagine dell'oggetto ripreso. Il passo successivo consiste nel trasferimento della carica. La carica accumulata in ciascun pixel viene trasferita sequenzialmente, con l’ausilio di varie tecniche, ad un registro di lettura. Questa operazione viene effettuata manipolando in maniera sistematica la differenza di potenziale tra i pixel, in modo tale che il segnale costituito dagli elettroni si muova lungo i registri verticali da un pixel al successivo, come se viaggiasse su un nastro trasportatore. STRUTTURA DEL CCD PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO DI UN CCD Il registro di lettura accumula una riga alla volta e quindi trasporta il pacchetto di cariche in modo sequenziale ad un circuito amplificatore interno. L'operazione finale, la rivelazione delle cariche, avviene quando i singoli pacchetti di cariche vengono convertiti in un voltaggio d'uscita. Il voltaggio di ciascun pixel può essere amplificato da un amplificatore esterno, codificato in modo digitale e “trasformato“ in una sequenza numerica di bit, ovvero in un ben determinato tono (livello) di grigio. L’immagine digitale così ottenuta, che prende il nome di light frame, sarà quindi trasferita in un computer e visualizzata su un monitor. PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO DI UN CCD Dopo la chiusura dell'otturatore (1) il chip, che ha registrato nei singoli pixel le variazioni di carica dovute all'impatto dei fotoni, è pronto a trasmettere l'informazione (i pixel sono colorati in verde; le stelline rosse rappresentano le cariche generate dai fotoni). L'informazione contenuta nella prima riga di pixel si sposta simultaneamente nel registro seriale (2) dove viene raccolta ed inviata sequenzialmente all'uscita (3, 4). Quando il registro seriale si svuota, viene caricata la seconda riga di pixel e il processo riparte dal punto 2. Una volta che tutti i registri sono vuoti, l'otturatore può essere riaperto per cominciare la registrazione di una nuova immagine. Quando si fa una ripresa con la videocamera.. - La luce, composta a sua volta dai singoli fotoni provenienti dall'oggetto inquadrato, viene “catturata” dalla superficie del sensore. - ciascun pixel raccoglierà una quantità di luce proporzionale alla durata dell'esposizione e all'intensità del flusso luminoso incidente in quel punto. L’immagine digitale Il numero nel pixel è proporzionale al segnale prodotto dai fotoni di luce nel rivelatore TIPOLOGIA DEI CCD La matrice di mxn pixels è organizzata in maniera diversa a seconda dello schema di trasferimento di carica adottato: • Interline transfer • Frame transfer • Full frame transfer Interline transfer Nei CCD Interline Transfer, ad ogni colonna di elementi fotosensibili è associata una colonna adiacente di elementi schermati dalla luce (registri verticali). Alla fine del processo di integrazione, le cariche accumulatesi negli elementi fotosensibili sono istantaneamente trasferite nei registri verticali, per poi essere trasferite riga per riga, nel registro orizzontale di lettura del segnale di uscita del CCD. Lo shift delle cariche dai pixel ai registri verticali di lettura dura poco più di un microsecondo. TIPOLOGIA DEI CCD FRAME TRANSFER CCD I CCD Frame Transfer presentano due aree strutturalmente identiche sulla superficie del sensore. Una, sensibile alla luce, è la zona dove si accumulano le cariche durante la posa; l’altra, schermata con una lamina metallica, è la memoria dove al termine del processo di integrazione sarà parcheggiata l’immagine dopo un trasferimento dall’area sensibile, della durata di 1-2 millesimi di secondo. TIPOLOGIA DEI CCD FULL FRAME TRANSFER CCD I CCD Full Frame Transfer hanno solamente l’area attiva. La lettura dell’immagine al termine dell’esposizione, avviene mediante trasferimento progressivo al registro di lettura del contenuto delle righe della matrice del sensore, dalla prima riga fino all’ultima. Questo processo dura in genere qualche decimo di secondo. Se l’area del sensore nel frattempo non è protetta dal flusso incidente dei fotoni, l’immagine finale sarà affetta da smearing, ossia da un alone provocato dal continuo assorbimento di