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Ricordando monsignor Bernardo Citterio
“Vi ho chiamato amici...”
di † Libero Tresoldi
A un mese dal passaggio all’eternità beata del carissimo mons. Bernardo Citterio mi è caro ricordarlo con la semplice espressione di “amico”. Il
richiamo d’obbligo va alla Parola di Dio, quando
Gesù, la sera del Giovedì Santo, si rivolge così ai
suoi Apostoli: “Questo è il mio comandamento:
che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la
vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più
servi, perché il servo non sa quello che fa il suo
padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò
che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi
ho costituiti, perché andiate e portiate frutto e il
vostro frutto rimanga; perché tutto quello che
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chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.”
(Giov. 15,12-17).
Dell’amicizia, che è forma alta di carità, caratteristica fondamentale è la fedeltà. Da mons. Citterio
io ho imparato, attraverso l’esperienza di quattro
decenni, l’uno e l’altro valore. L’ho incontrato,
nel Seminario di Venegono, all’inizio del primo
anno di teologia nel 1939. I ricordi nella mia
mente sono pallidi, ma non al punto da dimenticare la preparazione culturale dell’insegnante e il
suo amore per la Parola di Dio, che voleva far gustare, anche nella lingua dei Settanta, la preziosità
dei messaggi di Dio al suo popolo.
Comincia poi un lungo periodo di lontananza.
Scoppia la seconda grande guerra mondiale, mons.
Citterio insegna nel Seminario di Seveso e, nel
1941, diventa Rettore del Seminario di Masnago in
Varese. Il 29/5/1943, con una settantina di miei
compagni, vengo ordinato sacerdote dal Beato cardinale Schuster e
destinato, come
coadiutore, a Santa
Maria alla Fontana
in Milano. Vivo gli
anni difficili della
guerra e dei bombardamenti in una
zona vicina allo
scalo Farini, dove i
tedeschi si servivano di numerosi
carri merci, per
trasportare in Germania materiali di
ogni genere, e,
purtroppo, facile
obbiettivo di bombardieri inglesi.
In questa parrocchia incontrai monsignor
Antonio
Corti, insegnante
di latino e greco
nel Seminario liceale di Venegono, apprezzato sacerdote e confessore festivo.
Con tale impegno,
negli anni precedenti la guerra, era
presente in parrocchia anche il
Rettore del Semi-
nario di Masnago, mons. Citterio. Lo sfollamento
di molte persone dalla città aveva reso superflua
la presenza di tale sacerdote, ma non aveva cancellato il ricordo della sua preziosa collaborazione
e propiziato la sua partecipazione nelle solennità
più significative.
Passano anni nei quali gli incontri sono saltuari,
impegnati come eravamo nei rispettivi compiti affidatici dal Cardinale Arcivescovo. Mons. Citterio
nel 1954 diventa Rettore del Seminario liceale a
Venegono, io sono coadiutore a S. Francesca Romana in Milano. Per entrambi stanno maturando
notevoli cambiamenti nel servizio alla Chiesa ambrosiana. Nel 1957 il card. Montini chiama mons.
Citterio alla guida pastorale della Parrocchia di S.
Giuseppe in Seregno. Probabilmente era una precisa aspirazione di un sacerdote, che per tanti anni
aveva servito la diocesi nell’insegnamento e nella
responsabilità più significativa nei Seminari, ma
che coltivava in cuore il sogno della cura d’anime
in una parrocchia
tra le più importanti della Chiesa
ambrosiana. La
realizzazione del
sogno gli offriva
anche la possibilità di riunirsi, in
comunione di affetti alla sua amatissima mamma e
alle sorelle. E a
Seregno monsignor Citterio si
trovò benissimo,
apprezzato per la
sua dedizione pastorale e per il rapporto comunionale
stabilito con le famiglie e con le
singole persone,
giovani, adulti e
anziani. A Seregno ritornò sempre con gioia, pur
nel rispetto delle
prerogative dei suoi
successori. Sono
questi particolari
che, a mio avviso,
porranno in luce la
grande sua virtù
nell’obbedienza al
Papa e nell’amore
Piazza San Pietro: papa Giovanni Paolo II, il card. Carlo Maria Martini e mons. Bernardo Citterio
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alla Chiesa ambrosiana.