energia luminosa. Tale inconveniente viene eliminato equipaggiando tali camere con otturatori elettromeccanici, in grado di schermare l’area attiva del sensore durante la lettura e il campionamento dell’immagine. CAMERE CON SENSORE CCD CURVE DI EFFICIENZA QUANTICA DI UN SENSORE CCD Tecniche di Imaging MultiSpettrale nei Beni Culturali • Ripresa di immagini digitali a colori • Tricromia in falso colore • Riflettografia infrarossa • Fluorescenza ultravioletta Il disegno e il colore sono le prime caratteristiche immediatamente evidenti di un dipinto. Nonostante ciò, non è assolutamente banale ottenere una buona immagine di un’Opera d’Arte. D’altra parte, una ricostruzione fedele dell’immagine dell’Opera è essenziale per ogni forma di documentazione, sia preliminare che successiva ad un eventuale intervento di conservazione e restauro, ed è anche fondamentale per il suo studio e la sua fruizione. Un’immagine digitale a colori può essere ottenuta attraverso la sovrapposizione di tre immagini acquisite sequenzialmente nelle bande spettrali fondamentali RGB (Red, Green e Blue – sintesi additiva) Le tre immagini nel rosso, verde e blu si ottengono interponendo un filtro passabanda di fronte al sensore. Tutta la risoluzione del sensore viene sfruttata per ogni banda. Inoltre, le caratteristiche di esposizione e messa a fuoco possono essere ottimizzate indipendentemente per ogni banda. Anche le variazioni di illuminazione esterna possono essere compensate in maniera oggettiva e riproducibile. Acquisizione RGB B G R Esaltazione del contrasto APPLICAZIONE IMAGING MULTISPETTRALE AI DIPINTI La possibilità di selezionare la banda spettrale di acquisizione dell’immagine può portare ad un miglioramento del contrasto dell’immagine. Ritocchi La risoluzione spettrale dell’immagine permette l’identificazione di zone ritoccate non altrimenti visibili a occhio nudo RGB IR Le parti ritoccate appaiono come zone di diverso colore nell’immagine risolta spettralmente Madonna con Bambino (XVI secolo) Antiquarium Arborense, Oristano Tecniche diagnostiche in infrarosso per immagini: riflettografia e termografia. INFRAROSSO: lunghezze d’onda da 7x10-7 m a 10-3 m • RIFLETTOGRAFIA • TERMOGRAFIA Si basa su Si basa su Trasparenza di alcuni pigmenti e leganti pittorici nel vicino infrarosso (0.7 - 2.5 mm) Emissione di radiazione di corpo nero da parte di oggetti a temperatura ambiente in alcune bande del medio-lontano infrarosso. LA RIFLETTOGRAFIA INFRAROSSA LA RIFLETTOGRAFIA INFRAROSSA La riflettografia infrarossa (IR) è una tecnica ottica, utilizzata per visualizzare, soprattutto nei dipinti antichi, la superficie della preparazione sottostante agli strati di pittura. La tecnica risale agli anni '30, ed iniziò come fotografia IR; una svolta si ebbe negli anni '60 con l'inizio dell'uso di telecamere a tubo Vidicon. La riflettografia si serve infatti della radiazione nel vicino infrarosso, nell'intervallo di lunghezze d'onda comprese tra 1 e 2 micron. Riflettografia Infrarossa VIS IR Il principio colore preparazione 10÷100 mm 0.5÷1 mm supporto La riflettografia IR consente di registrare immagini nell’infrarosso, dette riflettogrammi, aventi l’aspetto di fotografie in bianco e nero, da cui è possibile interpretare il disegno realizzato dall’autore sullo strato preparatorio dell’opera. Ciò avviene per via della trasparenza dello strato pittorico alla radiazione nell’infrarosso vicino. La radiazione IR attraversa lo strato di colore, raggiunge il fondo, viene retrodiffusa verso l’esterno ed è rivelata dalla telecamera. Riflettografia Infrarossa Con questo metodo di indagine si possono: • ottenere informazioni sulla tecnica dell'autore e sul mezzo grafico impiegato per il disegno preparatorio (uso del carboncino o del pennello nella stesura del disegno) • mettere in evidenza pentimenti e/o ritocchi (sia in fase di disegno che di stesura pittorica) • si possono rilevare scritte, firme e date, sottostanti in origine allo strato pittorico, oppure coperte da successive operazioni di restauro. STRUMENTAZIONE PER RIFLETTOGRAFIA IR La pellicola infrarossa in bianco e nero, una volta di largo uso per questo tipo di indagine, è stata oggi sostituita da sistemi commerciali basati su telecamere a CCD di tipo standard, in bianco e nero, oppure da particolari telecamere con tubo Vidicon al solfuro di piombo, sensibili fino a lunghezze d’onda della radiazione di 2200 nm circa. Di ingombro contenuto e maneggevoli, le telecamere collegate ad un monitor permettono una visualizzazione immediata del risultato, vantaggio non indifferente che ne rende semplice l’impiego in situ. Strumentazione tradizionale per riflettografia IR: limitazioni Per i Vidicon: • distorsioni geometriche in alcuni casi non trascurabili, limitata risoluzione spaziale e scarsa capacità di registrare un’adeguata gamma di toni di grigio costituiscono i tre principali difetti e limitano l’utilizzo di questa strumentazione come mezzo di studio e ricerca. Per le telecamere CCD: • ridotta banda spettrale di analisi, che non supera il limite di 1.1 micron ed impedisce di fatto di vedere al di sotto di molti tipi di pigmento, rendendo la riflettografia a telecamera, per quanto economica come metodo di analisi, una tecnica a volte insufficiente nei risultati. LO SCANNER PER RIFLETTOGRAFIA INFRAROSSA Si tratta di un sistema a scansione meccanica, che utilizza un sensore sensibile alla radiazione IR nella banda di lunghezze d'onda comprese tra 1 e 1.7 micron, restituendo immagini ad alta risoluzione e con più di 4000 toni di grigio. Questa grande dinamica consente la ripresa di riflettogrammi di elevato contrasto e ad alto contenuto di informazione, permettendo agli esperti del settore di disporre di immagini con notevole risoluzione di dettaglio e con le più delicate sfumature di grigio. LO SCANNER PER RIFLETTOGRAFIA INFRAROSSA Lo scanner per riflettografia IR è composto da una coppia di assi di traslazione ortogonali e da una testa ottica posizionata sulla traslazione verticale. La superficie del dipinto viene ispezionata con una risoluzione spaziale di 4 pixel/mm. Sulla testa ottica vi sono un obbiettivo, un fotodiodo per IR ed il sistema di illuminazione. Dal momento che il sistema di illuminazione si muove solidalmente con la testa ottica, l'uniformità dell'illuminazione è assicurata su tutta l'immagine. Scanner per riflettografia IR Risoluzione: 4x4 pti/mm2 Sensibilità spettrale: 0.9 1.7 mm + RGB Gamma tonale: migliaia di livelli di grigio Ripresa IR con scanner a singolo elemento 0.25 mm (101.6 dpi) Confronto tra “ieri” e “oggi” ESEMPIO DI APPLICAZIONE DELLA RIFLETTOGRAFIA IR Particolare della pala "Madonna col Bambino e Santi”, realizzata da Matteo di Giovanni per la cattedrale di Pienza. ESEMPIO DI APPLICAZIONE DELLA RIFLETTOGRAFIA IR Il pittore si serve del disegno preparatorio per segnalare sul gesso della preparazione ogni necessario passo successivo che dovrà portare dall’abbozzo all’opera finita. La testa del personaggio viene prima delineata nei suoi particolari esterni ed interni, probabilmente sulla base di un disegno di riferimento su carta; infine, con alcuni veloci tratti a carboncino, vengono segnalate le zone d’ombra. ESEMPIO DI APPLICAZIONE DELLA RIFLETTOGRAFIA IR Se si sovrappongono le due immagini, quella in IR e quella visibile, vediamo che le zone di ombra dello scavato volto del prelato corrispondono esattamente al tratteggio, alla sua disposizione sul piano, alla sua differenziata intensità. L’immagine in IR dimostra come il disegno sottogiacente ubbidisse a tecniche e a regole dettate dalla sua specificità di utilizzo. Riflettografia IR Luca Signorelli: Crocifissione La ripresa riflettografica in IR permette di rilevare tra il volto e la prima croce un dipinto sottostante. La Riflettografia Infrarossa La Galleria Borghese di Roma e L'Istituto Nazionale di Ottica Applicata (I.N.O.A.) hanno presentato nel 2002 i risultati di ricerche effettuate su due importanti dipinti della stessa Galleria: il San Giovanni Battista del Bronzino e la Madonna con Bambino e San Giovannino di controversa attribuzione a Giulio Romano oppure al Raffaello. La Riflettografia Infrarossa Il San Giovanni Battista del Bronzino La Riflettografia Infrarossa il San Giovanni Battista del Bronzino Ingrandimento 4:1 