Quando il suo servizio pastorale sembrava ormai
consolidato nella guida paterna di una parrocchia
molto significativa, si trovò al centro del misterioso progetto di Dio, che anima la Chiesa. Nel 1963,
dopo la prima sessione del Concilio Vaticano II,
papa Giovanni XXIII termina la sua vita terrena
nel compianto di molti.
A suo successore, come Vicario di Cristo in terra,
viene eletto il card. Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, il quale nel mese di agosto
chiamerà a succedergli, sulla cattedra di S. Ambrogio e Carlo, Sua Eccellenza mons. Giovanni Colombo, Vescovo Ausiliare, ma anche Rettore Maggiore dei Seminari milanesi. Rimaneva scoperto uno dei punti nodali della vita diocesana, e a ricoprirlo venne chiamato mons. Citterio, che godeva
di una lunga e provata esperienza nel mondo della
formazione dei novelli sacerdoti, ma che nel contempo avrebbe dovuto abbandonare la guida della
parrocchia di Seregno. Fatto certo della volontà
del Papa e del nuovo Arcivescovo di Milano, egli
obbedì, non senza aver fatto presente la delicata situazione della mamma e delle sorelle, che ancora
una volta si sarebbero dovute separare da lui. Nella
sua squisita sensibilità pastorale, il Papa, quella sera, telefonò personalmente alla mamma per
confortarla e ringraziarla della sua disponibilità.
Furono per il Seminario anni di grande importanza per il numero delle vocazioni, per la formazione dei futuri sacerdoti alla luce dell’insegnamento
conciliare, per la vita di una diocesi che, in quel
tempo, conobbe un incremento di un milione e
mezzo di fedeli, con la necessità di nuove parrocchie e di adeguate strutture pastorali.
Di quegli anni di vita del Seminario, cui non mancarono le prove dei grandi cambiamenti postconciliari e della contestazione, che non si arrestava
certamente alle soglie del più importante e decisivo centro di formazione dei futuri pastori e della
guida di esso, in stretta collaborazione con l’Arcivescovo, è significativa la testimonianza di S. E.
mons. Attilio Nicora, che scrive: “Mons. Citterio... è stato per me una guida paterna, saggia, sicura nell’esercizio del rettorato del seminario teologico, e un amico e consigliere discreto e affettuoso in tutto l’arco del mio episcopato”.
Accennavo al numero delle vocazioni al sacerdozio, che ora sono certamente una delle grandi
preoccupazioni per la vita della diocesi e per il
suo futuro. Mi piace ricordare un episodio, che
per qualche aspetto ha contribuito a far maturare
l’amicizia con il Rettore Maggiore del Seminario.
Dal 1961 il card. Montini mi aveva nominato assistente diocesano delle Donne di Azione Cattolica.
Era un “esercito” di ben 45.000 socie, sparse in
Solda (Bolzano): mons. Bernardo Citterio con la sorella e un gruppo di amici in una fotografia di mons.
Libero Tresoldi
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tutta la diocesi. Alla loro responsabilità era confidato, come educatrici, un altro gioioso “esercito”
di ben 27.000 Fanciulli Cattolici. Un giorno, la
Presidenza diocesana ideò una iniziativa molto
semplice: propose a ciascuna Associazione, secondo un preciso calendario, di dedicare in ogni
parrocchia alcuni momenti forti di preghiera attorno a Gesù Eucaristia, invocando il dono di nuove
vocazioni. Il collegamento, tra parrocchia e parrocchia era affidato a tre lampade eucaristiche, benedette nella chiesa di via S. Antonio. Parecchi
sorrisero di tale iniziativa: non sorrisero le Donne
di A.C., che la vissero con generosa intensità. Il
fatto sorprendente fu che, in Seminario, l’anno
scolastico 1965/66 iniziò con circa 1500 seminaristi e con una nuova sede a Merate!