Ingrandimento 2:1 Ingrandimento 8:1 Particolare 1:1 La Riflettografia Infrarossa Il San Giovanni Battista del Bronzino (~1550) L'autore aveva utilizzato una tavola sulla quale aveva in origine disegnato un ritratto mediceo. Si vede un giovane con un colletto a pizzo, la mano sinistra vicino al bordo inferiore mentre regge tra le dita dei fogli di un volume e con l'altra mano s'accinge a scrivere tenendo una penna tra le dita. Che il Bronzino abbia trasfigurato un ritratto cortese in una figura di Santo sulla stessa tavola mostra la intercambiabilità tra soggetti mondani e religiosi. La Riflettografia Infrarossa il San Giovanni Battista del Bronzino Per un confronto tra il San Giovanni Battista della Galleria Borghese con gli altri ritratti dipinti del Bronzino merita particolare attenzione quello del bel giovane biondo Lodovico Capponi che si trova nella Frick Collection a New York. Tale dipinto, datato tra il 1550 ed il 1555 circa, mostra infatti tratti fisiognomici molto simili nella proporzione della testa, nell'asse degli occhi leggermente discendente verso l'esterno, nella forma fiorente ma non troppo della bocca, nel naso e nelle sopracciglia. Infine, anche la capigliatura bionda a riccioli vivaci risulta comune nei due volti. Se questa lettura fosse condivisa, si può identificare nel disegno sottostante il S. Giovanni Battista della Galleria Borghese un ritratto di Lodovico Capponi nello stesso periodo della Frick Collection di New York. Egli avrebbe prestato le sembianze anche per il S. Giovanni Battista nel deserto della tavola della Galleria Borghese. La Riflettografia Infrarossa Madonna con Bambino e San Giovannino È un dipinto attribuito a Giulio Romano, ma recentemente riassegnato a Raffaello, come già era nell'inventario del 1833. Esso costituisce un'opera di straordinario interesse per la critica dell'attività del tardo Raffaello e dei diretti eredi del suo studio. Foto in Luce visibile Foto in IR La Riflettografia Infrarossa Madonna con Bambino e San Giovannino In questo caso le indagini riflettografiche hanno confermato la presenza di un disegno sottostante da attribuire alla mano di Raffaello. Ricorda, per il simile aspetto, un disegno su carta di Raffaello del 1512 circa che si trova ad Oxford, nell' Ashmolean Museum. Tale disegno "oxfordiano" è stato già messo in relazione col dipinto della Galleria Borghese da Konrad Oberhuber nel 1999, e questa intuizione viene confermata pienamente dalla riflettografia ora eseguita. La Riflettografia Infrarossa Madonna con Bambino e San Giovannino La Riflettografia Infrarossa Madonna con Bambino e San Giovannino Le riflettografie eseguite consentono inoltre di distinguere il tratto del disegno della Madonna con Bambino di Raffaello da quello più lento e rigido del San Giovannino che appartiene ad una fase successiva della realizzazione dell'opera. Da un'immagine di Raffaello che tratta soltanto il tema dell'affetto tra la Madonna ed il Figlio, un seguace del Sanzio ha viceversa sviluppato una "storia", quella del gioco dei fanciulli cugini. Infatti il San Giovannino, lo sfondo ed il cagnolino sono attribuiti ad una mano diversa: un qualche allievo della stretta cerchia di Raffaello, non necessariamente Giulio Romano. Questi si distingue per un tratto di disegno più brillante rispetto a quello emerso nella radiografia, ma Giulio Romano sembra aver comunque influenzato il forte chiaroscuro e l'ambientazione dello sfondo dell'immagine. La datazione del dipinto ancora incompiuto in alcuni tratti del San Giovannino, va collocato tra il 1520 (morte di Raffaello) e il 1527 (Sacco di Roma). Cecilia Frosinini (INOA) "...tentiamo di entrare nella mente creativa dell'artista e dei suoi segreti" La Riflettografia Infrarossa Madonna in adorazione del Bambino con San Giovannino, Vittore Carpaccio Riflettografia a cura dell'INOA di Firenze La Riflettografia Infrarossa Madonna in adorazione del Bambino con San Giovannino, Vittore Carpaccio In collaborazione con l'Istituto Nazionale di Ottica Applicata (INOA) di Firenze Le indagini riflettogarfiche eseguite da Paolo Spezzani (scanner INOA) hanno, invece messo in luce le differenze tra il disegno preparatorio e il dipinto finito. Esse interessano il capo della Vergine che nel disegno risulta più ruotato verso sinistra, mostrando parte della gota e dell’occhio destro; i capelli del san Giovannino, più fluenti sulla fronte rispetto al dipinto; la presenza di babbucce ai piedi del Bambino, scalzo nella stesura definitiva dell’opera; l’esistenza di uno stipite della finestra celato poi dall’azzurro del cielo e dal paesaggio. Manoscritti • L’uso di tecniche di imaging MultiSpettrale può esaltare la leggibilità di manoscritti e testi degradati, attraverso un’opportuna ottimizzazione del contrasto tra testo e substrato. Applicazioni a manoscritti e libri a stampa Immagine nel visibile. Immagine ottenuta con un filtro IR pass. Applicazioni a manoscritti e libri a stampa Immagine nel visibile. Immagine con filtro IR pass. Applicazioni a manoscritti e libri a stampa Scritte acide Applicazioni a manoscritti e libri a stampa Scritte acide Applicazioni a manoscritti e libri a stampa Documento coperto da muffe Applicazioni a manoscritti e libri a stampa Codice palinsesto, conservato presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino e gravemente danneggiato in occasione dell’incendio che devastò la Biblioteca nella notte tra il 25 e il 26 gennaio del 1904, distruggendo gran parte della sua raccolta di manoscritti. Codice ms. C.V. 25 c.53 Applicazioni a manoscritti e libri a stampa Dopo l’incendio, del codice erano rimasti 5 blocchi agglutinati, ciascuno dei quali si presentava come un piccolo ammasso di pergamena in parte carbonizzata, con i fogli fusi insieme così da formare un tutto compatto. L’alta temperatura del fuoco, insieme a quella bassa dell’acqua di spegnimento, avevano provocato una rapida e violenta contrazione delle pergamene, che aveva drasticamente ridotto le dimensioni dei fogli e in parte trasformato la pergamena in gelatina. L’uso di sostanze, quali il formolo e il tannino, allo scopo di arrestare i processi putrefattivi sviluppatisi all’interno dei fogli a causa del permanere in loro di acqua, aveva reso la pergamena dura, vitrea e molto fragile. Applicazioni a manoscritti e libri a stampa I blocchetti furono affidati per il restauro al Laboratorio interno della Biblioteca, inaugurato nel 1905 e primo in Italia. Nel Laboratorio i blocchetti vennero aperti e i fogli distesi; inoltre le pergamene intaccate dai microrganismi vennero restaurate e consolidate. Attualmente il codice è composto da 30 dei 121 fogli che lo costituivano originariamente, illeggibili dall’occhio umano e con sistemi tradizionali. Applicazioni a manoscritti e libri a stampa Le soluzioni tecnologiche oggi disponibili permettono di recuperare sia la scrittura superiore sia quella inferiore. Il testo più recente, datato 1428, consiste nella Grammatica di Manuele Moscupolo ed è attribuibile alla mano del copista greco Georgios Baiophoros. Applicazioni a manoscritti e libri a stampa La scrittura inferiore, in maiuscola databile al IX secolo, riporta alcuni passi dell’ Ecclesiaste. Altre applicazioni della radiazione IR Papiri fortemente anneriti o bruciati Frammenti di papiri carbonizzati rinvenuti a Petra (Giordania) nel dicembre 2003. Altre applicazioni della radiazione IR Papiri fortemente anneriti o bruciati Immagine all’infrarosso di uno dei papiri rinvenuti a Petra. INFRAROSSO IN FALSI COLORI (TRICROMIA IN FALSO COLORE) Un’immagine in tricromia a falsi colori si può realizzare per via elettronica tramite un’acquisizione delle tre bande verde, rosso e infrarosso con una telecamera CCD e la successiva restituzione RGB tramite PC. L’indagine in falso colore si basa sul fatto che pigmenti, cromaticamente simili nel visibile, ma di diversa natura chimica, possono apparire nell’immagine in falsi colori ben differenziati se hanno un diverso comportamento spettrale nell’infrarosso. Un caso molto evidente è dato dal comportamento dell’azzurrite e del lapislazzuli. Entrambi i pigmenti hanno nel visibile un colore blu, mentre nell’immagine in tricromia falso colore presentano due colori nettamente diversi. Infatti il lapislazzuli, al contrario