L’amicizia con mons. Citterio prese maggior consistenza, favorita anche dal comune amore per la
montagna. Egli, nato e cresciuto a Valmadrera, a-
veva respirato profondamente l’aria del Resegone
e praticato spesso i sentieri, che lo portavano alla
vetta, e non solo di tale amata montagna. Mi confidò, un giorno, di fronte alla splendida vetta dell’Ortles, che su tale cima era salito da seminarista
ventiduenne, partendo da Trafoi in veste talare! Ci
sono ben 2700 metri di dislivello per arrivare ai
3900 della vetta! Verso la fine degli anni sessanta
cominciammo a trascorrere insieme giornate di
vacanza a Selva di Val Gardena, godendoci insieme il sublime spettacolo delle Dolomiti e la pace
che promana da quei luoghi incantevoli. Ebbi modo di crescere nella conoscenza diretta del sacerdote, accompagnato dalla carissima sorella Maria,
fedele e discreta accompagnatrice delle nostre
camminate. Ammirai giorno dopo giorno il suo
spirito di fede, la sua intensa preghiera, la sua facilità di relazione con le persone, il suo profondo
senso di responsabilità verso la missione, che gli
“Colui che è stato più a lungo tra noi”
[...] Eravamo abituati a vederlo
vivo e sorridente in mezzo a noi.
Non mancava mai alle celebrazioni diocesane, dovunque fossero, e
ai tanti funerali. Era anzi diventata proverbiale la sua capacità e
voglia di partecipare alle esequie,
quasi avesse il dono della bilocazione o trilocazione; lo si vedeva
presente all'inizio di una celebrazione, ma poi si ritirava in silenzio, segretamente, per andare a
un’altra, nel desiderio di assicurare sempre la presenza del Vescovo.
Lo ricordiamo come colui che è
stato più a lungo tra noi; era il Vescovo, il prete più conosciuto e
che conosceva tutti i preti, aveva
incontrato moltissime persone e,
col passare degli anni, diventava,
per così dire, il “nonno” della
diocesi. Del nonno assumeva
sempre più le caratteristiche: la
saggezza, la sapienza, la bonarietà, l’affabilità, l’affettuosità, la
discrezione, la sincerità, la lealtà.
Così lo abbiamo ammirato e così
lo ricordiamo.
Sono tante le memorie che di lui
affiorano nei nostro cuore. Egli
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stesso di memorie ne ha raccontate e ne ha scritte. Anch’io, quando
dovevo preparare un’omelia esequiale, ricorrevo alla sua Memoria, dal momento che sapeva tutto
di tutti fin dall’inizio e tutto rammentava con fatti precisi. Qualche
giorno prima della morte chiese
che gli fosse dato un computer per
stendere appunto le sue memorie;
guardava quindi al futuro con
slancio, con serenità. Tanti, tra
l'altro, ricorderanno il suo famoso
libretto “I miei sette Cardinali”,
ricco di aneddoti, di eventi rimasti
impressi nel suo cuore, libro che
rivela la sua profonda umanità.
Volendo parlare di lui più a lungo,
occorrerebbe richiamare anche la
sua profonda cultura patristica e
teologica. Lo ricordo sempre
pronto a intavolare un discorso
sull’ultimo articolo della Nouvelle Revue Théologique, sull’ultimo
tema di esegesi, di teologia dogmatica e morale. Era sinceramente interessato agli studi. Richiamo
inoltre il suo senso di Chiesa, l'amore per il seminario, per le vocazioni; la prudenza nel trattare i
casi più delicati, il riserbo e, so-
prattutto, il suo senso della vita
come dono, che lo portava a vivere tutto con gratitudine.