dell’azzurrite, non assorbe la componente della radiazione nell’infrarosso; per questo motivo il falso colore con cui viene restituito il lapislazzuli ha una forte componente rossa, mentre l’azzurrite risulta di colore scuro. TRICROMIA IN FALSO COLORE a b Ripresa in infrarosso a falsi colori realizzata per via elettronica tramite un’acquisizione delle tre bande verde (a), rosso (b) e infrarosso (c), con una telecamera CCD e la successiva restituzione RGB tramite PC (d). d c TRICROMIA IN FALSO COLORE Ripresa in luce visibile (a) e in infrarosso a falsi colori (b) di un particolare dell’Incoronazione della Vergine del Botticelli. L’immagine IR evidenzia e mappa la veste verde dell’angelo in due distinte campiture: una scura in cui il pigmento a base di rame assorbe la radiazione IR (che costituisce la parte originale) e la restante zona di restauro realizzata a base di verde cobalto. TRICROMIA IN FALSO COLORE Madonna col Bambino di Coppo di Marcovaldo (a) e particolare durante il restauro ripreso con la tecnica della tricromia in falso colore (b). Il manto a base di lapislazzuli è restituito con un rosso intenso e i ritocchi realizzati con blu di Prussia appaiono di colore nero. B G R IR Fluorescenza UV Radiazione UV incidente UV riflesso Fluorescenza visibile Il principio Quando un’opera viene irraggiata con radiazione UV, tale radiazione viene in parte riflessa e in parte assorbita dagli strati superficiali dell’opera. Parte dell’energia assorbita viene nuovamente emessa per fluorescenza sotto forma di radiazione con lunghezza d’onda nel visibile. Fluorescenza UV La tecnica Filtro Luce visibile parassita Lampada di Wood PC UV UVa riflesso Filtro FLUORESCENZA Filtro interferenziale Componente di fluorescenza Telecamera digitale CCD Fluorescenza UV Nelle varie fasi del restauro può essere utile acquisire più volte l’immagine in fluorescenza. Infatti le superfici pittoriche sono di solito ricoperte da uno strato di vernice, un materiale filmogeno trasparente che protegge il dipinto. Le resine contenute nelle vernici presentano spesso un’intensa fluorescenza uniforme che maschera quella dello strato pittorico sottostante. In fase di restauro la vernice viene rimossa ed è possibile in fluorescenza distinguere le zone dove la vernice è ancora presente da quelle in cui è stata eliminata, cosa non possibile in luce visibile perché la vernice è trasparente. Fluorescenza UV Dopo la rimozione della vernice si osserva la fluorescenza dello strato pittorico e in particolare dei pigmenti e dei leganti, che rende possibile: • differenziare e localizzare materiali indistinguibili in luce visibile; infatti pigmenti appartenenti alle stesse classi cromatiche, potranno avere un diverso comportamento in termini di fluorescenza per la differente composizione chimica; • identificare alcuni dei materiali osservati in base al colore caratteristico della fluorescenza (giallo chiaro per il bianco di zinco, giallo-marrone per la gomma lacca, etc.) • individuare ritocchi, ridipinture e parti rifatte, che osservate in fluorescenza in genere appaiono più scure. Fluorescenza UV Ripresa in luce visibile (a) e in fluorescenza ultravioletta (b) di un dipinto a tempera su pergamena del ’600. a Il vaso di fiori ha come sfondo originale una stesura a base di biacca (bianca in fluorescenza), poi ripassata in un precedente restauro con bianco di zinco (colore salmone in fluorescenza). Le zone non fluorescenti corrispondono al restauro attuale realizzato con bianco di titanio. b Fluorescenza UV Particolare della deposizione di Fra Bartolomeo durante la pulitura (a). La ripresa in fluorescenza ultravioletta (b) evidenzia una zona in cui la vernice non è ancora stata rimossa e dalla quale non è possibile avere informazioni sullo stato di conservazione del colore. Eventuali ritocchi antichi sono infatti visibili solo dopo la rimozione della vernice. Fluorescenza UV La fluorescenza UV evidenzia ritocchi (scuri) e presenza di leganti o fissativi di natura grassa (fluorescenza gialla). Fluorescenza UV multispettrale digitale 2 lampade a flash telecamera CCD (1024x1024) 7 filtri (largh. banda 40 nm) Fluorescenza UV