Ha espresso molto bene la sua
gratitudine in un discorso tenuto
qui in Duomo il 10 giugno 1998,
in occasione del 90° compleanno:
“Di che cosa rendo grazie al Signore? Del dono bello, affascinante, incomprensibile della vita,
di una vita che sento donatami
due volte, dopo il terribile incidente del 1976, della vita che si estende quasi come questo intero
secolo, della vita quale partecipazione all'infinita perfezione di
Dio, della vita in cui sono radicati
innumerevoli doni spirituali e soprannaturali: il Battesimo, l’educazione cristiana, il seminario, il
presbiterato, l'episcopato. E, mi
sia consentito, il dono della fedeltà, di aver potuto lavorare nella Chiesa, in questa Chiesa ambrosiana”. E nel suo testamento
spirituale si esprimeva fin dall'inizio con parole che riassumevano
questi sentimenti: “Gloria a Dio
in ogni cosa”.
[dall’omelia funebre
del card. Carlo Maria Martini
del 15 novembre in Duomo]
era affidata, e che negli anni del post-Concilio
cominciava a creare più di una preoccupazione
nel cuore del Rettore di Seminario. Eppure nei
momenti più delicati non uscì mai dalla sua
bocca un lamento, un giudizio, tanto meno
l’affermazione di stanchezza per tanta responsabilità. Capii in quei giorni che l’amicizia non
è un dovere, ma una volta contratta, genera doveri reciproci, dei quali la sintesi è la fedeltà. E
per lui fedeltà era anche una grande discrezione, che seppe mantenere sempre nei diversi incarichi ricoperti.
Successivamente, per i non molti giorni di vacanza estiva, scelsi la località di Solda in Alto
Adige. Mons. Citterio, senza trascurare Selva
dove aveva raccolto stima e amicizie, mi raggiunse almeno per alcuni giorni, sempre in
compagnia delle fedelissima sorella. Anche a
Solda trascorremmo, insieme ad amici carissimi, giorni intensi e sereni, gratificati da splendide passeggiate, prolungati momenti di preghiera e anche da combattute partite serali a
scopa scientifica.
Fu a Solda, nel 1976, che avvenne il grave incidente di macchina, che segnò – come lui stesso
affermò nella S. Messa celebrata in Duomo in
occasione del suo novantesimo compleanno –
l’inizio della sua seconda vita. In tale occasione
mi fu dato di ammirare virtù e doti di questo
grande amico. Come Vicario episcopale della
zona pastorale di Varese, fu richiesto di scendere dalla montagna per celebrare l’Eucaristia in
tre comunità, rimaste improvvisamente prive
del loro Parroco. Tentai di dissuaderlo da simile
viaggio in giorni di tempo molto incerto. Alla
richiesta dell’Arcivescovo egli ubbidì, non badando a fatica e a rischi. A missione compiuta
(era verso il mezzogiorno di domenica 25 luglio) egli desiderò rientrare a Solda, percorrendo la strada che porta al passo dello Stelvio, e,
in discesa, a Trafoi e Solda. Con la macchina,
guidata dal fedelissimo don Carlo della Rossa,
giunge al passo (altezza 2700 m.) mentre sta nevicando, e la strada si era resa pericolosa. Viene
sconsigliato di proseguire, ma egli vuole raggiungere Solda, dove era atteso. Dallo Stelvio a
Trafoi e Gomagoi ci sono una cinquantina di
tornanti molto esposti sulla valle. A pochi tornanti dal passo la macchina si trova di fronte un
altro veicolo fermo; nel tentativo di evitarlo esce di strada e precipita sul tornante sottostante,
si capovolge e ricade sull’altro tornante. Nel
primo impatto don Carlo viene proiettato fuori
dalla macchina, e mons. Citterio subisce l’altro
drammatico salto. Ai primi soccorritori don
Seminario di Venegono Inferiore: il card. Giovanni Colombo e mons. Bernardo Citterio, rettore del
Seminario
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Carlo sembra il più compromesso, mentre mons.
Citterio, che non presenta preoccupanti segni esteriori, viene estratto da una macchina completamente sfasciata, caricato su una automobile di turisti di
passaggio e trasportato al piccolo ospedale di Malles, dove i medici si dichiarano inadeguati ai soccorsi, e con un’autoambulanza dirigono i due feriti
all’ospedale di Silandro in Val Venosta. Avvertito
da una telefonata raggiungo i feriti; non mi è possibile vedere don Carlo in camera operatoria, mentre
incontro Monsignore in una camera, dove veniva
curato per assideramento. Mi chiede il conforto dei
Sacramenti, non si lamenta, domanda notizie di
don Carlo. In realtà questo grande amico, nel rovinoso incidente, aveva riportato la frattura del bacino e di ben sette costole, e aveva perso scarpe e calze. Il medico austriaco, che sostituiva il primario in
vacanza e che non aveva potuto completare la diagnosi, mi manifesta la preoccupazione per possibili
complicazioni e si decide per un ulteriore trasferimento all’ospedale di Merano. Erano le ore ventuno. Solamente a tarda sera si conobbe la realtà delle
condizioni del ferito. Subito informato l’arcivescovo card. Giovanni Colombo richiese l’ultimo trasferimento a Milano, alla Casa di cura Capitanio.
Mi sono soffermato su questo episodio, inizio di una seconda vita per mons. Citterio, per testimoniare
con il suo spirito di fede, la sua estrema padronanza
del dolore e della situazione.
Volle, ogni anno, ricordare con la sorella e gli amici, tale data, per ringraziare il Signore. Mantenne l’abitudine anche quando, per precauzione, il
medico gli proibì la vacanza a Solda. È mancato
all’appuntamento solo nell’estate del 2002, l’anno
della sua partenza per l’eternità!
Vincoli più determinanti diedero consistenza alla nostra
amicizia. Innanzitutto il comune amore alla Chiesa ambrosiana, servita con gioia e
dedizione. Il misterioso progetto di Dio volle mons. Citterio Vescovo Ausiliare di
Milano nel 1969, rimanendo
Rettore Maggiore dei Seminari. Nel 1971 divenne Vicario episcopale per la Zona di
Varese. Io mi trovai, accanto
a lui, come Vescovo Ausiliare e Vicario per la città di
Milano, nel novembre del
1970. Ebbi quindi la possibilità di imparare da lui ad amare i sacerdoti, a considerare nel loro grande valore l’opera delle persone consacrate, a sostenere
l’azione pastorale delle parrocchie, dei decanati e
della stessa Zona pastorale, con il crescente contributo di comunione e di collaborazione dei laici, soprattutto con la costituzione dei primi Consigli pastorali e per gli affari economici. Con gli altri Vicari episcopali, dovevo confrontarmi con mons. Citterio soprattutto per le nomine dei sacerdoti novelli
alle parrocchie. Nel comune amore e servizio alla
Chiesa c’era la preoccupazione che una Zona si trovasse privilegiata nei confronti di altre: le esigenze
erano molte, anche se, alla fine, l’esperienza e la
saggezza del più anziano tra noi finivano per prevalere. Già allora gli si riconosceva volentieri una forma di “onnipresenza”, che gli dava la possibilità di
seguire, molto da vicino, problemi pastorali delle
parrocchie e dei singoli sacerdoti.
La sua attenzione pastorale, da me sentitamente
condivisa, andava anche oltre i confini d’Italia. Avvertivamo che il futuro della Chiesa avrebbe incontrato grosse difficoltà per il suo cammino di salvezza, oltre che nelle forti contrapposizioni ideologiche, allora presenti e condivise dallo stesso clima di
contestazione ecclesiale, nello stesso benessere che
pure era largamente desiderato. Nacque il proposito
di spendere qualche giorno delle non molte vacanze in nazioni, dove la Chiesa stava vivendo problemi che, nel cammino del tempo, si sarebbero presentati anche da noi. Ricordo una visita a Parigi per
incontrarvi l’allora Vescovo Ausiliare, mons. Pezeril, e conoscere meglio l’iniziativa della preparazione degli adulti al Battesimo. Così, in una visita ad
Milano, Duomo, 15 novembre 2002: il card. Carlo Maria Martini legge l’omelia funebre
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alcune diocesi e soprattutto a
Berlino, desideravamo conoscere eventuali proposte
per la catechesi agli adulti,
che già due decenni fa registrava anche da noi una scarsa partecipazione. Ci portammo, un anno, nelle tre
nazioni del Nord Europa per
tentare di capire come vivessero, in popoli a maggioranza non cattolica, comunità
cattoliche con una notevole
percentuale di immigrati, anche italiani. Non ci riuscì di
realizzare risultati discreti e
di vincere una certa diffidenza del cardinale Colombo. I
tempi non erano maturi, ma
in noi si radicò la convinzione che la sfida con il consumismo avrebbe presentato
problemi non minori di quelli presenti nel tempo
del post-concilio.