Applicazioni della fluorescenza ultravioletta ai manoscritti: • documenti con scritte abrase o sbiadite • palinsesti Fluorescenza UV Documenti con scritte abrase o sbiadite Fluorescenza UV Documenti con scritte abrase o sbiadite L’inchiostro, sbiadito in superficie, è penetrato all’interno della carta e viene messo in risalto dalla fluorescenza della carta stessa. VISIBILE UV INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA Fotografia del recto della pergamena 11518 ter, conservata presso l’Archivio Storico Arcivescovile di Ravenna. Il documento è un atto notarile redatto a Ravenna il 28 febbraio 1127, scritto sul lato carne di un frammento di pergamena ricavata da una pelle di agnello. INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA Fotografia del verso della pergamena, sul quale due ignoti autori hanno scritto versi in volgare. INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA Particolare del componimento poetico in volgare di 25 righe, scritto con inchiostro bruno chiaro molto diluito. Immagine della pergamena 11518 ter, ottenuta utilizzando radiazioni elettromagnetiche nel visibile. Immagine della pergamena 11518 ter, ottenuta utilizzando la fluorescenza ultravioletta. INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA Particolare della pergamena in luce visibile. Particolare della pergamena in fluorescenza ultravioletta. INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA UV INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA Particolare del verso della pergamena, contenente un disegno musicale disposto su tre linee melodiche. Questa grafia musicale è verosimilmente databile tra la fine del secolo XI e il secolo XII avanzato. La stesura dei testi e quella dei suoni non sono necessariamente coeve. INDAGINI IN FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA Particolare del verso della pergamena. Fluorescenza UV Palinsesti I palinsesti sono in genere manoscritti medioevali, vergati su fogli di pergamena di reimpiego, dalla quale è stata erasa o lavata via la scrittura. La pergamena era un materiale costoso, pertanto i libri vecchi venivano spesso sacrificati. La rimozione della scrittura dalla superficie di una pergamena al fine di renderla riscrivibile era una prassi comune, già descritta da Marziale, alla fine del I secolo d.C., in un epigramma degli Apophoreta (XIV 7 Pugillares membranei): Esse putas ceras, licet haec membrana vocetur: delebis quoties scripta novare voles [Fa conto, anche se le chiamano pergamene, che siano tavolette di cera: cancellerai quel che c’è scritto ogni volta che vorrai usarle di nuovo] Palinsesti L’attività del radere le pergamene ebbe una notevole diffusione nel Medioevo, sia in Occidente che in Oriente, tanto che la prassi venne codificata in ricette, come quella del secolo XI, conservata in un manoscritto proveniente dal monastero bavarese di Tegernsee: Quicunque in semel scripto pergameno necessitate cogente iterato scribere velit, accipiat lac imponatque pergamenum per unius noctis spacium. Quod postquam inde sustulerit, farre aspersum, ne ubi siccari incipit in rugas contrahatur, sub pressura castiget quoad exsiccetur. Quod ubi fecerit, pumice cretaque expolitum priorem albedinis suae nitorem recipiet (Munchen, Bayerische Staatsbibliothek) Chiunque, spinto dalla necessità, voglia scrivere di nuovo su di una pergamena già scritta la metta nel latte per una notte. Quindi, dopo aver tolto la pergamena dal bagno e averla cosparsa di farina, perché, asciugandosi, non si raggrinzisca, la metta sotto pressione fino all’asciugatura. Fatto questo, e dopo averla pulita con pietra pomice e creta, la pergamena riacquisterà il suo primitivo nitore. Palinsesti Bottega di un pergamenarius. Miniatura contenuta nelle “Memorie istoriche di Bologna” di Floriano di Pier Villola (seconda metà del XIV secolo). Bologna, Biblioteca Universitaria. Il miniatore pone in evidenza l'immagine di un operaio intento a radere la scrittura dalla superficie di un foglio, l'immagine cioè di quel rasor o abrasor cartarum che nel variegato mondo della produzione libraria del Basso Medioevo aveva ottenuto una dimensione di artigianalità autonoma e definibile. Palinsesti Aree geografiche del Mediterraneo Centrale e Orientale dove vennero prodotti palinsesti. Palinsesti Luoghi di conservazione attuali dei manoscritti contenitori di palinsesti. Italia: Roma, Biblioteca Vallicelliana (11-20) Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana 11-20) Messina, Biblioteca Regionale Universitaria (21-30) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana (31-40) Milano, Biblioteca Ambrosiana (41-50) Grottaferrata, Biblioteca del Monumento Nazionale (6170) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana (ca 150) Palinsesti Nei palinsesti tracce della scrittura originaria sono rimaste visibili in percentuali più o meno alte. Per secoli i segreti dei palinsesti hanno affascinato gli studiosi, per la loro importanza in vari campi del sapere. Per tutto il XVIII secolo la lettura delle scritture abrase avvenne sostanzialmente attraverso due tecniche: • utilizzo di potenti lenti d'ingrandimento, associate a un'esposizione delle pergamene a un'adeguata luce incidente proveniente dai raggi solari (tecnica assolutamente non invasiva), • utilizzo di un acido, come reagente per far rivivere le scritture scomparse; si poteva andare dal liquido di decantazione di cipolle immerse nel vino all'infusione di noce di galla in alcole (tecnica decisamente più invasiva). Il reagente a base di noce di galla fu sicuramente lo strumento più diffuso soprattutto nella seconda metà del XVIII secolo. Palinsesti Il XIX secolo fu il secolo della chimica. Da reagenti creati con sostanze naturali si passò a reagenti molto più efficaci ottenuti attraverso processi di sintesi chimica. Ferro cianuro potassico e tiocianato di ammonio furono, ad esempio, alcune delle sostanze a base dei nuovi ed efficaci reagenti, nei confronti dei quali venne nutrita una fiducia spesso assoluta. Tuttavia i buoni risultati nella rivivificazione delle scritture ottenuti con l'impiego delle nuove sostanze ebbero degli effetti deleteri sul supporto pergamenaceo: soprattutto se i reagenti chimici venivano impiegati in maniera maldestra. Pergamene abbrunite dalla noce di galla o macchiate dall'azzurro del precipitato di ferro cianuro potassico sono la frequente eredità di quella fiducia nel mezzo chimico. Palinsesti Nel 1898 una conferenza sulla conservazione del libro, tenutasi a San Gallo, decretò la condanna ufficiale dei reagenti chimici. D’altra parte si stava facendo strada una nuova tecnica: la fotografia, che ben presto si incrociò con le sperimentazioni di Raphael Kögel e Robert Wood sulla fluorescenza UV. Risultati di notevole livello vennero raggiunti un po' ovunque, come, ad esempio, a Firenze, dove si distinse la figura di Enrico Rostagno. Enrico Rostagno Il passo successivo sarebbe stato quello dell'elaborazione digitale delle immagini. Oggigiorno gli sviluppi tecnologici della digitalizzazione, dell’analisi multispettrale e della rielaborazione elettronica delle immagini permettono di ottenere risultati inimmaginabili in passato. Palinsesti: esempi di risultati Questo manoscritto greco, conservato presso la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, contiene quattro carte palinseste. Nel 1847 Constantin von Tischendorf, editore e studioso della tradizione dell’Antico e del Nuovo Testamento, per decifrare la scrittura inferiore trattò i fogli con reagenti chimici, come dimostra la vistosa colorazione blu nella foto in luce naturale. Grazie a tali sostanze Tischendorf riuscì a decifrare il testo nascosto, che trascrisse in alcuni fogli cartacei, oggi legati all’interno del manoscritto, dopo le carte palinsesti. Codice gr. I49 (coll. 1213), c. 252v. Palinsesti: esempi di risultati La scrittura inferiore, in maiuscola biblica databile al secolo IX, riporta brani dei Vangeli di Giovanni e Matteo. La scrittura superiore, databile alla metà del secolo XII, riporta alcune parti dei cosiddetti Vangeli della Passione (che costituiscono attraverso il raccordo di passi dei quattro Vangeli, un resoconto cronologicamente continuo della Passione e della morte di Cristo). Codice gr. I49 (coll. 1213), c. 252v.