Nel febbraio del 1982 lasciai Milano, per assumere come Vescovo titolare la responsabilità pastorale della diocesi di Crema. Non venne meno il vincolo di amicizia con mons. Citterio. Al di là delle
vacanze estive, trascorse insieme almeno in parte,
si aggiunse un altro motivo di condivisione, offerto dal fatto che, per tanti anni, egli era il Segretario della Conferenza episcopale lombarda, presieduta prima dal card. Giovanni Colombo, e poi dal
suo successore, il card. Carlo Maria Martini. Anche in tale ruolo egli seppe rivelarsi generoso e attento ai problemi ecclesiali, che si presentavano
all’attenzione dei Vescovi, mantenendo la massima discrezione e insieme instaurando con tutti un
clima di sincera amicizia, cordialmente ricambiata, così che il suo impegno durò ben oltre l’età stabilita dalle norme ecclesiastiche.
In tutti i passaggi di ruolo e di responsabilità, che
la sua lunga vita e le successive missioni, a lui affidate, gli fecero incontrare, una sua nota caratteristica emerse: la profonda devozione al Sommo
Pontefice, che per qualche aspetto si tradusse in
gesti di stima e di amicizia.
Era facilmente comprensibile con papa Paolo VI.
Si erano ben conosciuti durante il periodo vissuto
dall’allora card. Montini come arcivescovo di Milano. Gli avvenimenti vissuti da entrambi in settori di grande rilevanza lo testimoniano con grande
chiarezza.
Forse meno conosciuto è il motivo di uno stretto
legame con Giovanni Paolo II. Per quanto mi ri-
sulta risale agli anni nei quali mons. Citterio era
Prevosto a Seregno, e l’attuale nostro Sommo
Pontefice era cardinale arcivescovo di Cracovia.
In quel tempo la parrocchia di S. Giuseppe in Seregno donò alla parrocchia di S. Floriano di Cracovia un concerto di campane. La conoscenza e la
riconoscenza crearono un legame di amicizia, che
si rassodò sempre più col passare del tempo. In
realtà, al di là dei singoli episodi, una profonda visione di fede univa al S. Padre un sacerdote innamorato di Cristo e della Chiesa.
A parecchi di noi mons. Citterio sembrava intramontabile sull’orizzonte terreno. La sua capacità di
lavoro, l’amore alla missione ricevuta dal suo Signore a bene della Chiesa, la stima di cui si sentiva
circondato, la lucidità di giudizio che mai gli è venuta meno, il desiderio di rendersi utile all’ottavo
Arcivescovo milanese che la Provvidenza di Dio
gli aveva fatto incontrare, qualche impegno preso
anche per il futuro, sembravano far pensare che i
notevoli problemi di salute sarebbero stati superati.
In questi ultimi mesi ha avuto la possibilità di costatare quanto grande fosse la premurosa attenzione
per lui a ogni livello. Colui che la sera del Giovedì
santo l’aveva annoverato tra i suoi amici e l’aveva
chiamato a condividere la sua missione di salvezza,
lo invitava a sciogliere le vele e a prendere il largo
per raggiungere il porto dell’eternità beata.
Di S. Teresa di Avila si legge che al momento della morte, incontrando il suo Signore, abbia esclamato: “era tempo di vederci, Signore”. Mi piace
pensarlo vero anche per un grande amico, mons.
Bernardo Citterio!
Milano, Duomo, 15 novembre 2002: il card. Dionigi Tettamanzi benedice le spoglie di mons. Bernardo Citterio
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Ricordando Mons. Bernardo Citterio